Sergio Romano, Corriere della Sera 28/7/2008, 28 luglio 2008
Nelle monarchie (a parte il Regno Unito) e nelle repubbliche parlamentari, la Costituzione è esplicita nel circoscrivere la carica di capo dello Stato a mansioni rappresentative o quasi
Nelle monarchie (a parte il Regno Unito) e nelle repubbliche parlamentari, la Costituzione è esplicita nel circoscrivere la carica di capo dello Stato a mansioni rappresentative o quasi. In Italia la Costituzione formale attribuisce al Presidente della Repubblica poteri rilevanti (non così lontani dal suo collega francese) a evidente compensazione della debolezza del premier. Quella materiale, in ragione dell’investitura indiretta, li rende poco più che notarili e li attribuisce alla maggioranza parlamentare. Immaginiamo però un Presidente che formi il governo a sua totale discrezione; che, di fronte alla mancata fiducia, tempesti il Parlamento di messaggi minacciosi; che nomini nuovi senatori a vita per alterarne gli equilibri numerici; che sciolga le Camere e si rivolga alla nazione per condizionarne il voto; che sciolga per decreto i Consigli regionali (art.126). Tutto questo facendo leva sulle Forze armate e sulla magistratura, di cui è costituzionalmente il capo. Sarebbe accusato di golpismo o attentato alla Costituzione (per Segni e Cossiga è bastato molto meno). Eppure potrebbe chiamare a sua difesa proprio il dettato costituzionale. un’ipotesi del tutto immaginaria, siamo stati fortunati o, più semplicemente, va riconosciuta la sapienza dei costituenti? Salvatore Seu salvatoremseu@ hotmail.com Caro Seu, Nella V Repubblica francese il capo dello Stato presiede il Consiglio dei ministri, nomina il Premier e può sostituirlo senza che la revoca comporti un voto di censura dell’Assemblea nazionale, può scioglierla e anticipare le elezioni, è responsabile della politica estera, è capo indiscusso della Forze armate (una carica non irrilevante in un Paese che dispone di armi nucleari). In Italia il presidente della Repubblica ha molti poteri, ma meno chiaramente definiti. Può nominare cinque senatori a vita (art. 59). Può convocare le Camere in via straordinaria (art. 62). Può mandare un messaggio motivato alle Camere prima di promulgare una legge (art. 74). Nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su sua proposta, i ministri (art. 92). Può sciogliere le Camere o anche una sola di esse, dopo avere sentito i loro presidenti (art. 88). Può inviare messaggi alle Camere, autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge, promulga le leggi ed emana i decreti che hanno valore di leggi e i regolamenti, indice il referendum nei casi previsti dalla Costituzione, nomina i funzionari dello Stato, ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio superiore di Difesa e dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere, presiede il Consiglio superiore della magistratura, può concedere la grazia e commutare le pene (art. 87). Vi erano nella Costituzione italiana, sin dal primo gennaio 1948, margini di ambiguità e imprecisione che soltanto la prassi e le prove di forza tra poteri concorrenti avrebbero in parte eliminato. Il primo presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, credette di potere avere nella politica estera del Paese un ruolo non troppo diverso da quello del re e tenne una corrispondenza personale con alcuni ambasciatori. Il secondo presidente, Giovanni Gronchi, si spinse oltre e cercò di avviare dal Quirinale alcune importanti iniziative diplomatiche, soprattutto con l’Unione Sovietica. Il terzo, Antonio Segni, ritenne che la nomina degli ambasciatori rientrasse principalmente nelle sue funzioni e responsabilità. Einaudi nominò presidente del Consiglio un democristiano Giovanni Pella, che non era stato proposto dal suo partito. Giovanni Gronchi fece lo stesso con Fernando Tambroni. Francesco Cossiga cercò di dare maggiore sostanza a due presidenze (il Consiglio superiore di Difesa e il Consiglio superiore della magistratura) che avevano assunto un carattere pressoché esclusivamente formale. Oscar Luigi Scalfaro ebbe un ruolo decisivo nella formazione del governo Dini e nella scelta del calendario elettorale. Ciampi si servì del Consiglio superiore di Difesa per evitare la partecipazione dell’Italia alla guerra irachena del 2003. Alcuni di questi tentativi suscitarono le resistenze dei maggiori leader politici e dei loro partiti. Alcide De Gasperi prese le distanze dal governo Pella definendolo semplicemente «amico ». Gaetano Martino e Pella (quando divenne ministro degli Esteri) cercarono di rintuzzare le sortite di Gronchi nella politica internazionale. Aldo Moro e Giuseppe Saragat fecero lo stesso con Antonio Segni. E tralascio molti altri casi in cui il capo dello Stato, quando cercò di affermare le proprie competenze, dovette misurarsi con il governo. Ho scritto «governo », caro Seu, perché i suoi interlocutori erano generalmente il presidente del Consiglio o un ministro. Ma avrei dovuto scrivere «partiti», soprattutto per i primi quarantacinque anni della Repubblica. Furono i partiti e i loro onnipotenti segretari che emersero generalmente vincitori da queste prove di forza. Furono l’esecutivo e il capo dello Stato che ne furono generalmente sconfitti. Con l’inizio degli anni Novanta incomincia una fase nuova durante la quale tutti sanno che occorre scrivere una nuova Costituzione, precisando meglio i poteri del governo e del presidente della Repubblica. Ma nessuno, sinora, è riuscito a farlo.