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 2008  agosto 06 Mercoledì calendario

Il manager è una donna? Allora il prestito costa di più. Il Sole 24 Ore 6 agosto 2008 Piccole imprese e lavoratori autonomi sono particolarmente numerosi in Italia, rispetto alla media Ocse, e le donne rappresentano circa il 25% di questo universo di piccoli imprenditori

Il manager è una donna? Allora il prestito costa di più. Il Sole 24 Ore 6 agosto 2008 Piccole imprese e lavoratori autonomi sono particolarmente numerosi in Italia, rispetto alla media Ocse, e le donne rappresentano circa il 25% di questo universo di piccoli imprenditori. Una delle forme di credito più diffuse per questa categoria è il fido bancario in conto corrente; in questo tipo di prestiti, le microimprese guidate da una donna (comprese le lavoratrici autonome) pagano un tasso di interesse più elevato – circa lo 0,3% in più – rispetto a quelle gestite da uomini. Questo è il risultato di uno studio condotto insieme a Francesca Lotti e Paolo Emilio Mistrulli ("Do women pay more for credit? Evidence from Italy", Nber working paper, luglio 2008) in cui abbiamo analizzato dati su oltre un milione di fidi bancari in conto corrente e circa 150mila microimprese da gennaio 2004 a dicembre 2006. Come spiegare questa differenza sul tasso d’interesse pagato da aziende maschili e femminili su prestiti identici? La prima e più naturale risposta è che le imprese femminili siano piu rischiose di quelle maschili. Ma abbiamo controllato e non è così. Le imprese femminili falliscono un po’ meno di quelle maschili (nel 2004, i tassi di fallimento erano rispettivamente dell’1,9% e 2,2%) e hanno una qualità del credito del tutto paragonabile a quelle maschili, se non leggermente migliore. Può darsi, allora, che il sovrapprezzo sia dovuto al fatto che le donne usino una certa tipologia di banche. Invece no: la stessa banca pratica tassi di interesse diversi per uomini e donne. Magari le imprese femminili sono più diffuse in province in cui il mercato bancario è meno efficiente? Pare di no: la differenza tra i tassi applicati a donne e uomini c’è in tutto il Paese. La presenza di microimprese femminili varia significativamente da settore a settore: per esempio le donne sono quasi inesistenti nelle costruzioni, ma sono numerose (quasi la metà) nel commercio e nel comparto alberghiero. Ciononostante, la differenza tra tassi persiste anche all’interno dello stesso settore. Che sia un effetto indiretto della legge sul fallimento? Fino al 2006 essa proibiva di fatto all’imprenditore di riaprire un’attività per un periodo di cinque anni dopo il fallimento. Ciò potrebbe aver creato l’incentivo per un uomo, con una procedura fallimentare alle spalle, di intestare a un parente, magari donna, una nuova attività, utilizzando un prestanome. Per questa ragione un’impresa "apparentemente" femminile si troverebbe a pagare un tasso di interesse più alto in quanto il profilo imprenditoriale incorporerebbe quello del congiunto. Questo fenomeno, tuttavia, non sembra sufficiente a spiegare il differenziale di tasso: abbiamo escluso dai nostri dati tutti i casi che potrebbero far pensare a situazioni simili e la differenza tra tassi applicati alle imprese maschili e femminili rimane. Non solo, ma una banca - che tipicamente ha una buona conoscenza del tessuto imprenditoriale locale - può facilmente individuare queste situazioni "dubbie" ed eventualmente negare il credito alla donna prestanome. Infine, se la spiegazione fosse solo questa, la differenza tra i tassi di interesse applicati a uomini e donne dovrebbe essere più alta in quelle province che presentano livelli di fallimento di impresa più elevati. Ma non è così. Un altro risultato interessante è il diverso comportamento delle banche in presenza di un garante per il debitore. Se un istituto di credito richiede un garante, significa che il beneficiario del prestito è percepito come particolarmente rischioso. E infatti i tassi per le microimprese maschili con un garante sono più alti rispetto a quelli delle aziende senza garante. Al contrario, quando una donna presenta un garante uomo, i tassi praticati sono più bassi di quelli applicati alla media delle imprese femminili, ovvero la figura del garante maschile è vista come una sicurezza nel caso di un’impresa femminile, e quest’ultima riceve un trattamento simile a quello riservato alle aziende maschili. Ma il caso più interessante è questo: se un’impresa femminile ha una garante donna, i tassi di interesse sono molto più alti. In particolare, una donna garantita da un’altra donna paga circa lo 0,6% in più di una donna garantita da un uomo. Ci siamo allora chiesti se per caso questa differenza di trattamento nei confronti di imprese maschili e femminili si annulli in banche guidate da donne. Ma ci siamo dovuti subito fermare. Nessuna banca ha una maggioranza femminile nel consiglio di amministrazione. Al massimo ci sono due-tre donne nei consigli normalmente di 10-15 membri. Insomma, in Italia quella del banchiere rimane proprio una professione tutta maschile. Ma allora siamo in presenza di una discriminazione o è un semplice pregiudizio? Ovvero una donna cliente di una banca è semplicemente vista come un cliente peggiore in quanto donna? Sicuramente questi risultati non lo escludono, anzi. Alberto Alesina