la Repubblica 26/7/2008, 26 luglio 2008
La caccia al tesoro più ricca della storia d´Italia è ai nastri di partenza. In palio ci sono 170 miliardi di euro
La caccia al tesoro più ricca della storia d´Italia è ai nastri di partenza. In palio ci sono 170 miliardi di euro. In valuta (di questi tempi) pregiatissima: si tratta di 2 miliardi di barili di petrolio e di 146 miliardi di metri cubi di gas. Nascosti nel sottosuolo del Belpaese da madre natura qualche era geologica fa e tornati oggi – con il greggio alle stelle – nel mirino delle trivelle dei cacciatori di greggio. Per il via è questione di giorni. Il ministro allo sviluppo economico Claudio Scajola è stato chiaro: «Lo sfruttamento degli idrocarburi italiani è stato bloccato troppo a lungo dalle lungaggini burocratiche e dai no degli interessi locali. Il Governo interverrà per sbloccare i vincoli», ha detto il ministro allo sviluppo economico tra gli applausi di Confindustria. Parole che non sono cadute nel vuoto: la finanziaria 2009, malgrado le resistenze della Lega, prevede già il via libera all´estrazione del gas nell´Adriatico – «ce ne sono quasi 40 miliardi di metri cubi», dice il numero uno dell´Eni Paolo Scaroni – bloccata nel ´99 dal governo D´Alema nel timore di conseguenze geologiche su Venezia e Chioggia («rischiano di sprofondare», sostengono alcuni studi). E i petrolieri grandi e piccoli di casa nostra hanno riaperto i loro magazzini e tolto la polvere dai macchinari fermi dagli anni ´70 per ripartire all´assalto dell´oro nero e del metano "Made in Italy". I paesi dell´Opec, intendiamoci, possono stare tranquilli. Certo l´Italia è il quarto produttore di petrolio e gas nel Vecchio continente dopo Norvegia, Gran Bretagna e Olanda e qui da noi sono stati scavati dal 1920 ad oggi ben 7mila pozzi. Ma tecnicamente parlando rimaniamo dei nani dell´idrocarburo. In grado, tanto per dire, di estrarre dal patrio sottosuolo solo il 10% del fabbisogno nazionale per produrre elettricità, risparmiando circa 6 miliardi l´anno sulla bolletta energetica. Con il petrolio che naviga ben oltre i 120 dollari, però, anche le nostre scarne riserve sotterranee – in grado in teoria di garantire tre anni di autosufficienza energetica al paese – sono tornate a diventare un tesoro appetibile. Tanto che nel 2007, per la prima volta da molto tempo, hanno ripreso a salire le richieste di perforazione arrivate sul tavolo del ministero, toccando quota 48, 41 a terra e 7 a mare. «Il problema è che estrarre anche un solo idrocarburo qui da noi è quasi impossibile», dice Claudio Descalzi, presidente di Assomineraria l´organizzazione imprenditoriale di settore. Il petrolio e il gas si trovano. Tutti sanno più o meno dove sono i giacimenti (nell´Adriatico e lungo la dorsale appenninica, specie in Basilicata e Sicilia). Ma far partire il primo giro di trivella è un altro conto. In qualche caso – com´è successo in Val di Noto tra i tesori del barocco – la perforazione è stata congelata per non pregiudicare un patrimonio ben più importante per il paese. Più spesso però i progetti si sono arenati su diritti di veto un po´ meno comprensibili. Come un pozzo dell´Eni in Val D´agri bloccato cinque anni per non danneggiare un´area picnic. «All´estero le cose sono diverse – racconta Pietro Cavanna, il naso più fine tra i cercatori di petrolio in Italia, scopritore per l´Eni di importanti pozzi in tutto il mondo e oggi responsabile idrocarburi della Edison ”. Se trovi un giacimento, attivare il pozzo è molto più semplice. Ci si mette la metà del tempo. E allora, piuttosto che perdere anni a cercare il greggio o il gas italiano, conviene andare a scavare il suolo e il fondo marino, ad esempio, in Egitto». Ma quanto petrolio è rimasto sotto il Belpaese? «Non dobbiamo farci troppe illusioni ”getta acqua sul fuoco Ugo Bardi, docente di chimica all´Università di Firenze e grande esperto del settore ”. Quello più semplice da recuperare è già stato tutto portato in