Dagospia maggio 2008, 4 agosto 2008
Antonio D’Orrico per il Magazine Rivolgendosi a Roberto Saviano, lo scrittore di Gomorra minacciato dalla camorra, Annalena (Benini) ha ironizzato sulla prima pagina del Foglio: «Sei uno scrittore (con la scorta, ma non è una tragedia)»
Antonio D’Orrico per il Magazine Rivolgendosi a Roberto Saviano, lo scrittore di Gomorra minacciato dalla camorra, Annalena (Benini) ha ironizzato sulla prima pagina del Foglio: «Sei uno scrittore (con la scorta, ma non è una tragedia)». Quello che segue è il diario di un’intervista a Saviano e dimostra l’esatto contrario di quanto sostenuto da Annalena del Foglio: vivere alla Saviano, scrittore con scorta, non è allegro. Mercoledì 23 aprile scorso. La casa produttrice Fandango propone una copertina sul film Gomorra che andrà al Festival di Cannes: «Si potrebbe fare anche un’intervista a Saviano». Per vecchi trascorsi savianeschi, vengo incaricato io. Faccenda complicata vista la sua condizione di scrittore sotto protezione. e sono stanchissimo. Fammi sapere. Abbraccio». La sera Saviano è ospite da Santoro in tv. Venerdì 25 aprile. Attacco a Saviano sul Foglio, prima pagina. Scrive Annalena (Benini): «Roberto Saviano, giovane scrittore di mondiale successo, dovrebbe avere una cosa solo in testa: le ragazze». Annalena consiglia a Saviano di smetterla di dire cose «da vecchio martire inascoltato e abbandonato, mentre lui è il supereroe dei giorni nostri, la grande rivelazione editoriale, il ragazzo che racconta le sue verità sul mondo, mentre il mondo ringrazia e Mondadori corre a tirare un’altra ristampa». Annalena definisce Saviano una icona pop alla Andy Warhol e lo invita a comportarsi di conseguenza. Infine, Annalena se la prende con «tutti i viscidi che stanno trasformando Roberto Saviano in un’effigie eroica, infelice e malvestita con un sito Internet di maniacale accuratezza tradotto in cinque lingue». L’unica cosa che condivido è il fatto che Saviano veste maluccio. Ricordo che in una bellissima intervista a Joe Pistone, il famoso Donnie Brasco dell’omonimo film, l’agente Fbi che si infiltrò per anni nella potente famiglia mafiosa dei Bonanno, Saviano stesso raccontava di essere stato accolto dall’elegantissimo Pistone con questa frase: «Difficile che un italiano vesta male come te». Lunedì 28 aprile. Ore 21,48, sms a Saviano: «Fatti vivo a questo numero, è sempre acceso. Perché se l’intervista è da fare domani, non abbiamo molto tempo. Ciao». Martedì 29 aprile Ore 2,24, Saviano risponde: «Ti chiamo domattina. Sarò in viaggio per Milano...». Ore 10, leggo sul Foglio la lettera al direttore di Sara Spreafico: «Voialtri Foglianti non potete fare a meno di una buona dose di cinismo - io stessa spesso ne godo, e con soddisfazione, ma questa volta ho faticato a sorridere dell’ironia su Saviano». Giuliano Ferrara conviene con la lettrice (siamo stati, scrive, «troppo cinici, scioccamente snob. Veniamo da anni di retoriche antimafiose di tipo professionale...»). Intanto io di Saviano non ho più notizie. Ore 22,23, pervengono notizie di Saviano. Il suo viaggio è stato molto complicato (come immagino tutti i suoi spostamenti). Domani sarà a New York con Salman Rushdie, lo scrittore che fu condannato a morte da Khomeini. L’intervista è rimandata. Mercoledì 30 aprile. Ore 22,03 (ora italiana), sms di Saviano: «Arrivato a New York. Sono scortato dall’Fbi. Uno degli agenti somiglia a uno degli attori di Soprano’s». Su Soprano’s, la famosa serie tv su Cosa Nostra oggi, Saviano scrisse un bel saggio pubblicato dall’Espresso. Week end del Primo Maggio. Leggo sui giornali che Saviano e Rushdie si sono incontrati e hanno parlato delle loro vite di scrittori colpiti da fatwa (fondamentalistica o