Giacomo Amadori, Panorama 7/8/2008, 7 agosto 2008
Panorama, giovedì 7 agosto Il militare non l’ha fatto a Cuneo, anche se è originario di quelle colline
Panorama, giovedì 7 agosto Il militare non l’ha fatto a Cuneo, anche se è originario di quelle colline. Giampaolo, alias John Paul, Spinelli, 61 anni, dopo essere emigrato con i genitori, il soldato l’ha fatto negli Stati Uniti. Si è arruolato nella polizia di New York e, dopo anni da infiltrato nella mafia di Little Italy (lo zio era «uno strozzino e un picchiatore per i capi della malavita»), è passato alla Cia, dove nel 1998 è diventato capo del secret service di Bill Clinton. Si è congedato con il grado di Gs 15 (corrispondente a generale). Nel curriculum due sole macchie: la sfortunata battaglia di Mogadiscio, dove era capocentro della Cia, già raccontata nel film Black hawk down di Ridley Scott, e una vicenda giudiziaria che con la sua carriera americana c’entra poco. infatti indagato a Milano nell’inchiesta sui dossier illegali raccolti dalla security della vecchia gestione Telecom, con l’accusa di associazione per delinquere, appropriazione indebita, corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio. Per la procura è una delle menti dell’organizzazione ed è latitante. «Dovremmo presentare un memoriale in tempi rapidi» annuncia il suo avvocato, il torinese Mauro Anetrini. Spinelli, attraverso il suo legale, anticipa a Panorama la linea difensiva: «Le accuse? Sono sempre stato convinto di agire nel rispetto della legge e mai avrei pensato di essere al vertice di una cospirazione. D’altra parte io stavo abitualmente negli Stati Uniti e mi occupavo dell’area Usa e dei paesi dell’Estremo Oriente. Comunque ho letto molte fandonie che non mancherò di smascherare raccontando la mia versione dei fatti al momento giusto». Non fa eccezioni su un tema scivoloso: «Se vuole sapere se l’ex presidente Marco Tronchetti Provera o persone del suo staff erano al corrente dei metodi illegali di raccolta delle informazioni, rispondo che questo non mi pare argomento da intervista. Ne parlerò con il giudice». Nel frattempo Spinelli ha quasi terminato un libro di memorie in cui racconta la vita di 007 e, nella seconda parte, la vicenda Telecom. La versione italiana del manoscritto è curata da Paola Alessio, amministratrice dello studio legale Anetrini. Panorama ha letto in esclusiva le bozze. Tra le pagine si scopre che i guai di Spinelli in Italia iniziano nel 1986, quando, durante un’operazione antiterrorismo, conosce il «giovane brigadiere» Giuliano Tavaroli («Una persona straordinaria, anche se come tutti ha i suoi difetti») che 10 anni dopo lo ingaggia come consulente della Pirelli. Nel racconto Spinelli descrive uno per uno gli uomini della squadra accusata di avere prodotto i dossier incriminati: dal mago dell’informatica Fabio Ghioni («il Prete») all’ex colonnello dei carabinieri del Ros Angelo Jannone, dall’investigatore fiorentino Emanuele Cipriani all’ex collaboratore del Sisde Marco Bernardini. Ritratti ironici, a volte dissacranti, con una sola eccezione: il vecchio amico Tavaroli, colpevole soprattutto di non saper scegliere i collaboratori («Non avrei preso con me nemmeno la metà delle persone che aveva al suo fianco»). Ecco, in pillole, i capitoli dedicati ai vecchi compagni sotto inchiesta. I primi passi con Tavaroli «Quando nel 1996 fui trasferito dall’Italia negli Usa, mantenni i contatti con Tavaroli. Egli venne due volte negli Stati Uniti per visionare due fabbriche della Pirelli. Eravamo molto amici e, quindi, in quelle due occasioni cenammo insieme (...). In entrambe le occasioni, Tavaroli mi chiese che cosa avrei fatto dopo la mia uscita dalla Cia (...). Durante quegli incontri Tavaroli mi comunicò che era sua intenzione espandere l’attività nell’ambito della sicurezza, aprendo una posizione come consulente manager per il Nord America, appena fosse divenuto il capo della sicurezza Pirelli in Italia (...). Cominciarono i problemi di Tavaroli (le indagini su di lui iniziano nel 2004, ndr), ogni settimana sulla stampa italiana comparivano articoli su di lui (...). Nel corso degli anni si era creato troppi nemici e aveva fatto molti casini. Era giunto il momento di ”saldare” tutti i debiti». L’avidità di Cipriani «I genitori di Cipriani accolsero in casa Tavaroli come un figlio, dopo la morte dei suoi genitori. Quindi egli conservava un grande affetto e una forte riconoscenza verso Cipriani. Per questo gli mise in testa di lasciare la sua carriera in banca per fare l’investigatore e fu lo stesso Tavaroli a procurargli i clienti, come