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 2008  luglio 27 Domenica calendario

A tutti gli uomini, per tutti i tempi». Povero, povero marchese di Condorcet. Pensava proprio che la Francia dei Lumi avesse fatto al mondo un regalo universale ed eterno

A tutti gli uomini, per tutti i tempi». Povero, povero marchese di Condorcet. Pensava proprio che la Francia dei Lumi avesse fatto al mondo un regalo universale ed eterno. La libertà? L´eguaglianza? La fraternità? No: il metro. Misura scientifica delle cose, trionfo dell´esattezza e figlio della Ragione. Che angoscia per lui, matematico illuminista, utopista e rivoluzionario, se potesse sentire come è stato accolto pochi giorni fa quel dono sull´altra sponda della Manica. «Fascismo metrico decimale», ecco come. Si sono arrabbiati di brutto gli isolazionisti del piccolo UK Independence Party, ma un po´ di sgomento è circolato anche fra i moderati, e perfino fra gli europeisti convinti, quando sotto i colpi del metro un altro pezzo di Impero s´è sgretolato. Un pezzo grande meno di mezzo ettaro, ma con più di mille anni di storia. L´acro. stato condannato a morte dall´Europa unita. Una clausola scivolata quasi inavvertitamente fra le righe di una noiosa direttiva Ue su agricoltura e pesca stabilisce che dal primo gennaio 2010 in Inghilterra non si potranno più stipulare compravendite di terreni con quella misura tradizionale, pari a 4.840 iarde quadrate, equivalenti a 4.046 metri quadri; il catasto dovrà accettare esclusivamente ettari. L´acro raggiunge dunque il furlong, la pertica, il rod, il chaldron, il cran, il cavallo vapore e il grado termico britannico nel cimitero delle unità di misura imperiali defunte. Gridano al tradimento i Metric Martyr, seguaci del droghiere Steve Thoburn che sette anni or sono sfidò la legge vendendo le sue banane solo a libbre, e morì di crepacuore subito dopo la condanna definitiva. Pochi anni fa in effetti i britannici avevano ottenuto per l´acro, come per la pinta, una parziale deroga che pareva senza scadenza. Pareva. Ma i sostenitori del sistema metrico decimale (ce ne sono anche là) hanno deciso di passare all´offensiva, di portare a termine la rivoluzione interrotta del 1965, quando il Board of Trade annunciò entro dieci anni la conversione integrale, che invece restò in mezzo al guado, cosicché oggi i sudditi di Sua Maestà bevono limonata a litri ma birra a pinte, corrono i centro metri piani ma guidano per miglia, perdono chili con la dieta ma li riprendono sbafando libbre di pudding. La storia ha le sue vendette sottilmente scioviniste. Nel 1790 gli inglesi si ritrassero intimoriti dalla proposta dei dirimpettai francesi, freschi di rivoluzione, di lavorare insieme alla riforma dei pesi e delle misure che partorì, appunto, il metro. Due secoli dopo se la vedono imporre d´autorità da Strasburgo. L´inglese è riuscito a imporsi come lingua franca del mondo, ma il metro, invenzione parigina, ne è diventata la misura franca. Sotto il Big Ben si affoga il dispiacere nelle pinte del pub, già tremando al pensiero di dover presto ordinare «568 ml di bitter, please». Ma raccontarla così, come una bega nazionalista, una tragicomica guerricciola fra tradizionalisti e innovatori, è sbagliato. La morte dell´acro è una tappa della lunga rivoluzione culturale nel rapporto tra l´uomo e lo spazio. Stiamo parlando di una delle strutture portanti della storia, mica scherzi. Cos´è l´acro? Viene dal latino ager, radice etimologica di agricoltura. Dall´alto medioevo in poi, indica quella striscia di campo che un uomo e un bue possono arare in una giornata. Come tutte le misure più antiche della terra non è una quantità assoluta, ma una relazione spazio-temporale fra l´uomo e la