camorristica). Martedì 6 maggio. Ore 12,58, mio sms: «Caro Roberto, scusa l’insistenza, quando possiamo sentirci per l’intervista?». Otto minuti dopo, la risposta: «Scusami tu. Ma sono giornate strapiene. Siccome il film nn è cosa mia, ma di Garrone (regista, ndr), nn voglio sovrappormi a lui. Ho pensato che forse era meglio per me avere un profilo più basso. Ti abbraccio da Toronto». Mercoledì 7 maggio. Sette di sera, mi sta venendo l’ansia. Mail: «Caro Roberto, spero che tu stia bene e che il tuo tour sia divertente. Sta per scoccare l’ora di scrivere il pezzo. Ho pensato, in attesa di sentirti e magari di vederti, di mandarti qualche domanda, qualche mia curiosità, così magari trovi il tempo di rispondermi qualcosa. Io devo fare tutto entro domani sera, giovedì, ore 20 italiane». Segue una lista di quesiti. Intanto al tg raccontano che al paese dello scrittore hanno scritto «Saviano merda e verme» perché pensavano tornasse in paese in occasione della festa della polizia cui era stato invitato. 22,29, Saviano risponde: «Ma nn puoi sentire Matteo Garrone e co.? Io nn vorrei sovrappormi al loro lavoro. Venerdì fa la copertina sul Divo di Sorrentino. Film per niente debole cn un immenso Servillo. Qui a Toronto ho visto il più bel gorilla di montagna silverblack (studio le scimmie da un po’). La sua tristezza l’ho compresa tutta. Mai come oggi». Giovedì 8 maggio Ore 1,19: «Caro Roberto, scusami ma a questo punto l’intervista è prevista, come faccio? Non preoccuparti, anche se è preoccupazione nobile, del regista e degli altri, non farai ombra a loro perché dedichiamo spazio al film. Ma ci vuole una cosa tua. Sentiamoci e troveremo la soluzione». Ore 21,28, eccola finalmente l’intervista. Che hai fatto nel film: hai collaborato alla sceneggiatura? Sei stato sul set? Hai parlato con gli attori? «Ho scritto la sceneggiatura insieme a maestri come Massimo Gaudioso, Ugo Chiti, Gianni di Gregorio e Maurizio Braucci. Maurizio, che per me è come un fratello, è stato preziosissimo. Lui ausculta come nessuno il ventre e il cuore di Napoli. All’inizio quando sono iniziate le riprese, oscurando il vero nome del film, ha avuto problemi con i clan e gli ambienti camorristici che volevano leggere la sceneggiatura, porre veti. stata la festa a risolvere tutto. La festa, mi dirai? Sì, il piacere di girare un film sulla loro realtà. Le persone hanno deciso di farlo, hanno deciso che volevano recitare e così tutti, dai ragazzi di Scampia ai ragazzini Rom, hanno preso parte al film. I boss non hanno potuto che lasciare fare. Nelle Vele, a Scampia, c’era voglia di partecipare al film. Ognuno nella parte di se stesso, o quasi». Dimmi di Servillo. «Servillo e io, anche se di generazioni diverse, ci siamo formati nella provincia del Sud e lo abbiamo considerato non uno svantaggio ma un privilegio. Siamo ossessionati entrambi dall’idea che il nostro mestiere possa essere necessario. E non semplicemente bello. Fare arte in certi territori non è una scelta di gusto, un modo per distrarsi o campare, ma è l’unico modo per vivere. Non rinnegare, non andarsene, non sottrarsi, non accecarsi. Servillo mi ha insegnato questo. E ad avere sempre uno sguardo alto. Quando abbiamo scritto la sceneggiatura, avevamo lui in mente per la parte di Franco, trafficante di rifiuti. A me non interessa raccontare le colpe, non solo almeno. Mi interessa molto motivare le ragioni che ognuno si dà. Servillo dice chiaramente nel film: ”Non sono io che ho inventato l’amianto, io risolvo problemi creati da altri”. E non li risolve minacciando. Sono i contadini che gli vendono la possibilità di sversare i rifiuti tossici nelle loro terre». Che differenze ci sono tra romanzo e film? «Rispetto al romanzo il film racconta l’aspetto