la Pirelli. Cipriani è una di quelle persone che o gli vuoi bene o lo vorresti strozzare. Io di sicuro avrei preferito strozzarlo. In compagnia poteva sembrare simpatico, ma sul lavoro era di una tale avidità da fare invidia a Paperon de’ Paperoni. Affidava incarichi a terzi pagandoli una miseria, ma al cliente chiedeva cifre esagerate. Un esempio che posso citare furono alcune verifiche che avrebbe voluto affidarmi in territorio cinese. Lui me le avrebbe pagate 800 dollari, ma alla Pirelli avrebbe richiesto la ”modica” cifra di 4.500 sterline». Il socio Bernardini «Nel 1996 un funzionario del Sisde mi chiese di aiutarlo a salvare Bernardini dal licenziamento (...). Aveva operato per circa 15 anni come infiltrato nei partiti politici dell’estrema sinistra italiana (...). Quando cominciai a utilizzarlo come sostegno in Italia, spesso mi proponeva qualche iniziativa commerciale. Vantava delle conoscenze con deputati di destra, conosciuti da giovane, e pensava che tramite loro si potessero ottenere dei contratti con il governo (...). Ci fu la questione con la Regione Lazio (...). Il funzionario con cui parlammo sembrò subito entusiasta delle proposte, ci diceva sempre yes, ma, in sostanza, non ci affidò mai alcun lavoro (...). «Quando fu perquisito l’ufficio di Tavaroli dai carabinieri, io mi trovavo negli Stati Uniti. Bernardini appena apprese la notizia andò nel panico e ordinò a tutti i dipendenti di rientrare in ufficio, di prendere qualsiasi documento e di distruggerlo. Lo stesso valeva per i computer e tutte le memorie. Il perché di tutto questo lo sapeva solo lui (...). Era evidente che i problemi giudiziari sarebbero cresciuti con il passare del tempo e che licenziarlo ora avrebbe creato una situazione di imbarazzo, perché sicuramente Bernardini sarebbe andato dai pm a raccontare qualsiasi cosa pur di levarsi dagli impicci. Pertanto decisi di non farlo». Il nemico Jannone «Incontrai Jannone una sera a Milano. Non sapevo chi fosse e nemmeno che era stato assunto da Tavaroli per via di una certa pressione esercitata dai vertici dell’Arma dei carabinieri (...). Quando lo conobbi, mi disse, senza mezzi termini, che voleva sbarazzarsi di Tavaroli. Mi sembrò un discorso azzardato, soprattutto se rivolto a me che ero amico di Tavaroli da almeno 20 anni, e quando espressi i miei dubbi a Giuliano, come al solito lui, da buon cristiano, si scusò per quel comportamento (...). «La parte interessante del lavoro di Jannone cominciò quando Tavaroli si ruppe letteralmente le scatole di lui e lo trasferì in Brasile (...). Cominciò a richiedermi di pagare fatture per la Telecom di tasca mia, con la promessa che i soldi mi sarebbero arrivati entro breve (...). La goccia che fece traboccare il vaso fu la lamentela di uno studio di avvocati, credo del Cile, per pagamenti non effettuati anche se sotto contratto con la mia società. A quel punto gli dissi che non avrei continuato nel nostro rapporto professionale. «Bernardini subentrò subito nel business (...). All’inizio del 2006 incontrai di nuovo Jannone a Milano, a una conferenza. Mi disse subito: ”Facciamo come i soldati: prima a pugni e poi ci prendiamo un caffè”. La mia risposta fu: ”Per i pugni no problem, ma il caffè mai”». Il Prete: Ghioni «Questo nomignolo gliel’ho dato io perché è uno alto, magro, solito indossare camicie con il collare alto e abiti scuri. Il Prete non mi fece subito una buona impressione, anzi. In ogni caso, dato che Bernardini era il mio uomo in Telecom, lui e il Prete cominciarono a lavorare insieme. Ebbi l’impressione che il rapporto funzionasse. Tavaroli era convinto che, viste le capacità del Prete sui computer e le attitudini investigative di Bernardini, potessero fare grandi cose. «L’idillio, però, durò poco. Cominciai a ricevere numerose telefonate del Prete, nelle quali si lamentava dell’operato di Bernardini, che considerava una persona lenta e incapace nel suo lavoro. Bernardini a sua volta si lagnava che l’altro era troppo esigente e scostante (...). «Il Prete stava facendo soldi a palate con le sue consulenze e più di una volta chiese di poter essere aiutato ad aprire un conto all’estero. (...) Un giorno, quando il mio computer di casa non diede più segni di vita, gli portai l’hard disk. Lui copiò tutto il contenuto su un cd, senza chiedermi un centesimo. Quello che appresi dopo è che, a mia insaputa, si era fatto una copia e così quando fu arrestato consegnò tutto al magistrato. Il giudice venne a conoscenza dei segreti custoditi nel mio pc: l’elenco degli invitati al matrimonio di mia figlia». Giacomo Amadori