Luca Ubaldeschi, La Stampa 28/7/2008, 28 luglio 2008
LUCA UBALDESCHI
MILANO
Ha calato il sipario in Italia otto anni fa, dopo la tragedia dell’ospedale «Galeazzi», e per il ritorno sul palco della sanità privata ha scelto la Francia, dove è il dominus incontrastato. Un’operazione che ha il sapore della rivincita per Antonino Ligresti, medico cardiologo settantenne, fratello del più noto Salvatore, oggi presidente di Générale de Sante, primo gruppo della sanità privata francese e fra i leader in Europa, che controlla con i soci Dea Capital – braccio finanziario di De Agostini – e Mediobanca (insieme hanno l’80% del capitale).
C’è un «passaggio a Nord-Ovest» importante nel viaggio che ha portato Ligresti alla conquista della Francia. Vuoi perché il suo primo partner in questa avventura, De Agostini, ha sede a Novara, vuoi perché Générale de Santé porta come un fiore all’occhiello del gruppo il «Centro ortopedico Quadrante» di Omegna, primo esempio in Italia di ospedale a proprietà pubblica e gestione privata. Un’esperienza nata cinque anni fa e che ora, superate le diffidenze iniziali, «garantisce ottimi risultati sia per il livello delle prestazioni che per il bilancio», come sentenzia il gruppo nei comunicati ufficiali.
Ma a parte Omegna e i laboratori d’analisi Fleming di Brescia, Ligresti sta smobilitando dall’Italia. GdS sta cedendo o ha già ceduto le altre sette strutture che aveva nel Paese – l’ultima, pochi giorni fa, la «Rugani» di Siena – e per quanto sia Ligresti che i soci facciano sapere di non escludere altri investimenti in futuro, la bocciatura è nei fatti. Via dagli scandali e dalle inchieste che affliggono la nostra sanità, meglio puntare sulla Francia. E’ vero che i due Paesi hanno problemi comuni, a partire dai deficit, ma Oltralpe – spiega Ligresti - «a fronte di una professionalità del personale pari alla nostra, il sistema sanitario è più efficiente, rapido e le leggi vengono applicate e rispettate. Inoltre sono previsti maggiori aiuti, sia per la sanità pubblica che per quella privata». Senza contare, aggiunge, che i rimborsi dallo Stato si ottengono in quattro giorni, particolare tutt’altro che secondario per chi fa business nel pianeta salute. Anzi, se si tiene conto delle impressionanti difficoltà di bilancio della Regioni italiane, proprio sul fronte sanitario, l’interesse verso l’estero assume ancor più una rilevanza.
Eppure, per oltre vent’anni, Ligresti è stato un protagonista della sanità italiana. Originario di Paternò, lo stesso paese del ministro Ignazio La Russa (tra le due famiglie ci sono antichi e consolidati rapporti), Antonino ha avuto una carriera più lontana dai riflettori e più defilata quanto a legami con la politica rispetto al fratello Salvatore, costruttore, finanziere, patron di Sai Fondiaria. Tra i due, peraltro, non ci sono più rapporti da tempo, professionali come personali: «Ma di questo argomento – liquida la questione – non voglio più parlare». Avevano cominciato insieme nella sanità, con l’acquisto nel 1979 della clinica «Città di Milano».
Negli anni il nome Ligresti si issa anche sull’ospedale «Galeazzi», la clinica «Madonnina» due policlinici nella zona di Bergamo. Le strade dei fratelli si dividono e Antonino va avanti da solo. Ha progetti di sviluppo, è da sempre interessato all’innovazione tecnologica, ma è una tragica vicenda di mancati controlli e impianti antincendio senz’acqua a mettere fine alla storia. Un rogo in una delle camere iperbariche del «Galeazzi» uccide 11 persone. I processi si concludono con tre anni di servizi sociali, Ligresti dice basta. Il 16 marzo del 2000 cede i cinque ospedali per 290 miliardi a Giuseppe Rotelli.
«Dopo una tragedia del genere – racconta oggi – professionalmente avrei potuto continuare, però umanamente era impossibile. Per questo decisi di vendere. Ma non passa giorno che non ripensi a quell’incidente e, proprio per il dolore che mi causa, non né voglio più parlare». Ma la vicenda torna in qualche modo quando gli si chiede un giudizio sulla recente inchiesta alla clinica S. Rita di Milano e sugli altri scandali della sanità italiana: «E’ venuto il momento di dire cose che finora avevo taciuto. Dopo la tragedia al Galeazzi vennero setacciate oltre 3000 cartelle cliniche senza che fosse trovata alcuna irregolarità. Esaminarono 630 apparecchiature e le uniche contestazioni ci furono perché 10 erano collegate alle prese con prolunghe. Ci furono controlli a tappeto anche nelle altre strutture del gruppo e non fu trovato alcun appiglio cui attaccarsi. Forse se la stessa cosa fosse stata fatta allora anche da altre parti…».
Le strade di Ligresti e della sanità privata tornano a incrociarsi nel 2003. «Quasi per caso – dice – venni a sapere che un fondo di investimento voleva vendere la quota di controllo di Générale de Santé». Acquista il 25%, diventa il primo azionista singolo, si mette a studiare il francese e a convincere i soci che è lì per restare. Poi l’anno scorso il gran salto. Di fronte al rischio di una scalata ostile, lancia l’offerta pubblica di acquisto che valorizza il gruppo 1,8 miliardi. Al suo fianco, oltre a Mediobanca, si schiera Dea Capital che debutta nella sanità. «Abbiamo investito perché il gruppo è solido e opera in un settore che può creare valore – dice Paolo Ceretti, rappresentante di Dea Capital nel Consiglio di sorveglianza -. Ma c’è anche un aspetto culturale, perché siamo una società che si identifica in una famiglia che si impegna in prima persona negli affari al pari di Ligresti».
La «seconda vita» del dottor Antonino nella sanità ha confini che impressionano: GdS copre il 16% della sanità privata in Francia, fattura 1,9 miliardi con un utile di 45,6 milioni. Ha 205 tra ospedali, centri diagnostici e di riabilitazione. Strutture anche di alta specializzazione.
Monsieur Boulez, dirigente d’industria, è depresso? Buone probabilità che finisca in una clinica del polo Médipsy creato dal gruppo di Ligresti. Siete a sciare in Alta Savoia e – il destino non voglia – cadete malamente? Eccovi arruolati nell’esercito dei 500 ricoverati che ogni settimana affollano l’ospedale GdS per le emergenze ortopediche prima di essere accuditi dal programma di riabilitazione a domicilio.
Un’organizzazione che all’orizzonte vede investimenti per 600 milioni in 5 anni: serviranno a creare nuovi ospedali e accorpare quelli più piccoli con l’obiettivo di «puntare sempre più all’eccellenza».
Tutto in Francia, comunque, dove le differenze pesano anche nel rapporto con la politica. Ancora Ligresti: «Ho trovato grande disponibilità all’ascolto, l’atteggiamento pregiudiziale è cambiato e c’è un dialogo proficuo. Il presidente Sarkozy ha lodato il lavoro delle strutture private e di Générale de Santé in particolare e stiamo collaborando con la commissione pubblica per la riforma della legge sanitaria». In Italia, invece, come vede il futuro della sanità? Il dottor Ligresti accenna un sorriso: «Preferisco non pronunciarmi».
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