antropologico, le stanze, gli odori, i massacri. una apocalisse. Nella Gomorra di Garrone non c’è l’ossessione del business come nel libro. C’è il vivere in guerra, una guerra a qualche kilometro da Roma. Non dimentichiamo che la camorra ha ucciso 4mila persone da quando sono nato. Il terrorismo in tutti gli anni di piombo ne ha ammazzate 600... Le mafie in Italia hanno ucciso, negli ultimi trent’anni, circa 10mila persone. Più morti che nella striscia di Gaza. Ma è una guerra ormai considerata fisiologica che non genera scandalo. Credo che Gomorra sia un film che riscrive completamente l’immaginario criminale. A sparare sono attori che spesso hanno sparato nella vita reale. Si spara di fretta e senza alcuna belluria estetica. Le armi sono brutte, hanno rumori secchi senza eco, si conservano addosso senza fondine tra le mutande, tirate su con l’elastico degli slip. Spesso gli attori, mi hanno raccontato, facevano fatica a distinguere la loro vita reale da quello che Matteo gli chiedeva di recitare. C’è una scena del backstage molto bella, gli attori iniziano a litigare su chi deve ammazzare in una scena. Un attore blocca tutto ”li devo uccidere io”, e l’altro ”mannò, Matteo avevi deciso che li dovevo ammazzare io”. A un certo punto un attore, guardando in telecamera un po’ triste, chiede ”ma perchè tutti ci vogliono ammazzare?”. Il film è riuscito a riprodurre, anche nella realizzazione, una certa follia estetica violenta della mia terra». Conoscevi già Rushdie? Cosa hai letto di lui? « stato di una cordialità disarmante. In genere, è molto severo. Ho amato molto ”I figli della mezzanotte’, che è un capolavoro, la storia dei 1001 bambini che nascono in India allo scoccare della mezzanotte del 15 agosto 1947, data dell’indipendenza indiana. Mi ricordo sempre la sua frase ”se vuoi descrivere una persona devi inghiottire il mondo”. Salman mi è venuto incontro mi ha abbracciato forte e abbiamo iniziato a parlare. Non mi aspettavo che avesse letto il mio libro. Quando gli ho chiesto come fare per conservarmi come scrittore, non fissarmi in una sorta di immagine antimafiosa, quando gli ho mostrato la rabbia di voler continuare a scrivere come unica forma della mia possibilità di libertà, lui mi ha detto ”it’s my life”. Erano problemi che lui stesso aveva affrontato». Rushdie ti ha detto che il potere teme la letteratura, gli scrittori. Alessandro Piperno, invece, dice, a proposito del tuo caso, che non è la letteratura che fa paura al crimine ma la risonanza sui media. «Nella società mediatica l’indifferenza e il silenzio sono i migliori modi per far morire una notizia, essiccare un pensiero, marginalizzare un individuo. Se tu arresti, se sequestri le copie, generi attenzione. Se generi attenzione generi mercato e se generi mercato permetti conoscenza. Questo è il meccanismo. Le mafie questa cosa l’hanno capita e non si comportano come nella Russia sovietica dove il libro dissidente, per il solo fatto di esser scritto, doveva essere bruciato e l’autore arrestato. I clan sanno benissimo che in una società democratica non si può negare il diritto di parola. Le strade allora sono due: diffamarti e poi spaventarti. Non c’è mai pallottola senza che prima ti abbiano distrutto come immagine, abbiano minato la tua credibilità. I boss hanno rivolto, a chi mi odia, una specie di appello a unirsi per smontarmi, fregarmi, sbugiardarmi. Del resto così si fa anche con i magistrati, si cerca di lasciarli emergere così, una volta emersi, mettono in ombra i colleghi. E questi ultimi spesso li isolano. Falcone una volta disse una cosa terribile ”la mafia uccidendomi mi darà ragione”. Le mafie vogliono rimanere nei confini degli addetti ai lavori, della cronaca locale. Loro adorano la