La Stampa 28 luglio 2008, ANTONELLA MARIOTTI, 28 luglio 2008
L’uomo che coltiva il deserto. La Stampa 28 luglio 2008 Si può sognare un progetto a 84 anni? Si può credere di guarire il deserto, uno dei mali del mondo? Si può, dice Venanzio Vallerani, classe 1924, agronomo e zootecnico «laureato» come ci tiene a precisare
L’uomo che coltiva il deserto. La Stampa 28 luglio 2008 Si può sognare un progetto a 84 anni? Si può credere di guarire il deserto, uno dei mali del mondo? Si può, dice Venanzio Vallerani, classe 1924, agronomo e zootecnico «laureato» come ci tiene a precisare. Si è potuto ieri in Niger, Somaliland e Burkina Faso. Si potrà domani in Siria o in Angola. Nato a Marsciano di Perugia, là dove ci sono soltanto colline, Vallerani ha trovato il modo per fermare l’aridità. Eppure la sua formula è così semplice: portare l’acqua nel deserto è inutile, bisogna sfruttare quella poca che c’è. Quanto ai semi, gli unici da usare sono quelli in grado di sopravvivere in quelle terre infernali. «Non vedo altro sistema che questo - racconta -. Adesso con il mi’ figlio siamo nell’Inner Mongolia, la più grande regione della Cina, all’estremo Nord del Paese, dove il clima è terribile e non cresce quasi nulla. I cinesi ci hanno chiesto di arare trecento ettari all’anno. In tre anni siamo già a 2500. Lì dove adesso c’è il deserto freddo prima era una foresta: noi la faremo ricrescere, ci basta una pioggia di quaranta millimetri». Quando parla, l’uomo che vuole coltivare la sabbia non ha argini: racconta di ambasciatori, di rappresentanti Fao, delle difficoltà a spiegare quello che ha inventato e da trent’anni porta nei deserti dell’Africa. Sui palchi dei congressi corre avanti e indietro per far vedere come va veloce il suo trattore. Dove lo capiscono tira fuori un fiume di parole in francese o in portoghese, altrimenti fa sudare i poveri interpreti ansimanti che faticano a stargli dietro. Qual è l’idea? Gli aratri, ne ha due diversi a seconda della natura del terreno, scavano la terra in modo che la rara pioggia non scappi via: l’acqua deve restare nel solco, a sostenere i semi che daranno piante solide e forti. «E’ talmente facile che non tutti lo accettano. Per esempio la semina diretta è una cosa che non piace a molti». Lui non lo dice, ma si intuisce che la polemica gira intorno al business dei vivai per l’agricoltura del terzo mondo: miliardi di euro. Invece il «sistema Vallerani» costa poco, non sposta né denaro né persone, usa quello che trova e dà lavoro alla gente del posto: per un ettaro bastano tra i trenta e i cento euro. Quando l’agricoltore del deserto racconta delle distese aride che soffocano il pianeta ha solo una certezza: «Possiamo vincerle. Ce la si fa». Capelli bianchi candidi, vitale come solo un’ottantenne riesce a stupire elenca nomi di politici illustri del suo nuovo progetto con il ministero dell’Ambiente. Non è sempre stato facile, perché è lui a non essere facile: va dritto al problema, dice a tutti quello che pensa. Figlio di un procuratore generale di Cassazione, sotto il fascismo si sentiva felice «sono stato campione di pentathlon. Stavo bene, facevo tanto sport». Adesso di quel periodo gli è rimasta una casa del Cinquecento dove il tavolo da pranzo è nascosto da centinaia di fogli, libri sul suo progetto, fotografie e riconoscimenti, come quello di «Professore onorario contro la desertificazione» (in Cina), le fotocopie di francobolli stampati in Niger, Burkina Faso persino in Cina, che hanno come sfondo lui e i suoi campi e trattori. «Mia moglie Maryan è ormai rassegnata. Si cena con il vassoio sui fogli. Oh, che dire... io con il computer non ci so fare». Tutto comincia nel ”79, quando la Fao manda per la prima volta Vallerani nel Niger, dove da sempre donne e uomini scavavano la terra a semilune prima di seminare. «Ho meccanizzato il loro metodo. La Nardi mi ha costruito due aratri: il treno e il delfino». Poi ci voleva un trattore potente per quelle terre rese marmo dall’aridità. Ne acquista uno dalla New Holland. Comincia in Africa ed è un successo. Da quel trattore Vallerani vuole sempre di più, telefona s’arrabbia e telefona ancora fino a incontrare Lodovico Tarabini, responsabile vendite, agronomo anche lui. Da allora l’azienda affianca Vallerani e il figlio Alessandro nel mondo. Da luglio il «Vallerani System» è in Cina, dove «fanno paura per quanto imparano in fretta». Gli è stata affidata un’azienda statale di 22 chilometri quadrati. E’ vero: si può avere un progetto a 84 anni: e l’ultimo di Vallerani è così enorme che non vuole parlarne, chissà se lo crederanno pazzo, «ma io campo fino a 150 anni, ho fatto un patto con Dio…». Da sotto le carte spunta un disegno: è l’Africa con una grande cintura verde dal Niger a Gibuti. ANTONELLA MARIOTTI