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 2008  luglio 28 Lunedì calendario

L’emendamento sui contratti a termine, approvato a sorpresa in Parlamento, ha toccato uno dei nervi più sensibili della società italiana, quello legato alla precarietà del mercato del lavoro

L’emendamento sui contratti a termine, approvato a sorpresa in Parlamento, ha toccato uno dei nervi più sensibili della società italiana, quello legato alla precarietà del mercato del lavoro. In Italia vi sono oggi due mercati del lavoro. Da un lato vi è il mercato primario, dove circa 15 milioni di lavoratori sono assunti a tempo indeterminato con grandi tutele sulla stabilità del loro rapporto lavorativo. Nel caso dei dipendenti pubblici e dei lavoratori delle grandi imprese, la certezza del posto è quasi assoluta. Vi è poi un mercato del lavoro secondario, formato da circa 3,5 milioni di lavoratori precari. Questi ultimi sono i lavoratori a termine, i lavoratori a progetto e tutti quei lavoratori che svolgono mansioni simili a quelle dei lavoratori del primario, ma con protezioni decisamente inferiori. I lavoratori di questo mercato secondario sono circa il 15 per cento del totale, ma si arriva quasi al 50 per cento tra i lavoratori più giovani. Lo psicodramma di molti giovani lavoratori riguarda la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. In un anno poco più del 10 per cento dei lavoratori riesce a fare il tanto desiderato salto. Uno dei modi per forzare la conversione del rapporto di lavoro è quello di impugnare presso il tribunale la regolarità del termine apposto al contratto. In questo caso sarà il giudice a decidere se il termine inserito nel contratto era regolare. In caso di irregolarità un lavoratore di una grande impresa avrà così diritto di essere reintegrato in via permanente sul posto di lavoro. Nel caso dei lavoratori a termine delle Poste, la pratica del ricorso era molto diffusa e determinava quasi automaticamente il reintegro permanente sul posto di lavoro. L’emendamento approvato dalla Camera è volto ad attenuare i diritti dei lavoratori che vincono la causa. Questi lavoratori avrebbero d’ora in poi diritto soltanto a un indennizzo monetario fino a sei mesi, senza poter essere reintegrati sul posto di lavoro. C’è già chi parla di incostituzionalità della norma. Al di là dei dettagli giuridici, è comunque evidente che il sistema vigente non funzioni e che sia necessario un riordino della disciplina. Non a caso, durante l’ultima campagna elettorale, quello del precariato è stato uno dei temi più dibattuti. La soluzione per superare la situazione attuale e i paradossi esistenti si può trovare. Si dovrebbe istituire un nuovo contratto che mantenga la flessibilità nelle assunzioni per le imprese, ma che al tempo stesso garantisca ai lavoratori un sentiero certo di lungo periodo, senza ricorsi in tribunale e senza psicodramma da conversione. Il «contratto unico a tutele crescenti nel tempo», proposto da diversi mesi sulla voce.info, rappresenta esattamente questa soluzione. Sarebbe un contratto a tempo indeterminato fin dall’inizio. Tuttavia, le imprese avrebbero diritto a interrompere il rapporto di lavoro nei primi tre anni dietro il pagamento di un indennizzo che crescerebbe con la durata del lavoro. Le soluzioni tecniche non mancano. però evidente che un tema tanto sensibile richieda una seria discussione in Parlamento e un coinvolgimento delle parti sociali, fermo restando che la maggioranza ha il diritto-dovere di decidere i dettagli della nuova disciplina. Una riforma dei contratti di lavoro è però cosa diversa da un’imboscata parlamentare, come frettolosamente avvenuto la scorsa settimana. pietro.garibaldi@carloalberto.org Stampa Articolo