natura. Protagora: «L´uomo è la misura di tutte le cose». Lo è stato veramente, e per millenni. Cubito, una delle primizie: la distanza tra la punta dell´indice e il gomito. Poi braccio, dito, pollice, unghia (in Birmania perfino il capello): la scimmia intelligente conta il mondo con le sue membra. Dire addio all´acro è abbandonare una delle ultime misure antropomorfe della storia. Perché il metro, diciamolo, è dis-umano. I giacobini che tagliarono la testa al re di Francia gli tagliarono anche i piedi (intesi come campione di misura: il Pied du roi, 32,48 centimetri, una bella maestà di piedone davvero). La misura repubblicana doveva essere universale e naturale, come la Ragione. L´uomo abdicò alla Terra il compito di misurarsi da sola: dividendo per quarantamila la propria circonferenza meridiana. Di quegli archeo-metri a misura d´uomo resta in servizio nel mondo anglosassone ormai solo il miglio: i «mille passi» (doppi e militareschi: dest-sinist!) con cui i calzari delle centurie romane tracciarono le vie dell´Impero. Ma anche per lui l´ora sta per suonare: ThinKMetric!, intimano sulle highway americane grandi cartelli con le tabelle di conversione in chilometri. Bene, benissimo: è la globalizzazione, bellezza. Come ci si muoverebbe sennò in un mondo senza comune misura? Vogliamo forse girare col convertitore tra tsubo giapponesi, peninkulma finnici, li cinesi eccetera? Le verste ci danno quel delizioso senso di vaghezza letteraria nei romanzi di Tolstoj, ma sono un po´ scomode per viaggiare. Il mondo interconnesso reclama uniformità, è evidente. Nel ”99 la sonda Climate Orbiter della Nasa si schiantò su Marte perché i progettisti avevano pasticciato tra pollici e centimetri. Un solo pianeta, una sola misura. Per i nostalgici della bio-diversità metrica qualche contentino, qualche nicchia ecologica: il nobile furlong (un tiro di buoi) si usa ancora per certe corse di cavalli, tanto lì male non fa, come un orso allo zoo. E poi, suvvia, il metro non è storicamente un frutto del progresso? Della libertà? Non furono proprio i cahiers de doléances dell´89 a chiedere a gran voce di uniformare il caos delle misure feudali, diverse tra borgo e borgo, e magari tra banco e retrobottega, caos comodissimo per baroni avidi e mercanti truffaldini? «Non avrai due pesi e due misure», anche per la Bibbia è questa la definizione di giustizia. Il metro non è una conquista democratica? Be´, piano. Il sanculotto chiedeva solo di non essere buggerato, chiedeva che un´auna fosse uguale a Orange come a Blois, e che il fattore non pesasse il grano con un´oncia per comprarlo e un´altra per venderlo. I giacobini gli diedero tutt´altra cosa: non uniformità, ma unificazione. Tutte le misure sussunte in una sola. Il metro fu un regalo non richiesto, l´invenzione di un´élite di matematici e fisici. Qualcuno l´ha definito un «colpo di stato della scienza». Esportato poi, in nome della Ragione, sulla punta delle baionette: nell´Italia delle repubbliche napoleoniche come nell´Africa coloniale. Imporre a un popolo nuove misure è come imporre una nuova lingua o una nuova moneta: un atto politico, sempre prepotente, a volte necessario. In fondo l´euro l´abbiamo pure digerito e non siamo diventati meno liberi. Allora, viva la Ragione. Ma l´efficacia non le viene dietro automaticamente. Il problema è questo, non la nostalgia retrograda. Il polacco Witold Kula, il maggiore storico della metrologia, convinto decimalista, si lascia sfuggire un dubbio che farebbe felici i tradizionalisti di Londra: «Socialmente ed economicamente, un ettaro non è uguale a un altro». Eresia! Ma come, abbiamo appena unificato le misure del mondo e già ne dubitiamo? Ma sì, chiedete al contadino se un ettaro di buona terra