Gabriele D’Annunzio, la Repubblica 27/7/2008, 27 luglio 2008
Pescara, sabato 17 marzo 1888 ti riscrivo, dopo la tua lettera con la narrazione del sonno. Povera Barbarella sonnacchiosa! Mi par di vederti, con la bocca semiaperta, con la gola palpitante, con su le gote l´ombra delle ciglie lunghissime e molli, sul piccolo tappeto di Bouckara rosso cupo
Pescara, sabato 17 marzo 1888 ti riscrivo, dopo la tua lettera con la narrazione del sonno. Povera Barbarella sonnacchiosa! Mi par di vederti, con la bocca semiaperta, con la gola palpitante, con su le gote l´ombra delle ciglie lunghissime e molli, sul piccolo tappeto di Bouckara rosso cupo. S´io fossi venuto allora e ti avessi chiusa la bella bocca datrice-di-voluttà con la bocca mia? Non essere imprudente in questi giorni. Sarà così più facile che tu possa rimaner meco, poi, più a lungo. Io spero di partire martedì, nel pomeriggio. Giungerei a Roma mercoledì di buon´ora. E mercoledì, alle tre o alle quattro, potrei venire al convegno di Barbarella che certamente io divorerò viva, senza pietà alcuna. Oh, che morsi che parranno baci, e che baci che parranno morsi! Diventerai tutta quanta di viola, te lo giuro! E non ti varrà gridare e strepitare, mia bella! Quanto mi piaci! Mi son levato. Oggi la giornata è tiepida. Ho passeggiato nel giardino ed ho colte le violette, le grandi viole odorose. Te ne mando cinque: una per la tua bocca sovrammirabile; una per la mammella sinistra che è molto amica mia; una per l´ascella destra che si lascia baciare qualche volta senza smorfie; una per ce bon petit endroit che è sotto l´orecchio, fonte di scandali inauditi; e una per la rosa delle rose, per il freschissimo fiore del mio piacere, per la rosa originale. A te nulla. Addio. Domani è il mio giorno onomastico. Mandami tutto il miele che hai sotto la lingua; tutto! Addio. [...] Gabriele Francavilla al Mare, 1 ottobre 1888 [...] Giornata assai dolce, oggi, se ben triste. Ho camminato su per le vie dei colli numerose come in un laberinto; mi son riposato sotto i nespoli carichi di frutti, quasi dolenti sotto il peso, vasti come capanne; ho guardato il mare immobile e trasparente come un cristallo a pena a pena colorito di verde; ho sentita tutta la profonda e ineffabile poesia delle cose nell´autunno; ho ascoltati i canti delle vendemmie, lenti e solenni come canti gregoriani; e l´anima mia ti ha rimpianta con infinito desiderio. Ora viene la sera. Tutte le cose, nel languore dell´aria e della luce, possono quasi perdere la loro realità. Che darei, Barbarella, per averti qui! E tu pensi che io non ti amo... Ho, sul tavolino, molte rose. Le ho colte su li ultimi rosai, nel giardino del Convento, perché domani è il giorno natalizio di Paolo Michetti. Hanno un colore un poco smorto, e anche un odore un poco smorto; ma mi piacciono tanto. Sembrano nate in un cimitero dove siano sepolti a coppie gli amanti d´un tempo. Gabriele Pescara, domenica 20 aprile ´90 sera Sono stato a San Vito. [...] Son partito stamani, all´alba. Era una mattina grigia. Il cuore mi batteva forte, mentre chiedevo un biglietto per San Vito. Oh, le mattine di luglio, quando andavo là a preparare il nido! I ricordi cominciavano ad agitarmi; e cominciavo io a rivivere in sensazione reale e profonda quel frammento di vita lontana. Ho rivissuto, in una mattina, i due mesi di felicità. [...] Come ti dirò, anima dell´anima mia, come ti dirò il tumulto interiore che ha suscitato in me la vista del nostro mare, della nostra collina, del nostro cielo? Ho il cuore gonfio. [...] Era un mare tutto bianco, sotto un cielo velato. Tutto il fascino della primavera nascente pareva raccolto in quei luoghi. Un vapore come di sogni, fluttuava su le cose. Un tepore voluttuoso emanava dalla terra, come un respiro femminile. [...] Io camminavo, io camminavo per la viottola che i tuoi piedi hanno calcato; io posavo lo sguardo su le cose che i tuoi occhi hanno guardato. Inesprimibile sensazione: - una tenerezza infinita, che si spandeva da me come un flutto; una specie di raccoglimento religioso, come in luoghi santificati dal passaggio di una persona divina. - Non so dire. Tu comprendi. E son giunto alla casa; [...] son salito per le scale che per tante volte hanno risonato sotto la tua corsa leggera; sono entrato nelle nostre stanze, nelle stanze che sanno tutta una vita di suprema felicità e di pace [...] Nulla era mutato, o quasi nulla. Sempre lo stesso letto, le imagini su parete, la porta sgretolata, la lunga mensola, e perfino la stampa di Andrea Sperelli su la parete [...] Su la soglia della prima stanza, dello studio c´era una gran pianta di violacciocche fiorita. Ti ricordi tu di quella pianticella che languiva in una fenditura del