La Stampa 5 agosto 2008, 5 agosto 2008
Fame solo di successo anoressica una su due. La Stampa 5 agosto 2008 La fame di successo può riempire lo stomaco, almeno distrarlo e convincerlo per un po’ che l’adrenalina basti a tenere il fisico in piedi
Fame solo di successo anoressica una su due. La Stampa 5 agosto 2008 La fame di successo può riempire lo stomaco, almeno distrarlo e convincerlo per un po’ che l’adrenalina basti a tenere il fisico in piedi. Il 40 per cento delle atlete presenti a Pechino hanno o hanno avuto disturbi alimentari, almeno secondo l’ultima ricerca in materia, firmata Susan Ringwood, capo del Beat, una fondazione britannica che lavora sui casi estremi. Non è solo teoria perché questo studio non fa che amplificarne altri. Il più famoso, datato 2002, tracciava un’ipotetica epidemia che secondo gli esperti ormai è esplosa: non si tratta più solo di sport a rischio come la ginnastica, ma «della percezione femminile nello sport, la donna è un misto tra una modella campionessa e un fachiro capace di ogni sforzo». Le tesi della Ringwood arrivano dopo che il Cio ha avviato uno studio sul problema e in contemporanea con l’uscita della biografia di Allie Outram, «Running on Empty», correndo a vuoto. Pagine che infastidiranno il mondo dello sport. Lei, un’inglese ormai ex atleta, dopo 12 anni di attività, faticherà anche a guardarle in tv queste Olimpiadi. E’ troppo debole. Correva sulle lunghe distanze, ha condiviso la strada con Paula Radcliffe, è stata settima a un mondiale di cross e ha pesato 29 chili: «Stavo ormai in ospedale con la pressione bassa, le ginocchia di ossa, solo l’11 per cento di grassi nel mio corpo e ancora volevo correre e ancora non volevo mangiare. Ho aperto la bocca solo quando si è trattato di ingoiare o morire». E non è questo ciò che impressiona del libro. La Outram denuncia, spiega che gli allenatori assecondano la patologia perché nella fase iniziale è utile agli allenamenti e confessa che nelle gare degli ultimi anni almeno sei ragazzine della nazionale britannica Juniores parlavano di diete estreme e privazioni autoinflitte. Due promesse, le gemelle Kathryn e Bryony Frost, sempre inglesi, considerate possibili medaglie nel fondo alle Olimpiadi del 2012 hanno dovuto ammettere di aver passato giorni ad allenarsi mangiando solo frutta. Allie Outram ha sviluppato una malattia delle ossa e non guarirà mai del tutto, grazie a lei gli inglesi hanno uno psicologo specializzato in bulimia e anoressia che segue la squadra. Jennifer Sey, ex ginnasta americana, tiene seminari sulla soglia di non ritorno: «Quel regime pazzoide all’inizio ti aiuta, perdi peso e ti costringi a sforzi che ti fanno sentire eroica. A qualsiasi ragazza che oggi a Pechino si creda euforica perché controlla ogni istinto, dico che quello è il modo sbagliato e che nessuno delle persone intorno a loro le aiuterà». Gli esperti parlano di «condizionamento ambientale», il mondo dello sport asseconda la patologia, esalta gli sforzi impossibili, la caparbietà, la forma perfetta. Julia Rohde, pesista tedesca presente a Pechino, ha dovuto saltare la gita a piazza Tienanmen perché vive dentro un regime di controllo energie. Ha perso molto peso per scendere alla categoria 53 chili ed evita sforzi al di fuori del lavoro necessario, non va oltre il tragitto camera d’albergo-palestra e passa il giorno a guardare dvd sul portatile. Il suo peso ideale è sui 57 chili ma in quella categoria non si sarebbe neanche qualificata. Molti pesisti sono incastrati in una forma non loro per esserci e non si tratta dei 4 chili di patimento richiesti per un breve periodo, è il meccanismo che si innesca, la convinzione di poter essere puro spirito e volontà che li rovina. Marta Bastianelli dice di essere positiva a causa di un farmaco dimagrante: che sia vero o no, di certo la ciclista è ossessionata dalle calorie e dal controllo dei grassi. E il doping non è escluso dai nuovi studi sul dimagrimento. Gli atleti mangiano solo cibo sicuro di cui conoscono la provenienza, bevono solo da bottiglie che aprono personalmente, si abituano a scartare, escludere, stare senza. La nazionale italiana ha portato 20 medici in Cina e non c’è uno psicologo, né un nutrizionista. L’epidemia ancora non si vede. /