grassa e un ettaro di sassi valgono la stessa cifra, costano lo stesso sudore, danno lo stesso prodotto: sarebbero uguali in cosa? Certo, il metro unifica le quantità, ma è davvero solo questa che ci interessa? E la qualità delle cose del mondo? Le vecchie misure proprio questo riuscivano a dare: informazioni sul valore, cariche di significati anche complessi. L´estensione, la pura quantità, non è sempre l´informazione più importante. In questo i tomoli, gli stai e le giornate dei nostri nonni erano più efficienti del nostro ettaro. Il campo che si ara in due giorni è diverso da quello che si ara in uno solo; il solco che ha bisogno di due moggi di semente è diverso da quello che per dare gli stessi frutti se ne mangia quattro. Nella presunta "era del pressappoco" la terra si misurava molto precisamente con la fatica che strappava, con le risorse che ingoiava, addirittura con la fame che riusciva a placare: bocche si chiamano ancora oggi gli appezzamenti di terra che alcune partecipanze agrarie dell´Emilia redistribuiscono periodicamente ai millenari discendenti dei primi soci sulla base del numero di componenti delle loro famiglie. Col metro non ha affatto vinto la Natura: il sistema metrico decimale non è una scoperta, è il prodotto di un´ideologia della comparabilità universale, al servizio dell´economia dello scambio libero e della merce senza frontiere. Ora indietro, è chiaro, non si torna. Ci teniamo il metro, anche perché funziona benone. Ma senza accorgercene, quando possiamo ne fuggiamo. Innocenti evasioni. Cosa rispondiamo all´amico che ci offre l´aperitivo, «versamene quattro centilitri» oppure «ne prendo solo due dita, grazie»? E in cucina lavoriamo sempre a ettogrammi, oppure più volentieri a manciate di riso, cucchiaiate d´olio, tazze di farina, pizzichi di sale? Lasciate ai britannici le loro pinte di birra, per carità. Ad ogni materia il suo metro di misura, è una filosofia sicuramente imprecisa ma più calorosamente umana. E poi, questo metro, con tutta la parentela di ettari e millimetri, è davvero così infallibile? Non abuserà della sua reputazione? La lunghezza di quel proto-metro di platino fuso nel 1799, calcolata in mezzo a guerre e ghigliottine da un pugno di ardimentosi geometri in sei anni di triangolazioni topografiche lungo il meridiano che corre tra Dunquerque e Barcellona, fu sorprendentemente accurata. Ma il prototipo sbaglia. La lunghezza di quella sbarra metallica è variabile al decimilionesimo di metro. Scarto ridicolo per chi deve costruire un ponte o un palazzo, enorme per chi lavora su microtecnologie che non tollerano errori superiori al decimilionesimo di millimetro. Così il metro di riferimento oggi non è più quello dei giacobini, un concreto frammento di crosta terrestre materializzato in un oggetto che chiunque può andare a vedere al museo di Sèvres. lo spazio «pari a 1.650.763,73 lunghezze d´onda nel vuoto della radiazione corrispondente alla transizione fra i livelli 2p10 e 5d6 dell´atomo di cripto 86». Misura comprensibile solo a poche migliaia di scienziati e verificabile da poche decine. La dis-umanizzazione della misura del mondo ha raggiunto il suo apice. Forse anche il suo limite. Con buona pace di Condorcet, il metro non è mai stato di tutti gli uomini, e probabilmente non sarà per tutti i tempi. Del resto, interi ambiti scientifici hanno resistito all´imperialismo decimale: il calcolo del tempo, le misure angolari. Qualche altra misura «perfetta ed eterna» ora impensabile forse sostituirà anche il sistema metrico, e nei panni dei Metric Martyr britannici finiranno allora i decimalisti. Almeno questo lato umano è rimasto, nella metrologia delle astrazioni: come l´amore, anche le misure sono eterne finché durano.