cronaca locale perchè li tiene informati e spesso li rafforza nel simbolo del loro potere. Il Sud Italia è pieno di giornali ”monografici” sulla mala. Giornali stracquistati dagli affiliati... Gomorra è andato ben oltre quel circuito. Io voglio credere in una parola che sappia mutare le cose, in un ruolo dello scrittore non marginale, rinchiuso negli elzeviri. Non ho una visione accademica o elitaria. Non credo che utilizzare, seppur centellinandola, la tv sia sconveniente, o il web o spazi come myspace e facebook, gli spazi delle nuove generazioni che non servono solo a cazzeggiare. Non vengo da una generazione per cui il margine è garanzia di qualità, e se c’è il rischio che a volte i media stravolgano è un rischio che si corre. Molte volte non mi rivedo in come mi descrivono ma fa parte della sfida e del prezzo di voler parlare ed esporsi. Solo tenendo le mani in tasca non ci si sporca. Uno dei miei maestri, Fofi, me lo diceva sin da ragazzino, senza condividere non ha senso leggere e scrivere». In questa storia, meno male, c’è anche qualcosa di divertente. Come l’editing che i camorristi facevano delle copie taroccate di Gomorra. Raccontami. «Beh, hanno fatto copie false di Gomorra, vendute a 5 euro alla stazione di Napoli, distribuite nel periodo natalizio quando sapevano che sarebbero finite presto nelle librerie. Un giorno mi hanno portato una copia con un intero capitolo riscritto dal boss (credo che sia stato lui) cui era dedicato il capitolo. Fatto sta che c’erano copie di Gomorra false con un capitolo mutato. Poi c’è qualche boss che chiede i diritti d’autore, perchè racconto storie della sua vita». Hai fatto notare che nell’ultima campagna elettorale sia a destra che a sinistra hanno evitato di parlare di mafia e appalti. Gomorra non è servito a niente? «I lettori sono spesso più avanti, e molto, rispetto alla politica». Che ne pensi dell’Italia uscita dalle elezioni? «Che molti intellettuali di questo Paese non riescono più a capirlo. E raccontarlo». Ci sono state accoglienze diverse nei tanti Paesi dove Gomorra è stato tradotto? «Andare all’estero e vedere come il pubblico reagisce è esperienza quasi mistica. In Scandinavia avevo librerie stracolme, con la fila fuori e non capivo. Capii quando mi presentarono come Roberto Soprano. Come Tony Soprano! Gomorra veniva letta come la versione reale della fiction da loro adorata. In Canada hanno preso Gomorra come un libro che poteva essere utile a comprendere gli enormi flussi finanziari criminali che arrivavano lì senza che governi e polizie locali dicessero nulla. In Francia come il libro sull’Italia terribile e desolata. A Parigi un famoso intellettuale mi ha detto «io amo voi, amo i libici, i turchi, i tunisini, i napoletani, tutti voi senza una società democratica”. Non mi sono offeso, mi riconosco in questa appartenenza mediterranea ma il suo tono, in merito alla democraticità, non mi è piaciuto. In Giappone è stato uno scandalo...». Sai che è difficilissimo avere un successo mondiale come il tuo che, per giunta, è un successo calvinisticamente corretto, come direbbe Piperno, cioè un successo meritatissimo? « per me incredibile che Gomorra sia piaciuto a Joe Pistone, che l’abbiano letto Gandolfini, Scorsese, il mitico Nick Mancuso (attore di western e film di mafia) e Ian McEwan. Io mi sento quello di sempre. Che va in palestra per sentirsi meno solo, con il mio braccio tatuato maori, e con l’ossessione di raccontare letterariamente il budello del mondo». Fine intervista. Venerdì 9 maggio Ore 1,10. Mio sms: «Grazie Robè, un abbraccio a te e a Silverblack, il gorilla di Toronto». Ore 1,15. Risposta Saviano: «Abbraccio Antò. Fissare negli occhi Charlie, il silverblack, vale quanto un migliaio di versi».