superficie. Forse si può fare qualcosa di più con il gas. Ma non aspettiamoci miracoli. L´autarchia energetica non l´ha raggiunta Mussolini e non la raggiungeremo noi». I numeri gli danno ragione. La caccia all´idrocarburo in Italia è in costante frenata da metà anni ´90. Nel ´96 la quota di made in Italy sulla produzione energetica era al 16%, sei punti in più di oggi. Dodici anni fa erano stati estratti in un anno 20,2 miliardi di metri cubi di gas. Nel 2007 siamo scesi a 9,6. Sul greggio, malgrado i promettenti sviluppi in Val D´Agri dove presto dovrebbero entrare in funzione nuovi pozzi (la Regione raccoglie circa 200 milioni di royalties l´anno) siamo fermi ai 5,8 milioni di tonnellate di cui il 70% estratto ormai proprio in Basilicata, l´Arabia Saudita di casa nostra. I grandi giacimenti del Piemonte e di Cortemaggiore (Emilia) sono ormai in fase di esaurimento. «In effetti è così – ammette anche Cavanna ”. Certo galleggiamo ancora su un po´ di oro nero. Ma buona parte delle riserve tricolori è già stata sfruttata». Le scoperte più significative risalgono ancora all´immediato dopoguerra. «Il motivo è semplice – continua il super-cacciatore di petrolio ”. Alla fine del conflitto, mentre ancora si sparava e gli alleati stavano risalendo lo Stivale, gli americani avevano già piazzato due squadre sismiche in pianura Padana per sondare le potenzialità dell´area». E quando Washington, qualche tempo dopo, ha chiesto tra le condizioni della pace una sorta di esclusiva sulla "Po Valley operation" (come la chiamavano loro) si è messo di traverso Enrico Mattei, che fiutato l´affare ha iniziato a trivellare con l´Eni il bacino padano inaugurando l´era del greggio tricolore. Oggi non c´è più l´entusiasmo di allora: nel 2007 sono stati perforati 35 pozzi, il 28% in meno del 2006 e il secondo peggior risultato degli ultimi vent´anni, una cifra lontana anni luce dai 180 dell´87 quando l´Italia era ancora bucata come un groviera. Tra permessi e concessioni restano in attività 285 giacimenti contro i 485 di allora. Ma il greggio a 140 euro – anche se solo per qualche giorno – ha avuto l´effetto di un elettrochoc in grado, sperano i petrolieri italiani alle prese con la Robin Tax, di ribaltare la situazione. «Veniamo da anni drammatici – ha detto Emma Marcegaglia, numero uno di Confindustria – dove si bloccava tutto per motivi inesistenti. Ora è il momento dell´"ambientalismo del fare", bisogna far ripartire quello che era fermo». Il governo ha già iniziato a muoversi. Le trivelle sono uscite dai magazzini e i big dell´idrocarburo hanno già l´acquolina in bocca. Nel Polesine, del resto, le forze dell´ordine hanno scoperto intere fattorie che bruciavano nei loro fornelli e nelle caldaie di casa gas che prelevavano abusivamente con pochi metri di tubo nel terreno sotto le piastrelle di casa. Un piccolo acconto fai-da-te su quel "tesoretto" da 170 miliardi sepolto sotto i piedi del Belpaese. JENNER MELETTI al nostro inviato Appena escono di casa annusano l´aria. «La zaffata arriva quattro o cinque volte al giorno. Somiglia all´uovo marcio. Secondo me c´è una bolla di gas sotto il paese, che ogni tanto sfiata e ci appesta». Anna Groppi è stata la prima a dare l´allarme e adesso tutti i pochi abitanti di Rallio di Montechiaro sembrano segugi alla caccia del gas puzzolente. «Noi che eravamo bimbi tanti anni fa - dice la signora Groppi - sappiamo di cosa si tratta. E´ il gas che esce dalla terra assieme al petrolio, l´abbiamo annusato tante volte da piccoli». Se l´erano dimenticato, il petrolio che sta sotto il paese. Eppure, per più di tre secoli, l´oro nero che allora veniva chiamato «l´oglio di sasso» è stato la ricchezza di queste colline. «Mi ricordo i pozzi, da bambina. Poi li avevano chiusi e qui in paese il petrolio era diventato solo quella cosa che arriva da lontano e sale di prezzo ogni giorno». Basta chiedere agli anziani, svegliare i loro ricordi, e si scopre che Rallio di Montechiaro fino