mattone? Tutta fiorita, tutta fiorita, pomposamente [...] Sul pilastrino del cancello, ancora le iscrizioni: - Barbara, 31 luglio 1889: Gravis dum suavis; - e poi sopra un mattone una parola inebriante, incisa di tua mano (ricordi tu?): - semper - . [...] Ho girato, ho visitato i luoghi noti: l´aranceto, il pozzo, la pietra sotto il sorbo, dove tu sedevi. Ho riconosciuto tutti li alberi, sotto la loro veste primaverile. Tutti mi dicevano qualche cosa di te. Tu hai lasciato là, in quel giardino selvaggio, una emanazione indistruttibile del tuo essere, della tua intima sostanza. Tu non puoi imaginare come sieno ancora tenaci i segni del tuo passaggio. - Mi pareva, ad ogni passo, di ritrovarti; mi pareva, ad ogni passo, di sentire penetrare da uno de´ tuoi fascini onnipossenti. Rivivevo la vita già vissuta. Un romore, una voce, un colore, un raggio, un profumo, una qualunque apparenza bastava a suscitare in me un´agitazione vasta e violenta come una tempesta. Poi tutti i romori, tutte le voci, tutti i sussurri sono scomparsi nella grande parola del mare. Nessun linguaggio m´era mai parso così eloquente, così vivente, così animato. Il mare mi ha suggerito, ad uno ad uno, tutti i ricordi della nostra intimità, tutti; comprendi? Il canto del mare non fu, allora, inseparabile dalla nostra vita come il nostro sangue, come il nostro respiro? Ogni atto del nostro amore aveva quel soave e profondo accompagnamento. E il mare ha, di nuovo, tutto raccontato all´anima mia. E io ho creduto di venir meno, di struggermi, di morire [...] Le ginestre non son fiorite. Alcuni fiori gialli mi avevano illuso. Eccoli. Te li mando. Ti mando una foglia di edera staccata dal tronco del gran sorbo, in vicinanza del pozzo. Ho raccolto anche una pietruzza su la spiaggia, a pochi palmi dal mare, nel luogo preciso dove alzavamo la tenda; nel luogo dove tante volte, ancora umidi e salsi, abbiamo goduta una voluttà quasi selvaggia tra l´ardore del sole e il fragore delle acque su la ghiaja [...] Addio. Mi fa male il capo. L´aria e il sole mi hanno dato una specie di stordimento; e le commozioni mi hanno sfinito. [...] Addio, addio. Ti bacio tutta quanta, furiosamente; ti bevo tutta quanta. Addio Francavilla al Mare, 11 aprile ´91 Jeri non ti scrissi. La sera di giovedì rimasi sempre solo, senza veder nessuno. Bevvi un liquore di fuoco e fumai molto, disordinatamente, per oscurare la coscienza, per rendere ottusa l´anima. Mi addormentai d´un tratto, e dormii fino al tocco dopo mezzanotte, senza sogni. Quando mi svegliai, mi sentii tutto bruciare, con una sete inestinguibile; e una bramosía sfrenata della tua carezza mi agitò orribilmente. Fino alle cinque rimasi in veglia, smanioso, febricitante, torcendomi nel letto che mi pareva di fiamma... Com´è miserabile e trista questa nostra carne! Jeri mattina, verso le dieci, mi levai stanco e pallido e pieno di amarezza. Pioveva forte; era un cielo schiacciante. Ebbi una lettera di un amico; dove trovai questo periodo: «... procura di guarire d´ogni cosa. Non so se ti ho scritto che la tua amica fu vista da un mio conoscente il Giovedì santo al sepolcro in San Pietro, insieme ad un grosso giovinotto e ad una donna piuttosto avanzata negli anni. Era forse ecc. Bada ecc. ecc. «. - Una malignità stupida, come vedi, che vorrebbe parere un pietoso ammonimento. La mia irritazione crebbe fuor d´ogni limite. [...] Ebbi la tua lettera dove si parla ancora di disperazione, di avvenire oscurissimo, e di paure e di precipizii. Cercai di leggere, di scrivere, di distrarmi. Avevo dentro di me un lago di bile. E pioveva, e il cielo si faceva più cupo. Verso le quattro, vidi entrare nella mia stanza Ciccillo tutto insonnito. Aveva dormito pesantemente su una sedia, e si sentiva male. Aveva dispetto contro sé stesso e contro tutti e contro tutte le cose, - mi disse. La giornata era cattiva anche per lui. [...] D´un tratto udimmo la voce del dottore; che è un corpulento epicureo. Ciccillo disse: - Basta. Ora incanagliamoci. E col dottore, che schiamazzava e rideva, Ciccillo combinò una cena. Ambedue avevamo il bisogno di sfuggire alla nostra coscienza, di soffocare il malessere, di avvoltolarci nella volgarità, di stare in mezzo a persone mediocri. Andammo a cena, in una casa di Francavilla. Oh le brutte risate! Che orrore! Che orrore! [...] Stamani sto peggio di jeri. Piove ancora e fa freddo, un freddo umido che penetra nelle midolle. Non so che fare [...] Tenevo gli occhi, dianzi, su una ballatetta di Cino da Pistoja, che incomincia: Amor, la doglia mia non ha conforto, Perch´è fuor di misura: Così la mia ventura, Quando m´innamorò, m´avesse morto! Le lettere pubblicate sono tratte dall´archivio privato Federico Roncoroni, Como