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 2008  luglio 29 Martedì calendario

Da gran tempo e spesso si lanciano allarmi sui rischi che nel nostro Paese correrebbe la democrazia

Da gran tempo e spesso si lanciano allarmi sui rischi che nel nostro Paese correrebbe la democrazia. In queste ultime settimane le grida vengono da destra quando Berlusconi è convocato dai giudici per processi in cui è coinvolto per la sua attività d’imprenditore, e da sinistra quando il Cavaliere urla contro la «persecuzione giudiziaria» e la sua maggioranza sforna leggi ad personam. Non c’è dubbio che in questo scontro la democrazia italiana è ferita e mortificata. Tuttavia non mi pare che alle porte ci sia il fascismo, come è stato detto in questi giorni, o altre forme di totalitarismo. Semmai questi scontri confermano che la nostra democrazia è sempre più anemica e i rischi sono nella crescita dell’antipolitica dovuti all’assenza di disegni con un grande respiro politico da parte dei partiti. Non c’è democrazia senza partiti, ma se questi sono privi di forza politica, di progetti che guardano al futuro e all’interesse generale, la democrazia langue. Coloro i quali pensavano che per rianimarla e fare funzionare le istituzioni bastasse liquidare, con la legge elettorale, i piccoli partiti e incentrare la dialettica parlamentare solo su due grandi formazioni, hanno oggi materia per riflettere: la crisi della democrazia di cui tanto si è parlato non è stata certo superata. Anzi, al sogno breve del dopo elezioni è seguito uno scenario più allarmante di prima. Sia chiaro, la frantumazione politica che abbiamo conosciuto è paralizzante e dà un potere di veto a piccole formazioni personali. Ea gruppuscoli che alzano vecchie bandiere per coprire spesso piccoli interessi. L’abbiamo visto col governo Prodi. Tuttavia, la radice del male non sta nell’esistenza di piccoli partiti, ma nel fatto che i partiti, grandi e piccoli, non hanno un disegno politico e leadership autorevoli. Il partito socialdemocratico di Saragat ebbe un ruolo tra il 1948 e il 1963 quando si fece il primo centrosinistra, poi decadde perché non ebbe più né un progetto né un leader. Il partito liberale di Malagodi, proprio quando nasceva il centrosinistra, ebbe voce sino a quando ebbe un progetto, il piccolo partito repubblicano di La Malfa e Spadolini esercitò un ruolo eccezionale. Penso agli Anni Sessanta e alla «nota aggiuntiva al bilancio» del ministro del Tesoro La Malfa che costrinse i grandi partiti, Dc e Pci, a misurarsi sul terreno di un riformismo moderno. I radicali sono stati sempre un piccolo partito, ma nessuno può negare che abbiano assolto un ruolo rilevante nella vita politica e civile di questo Paese. I piccoli partiti che sono stati spazzati forse non meritavano di più perché non avevano ruolo. Di Pietro e il suo partitino personale è stato invece salvato, grazie alla legge elettorale truffaldina, dal Pd di Veltroni. Ma il punto dolente del quadro politico-parlamentare che abbiamo davanti riguarda soprattutto i grandi partiti (Pd - Pdl) che avrebbero dovuto dare una svolta alla vicenda politica del nostro Paese. Incredibile ma vero, il solo partito che sembra avere un progetto politico-costituzionale (condizione questa per definirsi un partito, diceva la buonanima di Antonio Gramsci) è la Lega di Bossi. Il suo progetto di federalismo fiscale, rozzamente esposto e demagogicamente propagandato, è al centro dell’attenzione e riceve consensi e dissensi imbarazzati e imbarazzanti nel Pdl e nel Pd. Si capisce così perché il mio giovane amico Federico Geremicca parla di una Bicamerale presieduta da un esponente della Lega. Intanto i due «grandi» sono impegnati in uno scontro sulla giustizia i cui termini sono sostanzialmente questi: Berlusconi pensa a «riforme» punitive nei confronti dei magistrati (che osano inquisirlo) e il Pd reagisce pensando di costituire una cintura di difesa all’assetto attuale della giustizia italiana. Sulle condizioni e sul futuro di questo Paese si ragiona solo in termini propagandistici. La crisi è tutta qui. Quando i partiti e i loro leaders confondono la propaganda con la politica e non riescono più a capire che la prima è utile solo se c’è la seconda e a prevalere dovrebbe essere proprio la politica, nel senso più vero e alto della parola, la crisi democratica è irrisolvibile. Pensare che in questo clima sia possibile, nel Parlamento, fare riforme istituzionali e costituzionali in grado di rendere il nostro sistema più moderno efficiente e giusto è un’illusione. Si vuole rimettere al centro la politica? La proposta che avevo fatto su queste colonne di chiamare il popolo per ridefinire un patto costituzionale tra le forze politiche, come condizione essenziale per rianimare la democrazia, aveva solo questo obiettivo. Insisto. Stampa Articolo