Il Sole 24 ore 5 agosto 2008, Morya Longo, 5 agosto 2008
Un anno di crisi «brucia» in Borsa oltre 5mila miliardi. Il Sole 24 ore 5 agosto 2008 La banca americana Bear Stearns perde in Borsa il 6,3%
Un anno di crisi «brucia» in Borsa oltre 5mila miliardi. Il Sole 24 ore 5 agosto 2008 La banca americana Bear Stearns perde in Borsa il 6,3%. Il colosso dei mutui American Home Mortgage licenzia il 90% dei suoi settemila dipendenti. Sono notizie di un anno fa. Esattamente il 4 agosto 2007 i giornali raccontano così i primi effetti della crisi dei mutui subprime. Due giorni dopo American Home Mortgage fallisce. Ma sul mercato ci sono ancora tanti ottimisti, quelli che «la crisi è passeggera». Anche Bear Stearns, che aveva appena azzerato due suoi hedge fund, cerca di tranquillizzare gli animi. Purtroppo, però, avevano ragione i pessimisti: in un anno le Borse mondiali hanno infatti "bruciato" più di 8mila miliardi di dollari (più di 5mila miliardi di euro), le banche hanno svalutato 482,7 miliardi di attivi e hanno licenziato più di 100mila dipendenti. La crisi si è propagata ovunque: dai grandi assicuratori obbligazionari americani ai colossi dei mutui Freddie Mac e Fannie Mae, fino a banche e industrie di Europa e Asia. E Bear Stearns? stata salvata per il rotto della cuffia da JP Morgan con la regia della Federal Reserve. Le prime crepe Trovare l’inizio della crisi dei mutui subprime è difficile. Qualcuno la fa risalire al 7 febbraio 2007, quando la banca californiana New Century lancia il primo allarme-utili. Qualcuno parte dal 18 luglio 2007, quando due hedge fund di Bear Stears perdono tutto. Ma è all’inizio di agosto che il mondo intero si trova di fronte al vero collasso: Borse che crollano e panico allo stato puro. Tutto nasce da un settore di "nicchia" dell’immenso mercato immobiliare americano: quello dei mutui subprime. Questi particolari finanziamenti, erogati a persone poco abbienti, ammontavano alla metà del 2007 a circa mille miliardi di dollari. Il problema vero è che questi mille miliardi (in fondo pochi nell’oceano della finanza) sono stati moltiplicati come i pani e i pesci. Grazie a una tecnica finanziaria molto in voga negli anni passati: la cartolarizzazione. I mutui subprime erano stati infatti impacchettati dalle banche che li avevano erogati in speciali obbligazioni, le cosiddette Abs. Queste obbligazioni erano state vendute sul mercato e, molto spesso, re-impacchettate nuovamente nei cosiddetti Cdo. Insomma: obbligazioni di obbligazioni. E anche questi erano stati re-impacchettati in "mostri" chiamati dagli addetti ai lavori "Cdo al quadrato". E poi questi erano stati clonati in modo sintetico, usando i derivati. E ancora rivenduti. Salsicce, insomma, confezionate con altre salsicce. Purtroppo indigeste. Così, quando il mercato immobiliare Usa inizia a frenare e i prezzi delle case a scendere, le Borse prendono coscienza del vero problema: i mutui subprime sono stati impacchettati talmente tante volte, che sono ormai in mano alle banche e ai fondi di tutto il mondo. Crolli e salvataggi Da questa presa di coscienza al panico il passo è breve. Immediatamente, già lo scorso agosto, i mercati obbligazionari e interbancari si congelano: nessuno si fida più di nessuno. Così le banche centrali – tutte – sono costrette ad intervenire a più riprese per iniettare liquidità nel sistema finanziario. I primi a farne le spese sono le banche, perché si scopre che molte di loro avevano creato delle speciali società-veicolo fuori bilancio (chiamate Conduit e Siv) proprio per acquistare queste obbligazioni. Si scopre così che proprio gli istituti di credito sono pieni zeppi di mutui spazzatura: anche le banche lontane dagli Stati Uniti, come la svizzera Ubs, la tedesca Ikb o l’inglese Northern Rock. Da allora, come detto, le svalutazioni in bilancio – a causa della crisi – hanno raggiunto i 482,7 miliardi. Per evitare il fallimento (che, ugualmente, in America ha riguardato 513mila società nei soli primi sei mesi del 2008) le banche sono state costrette a effettuare aumenti di capitale: 354,8 miliardi di dollari negli ultimi 12 mesi. Tutto questo mette in scena alcuni nuovi investitori: i fondi sovrani. Giganteschi "salvadanai" creati dai Paesi con surplus di bilancio (molto spesso arabi). Il primo clamoroso ingresso è del 27 novembre 2007, quando il fondo di Abu Dhabi inietta 7,5 miliardi di dollari nella zoppicante Citigroup, dandole un po’ di ossigeno. I salvataggi, poi, si moltiplicano. E mentre entrano in campo i nuovi protagonisti della finanza, escono di scena volti ormai logori: il 29 ottobre si dimette Stan O’Neal dal vertice di Merrill Lynch, il 4 novembre è Charles Prince di Citigroup a gettare la spugna, l’8 gennaio si ritira il numero uno di Bear Stearns. Effetto domino Ma il peggio deve ancora arrivare. Le notizie negative che riguardano le grandi banche innescano infatti un effetto a catena, che mette in ginocchio settori diversi dell’economia e della finanza. Per esempio quello dei derivati di credito, i cosiddetti credit default swap. Si tratta di strumenti che funzionano come le polizze assicurative, per coprire non il rischio di furto dell’auto ma di insolvenza delle obbligazioni: nel mondo questi strumenti derivati ammontano – secondo le statistiche Isda – a 62mila miliardi di dollari. Ebbene: la crisi del credito mette sotto stress tutti gli istituti che avevano venduto queste "polizze", esattamente come il furto contemporaneo di tutte le auto metterebbe in crisi qualunque compagnia assicurativa. Oltre alle banche, già tartassate, entrano così in agonia due grandi assicuratori americani di bond: Ambac e Mbia. Il problema è che questi due colossi assicurano anche la gran parte del mercato americano dei bond municipali: quelli emessi dalle scuole, dagli ospedali e dagli Enti locali. La crisi, quindi, deflagra anche lì. La scarsa fiducia, nel frattempo, si propaga anche sul mercato interbancario: quello usato dalle banche per prestarsi i soldi l’una con l’altra. Nonostante le iniezioni continue di liquidità, i tassi Euribor e Libor continuano a salire perché chi presta denaro non si fida di nessuno. Questo mette molte banche – come è accaduto a Bear Stearns a marzo – in una pesante crisi di liquidità. E, contemporaneamente, produce un effetto secondario molto spiacevole anche per la gente comune: con l’Euribor e il Libor, salgono anche le rate dei mutui. Così tante famiglie non ce la fanno più a pagare. La crisi quindi arriva, in America, anche ai due colossi dei mutui Freddie Mac e Fannie Mae. Negli ultimi mesi, a tutto questo, si è sommato il balzo del prezzo del petrolio e il conseguente caro-vita. E la crisi dei mutui si è avvitata in una crisi più complessa. Un anno fa ci chiedevamo quanto sarebbe durata. Ce lo chiediamo ancora oggi. Morya Longo