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 2008  agosto 01 Venerdì calendario

NEW YORK

Le immagini, uniche e straordinarie, scattate dal cinquantunenne californiano Pete Eckert gli hanno appena fatto vincere la prestigiosa competizione fotografica Exposure, organizzata da «Artists Wanted»: un gruppo fondato due anni fa da William Etundi e Jason Goodman, insieme a varie istituzioni culturali della città di New York, per lanciare e promuovere i nuovi talenti della scena artistica internazionale.
Arrivare primo in una lista di concorrenti che includeva artisti di ben 15 Paesi – tra cui Spagna, Israele, Canada, Russia, Italia, Argentina e Giappone – significa che la prossima settimana le gigantografie delle sue foto, a metà tra realismo e astrazione, tappezzeranno gli edifici e i tetti di Chelsea, «Dumbo» (acronimo di Down Under the Manhattan Bridge Overpass, una zona centrale di New York) e Williamsburg.
Non solo. Dal 7 al 10 agosto il fortunato vincitore sarà anche protagonista di una mostra personale alla Leo Kesting Gallery, nel Meatpacking District (il nuovo, caldissimo quartiere newyorchese dell’arte). Un traguardo senza precedenti nella storia della fotografia, se si pensa che Eckert è completamente cieco.
«Sono legalmente non vedente da vent’anni, cieco totale da cinque», spiega l’artista, affetto da retinite pigmentosa, un’incurabile malattia degenerativa degli occhi. Ma è stata proprio questa sua condizione a spingerlo verso la fotografia. «Voglio mostrare al mondo che posso vedere usando i miei altri sensi, i ricordi, le emozioni, i suoni e il tatto», racconta. «Solo interagendo con il mondo dei vedenti posso demolire i loro pregiudizi sul nostro universo. E costruire ponti».
Quando i medici gli comunicarono la terribile diagnosi, Eckert, allora un falegname nella natia Sacramento, decise che non si sarebbe chiuso in un ghetto abitato solo da gente come lui. Tornò sui banchi di scuola e conseguì ben due lauree, una dopo l’altra: la prima in ceramica e scultura presso il prestigioso Art Institute di Boston, la seconda in disegno industriale alla San Francisco State University.
Più tardi ottenne anche la cintura nera di tae kwon do e si mise a insegnare quell’arte marziale di autodifesa a studenti scettici e persino ostili nei suoi confronti. «Un bel giorno – ricorda – detti una bella lezione a un gruppo di teste calde. Dopo aver trascorso una settimana a studiare la configurazione della palestra della scuola in base ai suoni e al calore prodotto dalla luce, li misi Ko. Fu allora che capii la forza straordinaria della memoria sonora e luminosa».
La svolta «creativa» arriva per caso nove anni fa, quando, riordinando gli armadi della sua casa di Sacramento, trova in un cassetto una macchina fotografica a raggi infrarossi. Il resto è storia: «Già allora riuscivo a percepire la luce in maniera così vivida da arrivare a vedere i contorni del mio scheletro proprio come un’energia pulsante, o come dei raggi X. A volte – incalza – riesco addirittura a dare una forma umana ai suoni e a intravedere persone e oggetti dal retro della mia testa».
Il metodo creativo usato da Eckert è unico: «Impiego la pellicola fotografica come una tela sulla quale fissare ciò che i miei altri sensi portano all’attenzione dell’occhio mentale». Il risultato sono dei collage visivi dal sapore surreale, che fondono ricordi lontani ed emozioni tattili-auditive presenti; rappresentazioni grafiche del sentire tipico del mondo non vedente e fantasmi personali con cui cerca di narrare il decorso della sua malattia, dall’entrata nel tunnel al buio totale.
Che però non è affatto tale, perché la vista, per lui, non è affatto un dono smarrito per sempre. «Io continuo a percepire il mondo visivamente – assicura – anche se adesso devo utilizzare i miei altri sensi e la memoria per formulare una visione interna nell’occhio della mente. Perdere gli occhi non ha diminuito la chiarezza di questa visione interna, mi ha solo indotto a lavorare più sodo per acutizzare gli altri sensi e imparare il suono specifico di ognuno».
Un processo che per Eckert è molto simile a quello usato dai bambini per imparare a discernere il mondo confuso delle immagini inedite: «I neonati debbono imparare a comprendere la vista, così come io debbo imparare a capire i suoni e il loro modo di interagire con gli oggetti. Solo così posso realizzare foto sempre migliori».
A credere in lui, prima che diventasse famoso, è stata Susan Finkleman, un’artista californiana che l’ha incaricato di realizzare l’album fotografico delle sue tradizionalissime nozze in rito ebraico, sotto la kuppah. «Il matrimonio – racconta la Finkleman – è uno dei giorni più importanti e spirituali nella vita di un individuo. Nessun altro sarebbe riuscito a cogliere questo aspetto meglio di lui».
Eckert dice di lavorare solo di notte o al buio («è tutto più tranquillo e perciò riesco a vedere meglio») e di avvalersi di un compasso
braille per determinare dov’è la luce. «Sempre più spesso torno a fotografare i luoghi che frequentavo durante la mia infanzia. Sono quelli che riesco a guardare con più chiarezza».
Alessandra Farkas