alla fine degli anni ”80 era un piccolo Texas. «Nomi - dice un signore - meglio non farne. Non si sa mai. I pozzi, ufficialmente, sono stati chiusi nel 1955 ma fino a pochi anni fa c´era chi arrivava qui per fare il pieno gratis. Assieme, ovviamente, a quasi tutti gli abitanti del paese». Il sindaco, Pietro Martini, racconta come si riempiva gratis il serbatoio delle Seicento e delle 127. «Qui c´erano almeno dodici pozzi, lo so bene perché fino a dopo la guerra ci lavorava mio padre Luigi. Non tutti sono stati chiusi a regola d´arte. Alcuni sono rimasti, con un tubo del diametro di trenta centimentri che usciva dal terreno ed era coperto da una botola o da una piastra. Dopo la pioggia, c´era la corsa ai pozzi. Il petrolio è più leggero dell´acqua e, quando la falda si alza, il petrolio si solleva pure lui. C´erano tanti trucchi. C´era chi portava una pompa, infilava il tubo e riempiva canestri. C´era chi buttava nel pozzo altra acqua, così il petrolio si poteva raccogliere infilando dentro un secchio. C´è anche chi ha rischiato la vita, usando la fiamma dell´accendino per vedere a che profondità fosse il liquido nero. A dire la verità, non era nero. Il petrolio di qui sembrava già raffinato, a volte sembrava acqua gialla, a volte aveva sfumature verdi». Uno dei ragazzi di allora ricorda soprattutto «l´odore di pesce fritto» che c´era in macchina, quando il pieno si faceva senza pagare. «I trattori qui da noi sono andati a petrolio per decenni. Nelle auto, se il liquido era molto denso, bastava aggiungere un po´ di benzina regolare e tutto filava liscio». Un altro anziano ricorda i tedeschi che riempivano i serbatoi di camion e carri armati. «E allora gli inglesi sono venuti a bombardare i pozzi». La chiusura non è stata fatta sempre a regola d´arte e da tre mesi la «puzza» si insinua fra le case e allarma gli abitanti. Sembra che la colpa sia delle forti piogge primaverili che hanno alzato la falda freatica e spinto in alto gas e petrolio. Antiche carte raccontano che questo non è certo un fenomeno nuovo. Già nel 1691 il conte Morando, padrone della vallata, si accorse di «un puzzo acuto e insopportabile» e vide che l´acqua che usciva da certe sorgenti «era come unta». Fece scavare un pozzo e già alla profondità di 10 braccia, 18 metri, trovò «la matrice della vena dell´oglio di sasso». Un cronista anonimo scrisse che «l´oglio zampillò puro e con grande forza» e che nella valle si udiva un sibilo simile al «suono del violino». Un ruscello accanto al paese si chiama ancora «rivo dell´oglio di sasso». Veniva usato in guerra, il petrolio, per «bombe» antesignane delle molotov. Veniva rubato dai contadini per le lucerne di casa. Veniva usato anche in farmacia. La "Petrolina" curava - così veniva annunciato - mal di testa e pertosse, scrofola, gotta, ascessi e alopecia. Già allora - siamo nel 1815 - c´era la pubblicità delle nuove medicine. «L´è un miràcul l´oli ad sass» (l´olio di sassi è un miracolo), annunciavano i profeti del petrolio. Gli scettici ribattevano che «oli ´d sass e sangu ´d bìssa, nass cuion mai po´ guarissa» (olio di sasso e sangue di biscia, chi nasce coglione mai più guarisce). Dopo il 1850 vengono costruiti i primi pozzi moderni, con tecnica «Derrick», importata da Titusville in Pennsylvania. Alcuni funzionano fino al 1955, quando si scopre che petrolio e gas sono scarsi e il gioco non vale più la candela. «Abbiamo già chiesto l´intervento dell´Eni - dice il sindaco Pietro Martini - per conoscere le cause precise di questo odore di gas. E´ intervenuta anche la Protezione civile. Certo, con tutto questo parlare di petrolio, una certa voglia ci è tornata. Magari si scopre che adesso vale la pena riaprire qualche pozzo». Verso sera si sta al fresco davanti alle case di sasso, aspettando una nuova zaffata. «Io so - dice un anziano - che un certo pozzo non è mai stato chiuso. G., ancora adesso, manda un secchio giù nel tubo e si fa il pieno. Quello è un bel self service».