Edoardo Boncinelli, Corriere della Sera 25/7/2008, pagina 35, 25 luglio 2008
Corriere della Sera, venerdì 25 luglio Verso la fine del decimo canto del Purgatorio la poesia di Dante si eleva d’un balzo a vette vertiginose di potenza espressiva e immaginativa
Corriere della Sera, venerdì 25 luglio Verso la fine del decimo canto del Purgatorio la poesia di Dante si eleva d’un balzo a vette vertiginose di potenza espressiva e immaginativa. «O superbi cristian», esclama il poeta rivolto ad alcuni peccatori che stanno espiando la loro cattiva condotta sulla terra, ma apostrofando in realtà tutto il genere umano, «non v’accorgete voi che noi siam vermi / nati a formar l’angelica farfalla?» In una sorta di embriologia celeste, Dante crede di individuare nell’aspetto di ciascuno di noi una fase del nostro sviluppo biologico- spirituale: il corpo con il quale abbiamo vissuto e viviamo tutta la vita non rappresenta altro che una sorta di nostro stato larvale. Da questa larva («verme») si svilupperà dopo la morte una sorta di celeste «farfalla», che svolerà al cospetto del Creatore, per ricevere il premio o la punizione meritati in vita: «l’angelica farfalla» dice il poeta infatti «che vola a la giustizia sanza schermi». Il nostro sente la necessità di ribadire subito dopo tale concetto, poiché prosegue chiedendosi di che cosa mai noi uomini meniamo tanto vanto, essendo «quasi entomata in difetto, / sì come vermo in cui formazion falla ». Saremmo per lui quindi solo insetti («entomata » alla greca, ma con un po’ di fantasia) ancora non completati («in difetto»), cioè una sorta di larva («vermo») nella quale è ancora assente («falla») la maturazione finale. Un’immagine stupenda e indimenticabile, questa, presente alla mia mente fino dai tempi della scuola media, per merito della professoressa di allora, religiosissima e amante della poesia, che ce la citò come esempio di grande poesia e di sublime creatività. Di tale immagine non mi sono potuto non ricordare quando, più di trent’anni dopo, mi sono occupato attivamente dei geni che controllano lo sviluppo del corpo, che sono incredibilmente gli stessi sia per il nostro che per quello degli insetti! Tutta la storia della scoperta dei geni «architetto», quelli che controllano la disposizione delle varie parti del corpo nello sviluppo di tutti gli animali che hanno una testa e una coda, dalle meduse in su, è cominciata proprio con un insetto, il moscerino dell’aceto Drosophila melanogaster. E’ stato questo piccolo insetto infatti che ci ha permesso di scoprirli. Ed è stata la susseguente scoperta che gli stessi geni controllano anche lo sviluppo embrionale di tutti i vertebrati, compresi i mammiferi e l’uomo, che ci ha fatto toccare con mano la straordinaria unità dei viventi, anche superiore a quello che poteva intravedere la grande fantasia poetica di Dante. Tutti stentarono a credere, nel 1985, che la meccanica molecolare del nostro sviluppo embrionale fosse essenzialmente la stessa di quella di un piccolo insetto, o di un vermetto elementare costituito di mille cellule in tutto, ma è così. Questo non è l’unico passo della Commedia in cui Dante si occupa di sviluppo. Per esempio, sempre nel Purgatorio, nel XXV canto, il sommo poeta espone le teorie allora correnti su come si forma il nostro corpo e come questo si incontri poi con il nostro intelletto e la nostra anima. Dice Dante, per bocca del poeta Stazio, che il sangue più perfetto dell’uomo, quello che si trova nel centro del cuore e che non va a giro nelle vene, «prende nel core a tutte membra umane / virtute informativa » e comincia a trasformarsi in seme. Poi «ancor digesto», cioè maturato, il sangue-seme «scende ov’è più bello / tacer che dire; e quindi poscia geme / sovr’altrui sangue in natural vasello». «Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme», e a seguito dell’unione dei due sangui, quello maschile e quello femminile, «comincia ad operare / coagulando prima, e poi avviva / ciò che per sua matera fé constare». L’anima vegetativa che ne deriva «imprende» poi «ad organar le posse ond’è semente» (meravigliosa espressione!), come in una pianta, ma molto più che in una pianta, perché quella è «in tanto differente, / che questa è in via e quella è già a riva». Come dire che mentre lo sviluppo della pianta arriva solo fino a un certo punto, quello dell’uomo va molto oltre. «Or si spiega, or si distende» tutta la forza informativa primigenia del seme che riesce così a organizzare con precisione ed efficienza le diverse parti del corpo con le loro funzioni. Il bello, ovviamente, deve ancora venire. «Ma come d’animal divegna fante, / non vedi tu ancor», dice infatti Stazio a Dante, chiaramente riferendosi al passaggio del nascituro da un puro stato animale-vegetativo a uno pienamente umano. Ciò avviene perché «sì tosto come al feto / l’articular del cerebro è perfetto, // lo motor primo a lui si volge lieto / sovra tant’arte di natura, e spira / spirito novo, di vertù repleto, // che ciò che trova attivo quivi, tira / in sua sustanzia, e fassi un’alma sola, / che vive e sente e sé in sé rigira ». Non appena il cervello è sufficientemente sbozzato, il Signore rivolge lo sguardo a questo nuovo corpo, allietandosi per il compimento di tanta meraviglia («si volge lieto sovra tant’arte di natura») e vi infonde («spira ») l’anima («spirito nuovo, di vertù repleto »). Questa attrae, attiva e assimila a sé («tira in sua sustanzia») tutto ciò che trova «e fassi un’alma sola». Questa anima adesso, finalmente unificata con tutte le altre facoltà materiali, intellettuali e spirituali, «vive» pienamente e acquista infine la facoltà di riflettere su se stessa («sé in sé rigira»). Nasce così anche la coscienza di sé. Lo sviluppo si è completato e il nuovo essere ha la possibilità, almeno potenziale, di andare autonomamente per il mondo. Dante è grande per la sua sensibilità, per le sue capacità espressive, per la grande fantasia delle sue costruzioni, per la sua dottrina e sommamente per la capacità di fondere tutto questo in un corpo poetico vivente. Con capacità e impegno. Fino al punto da edificare tutto un mondo poetico parallelo a quello reale, ma non disgiunto da quello e dalle sue complicazioni. In questa impresa, il quotidiano bruco diviene veramente angelica farfalla. Edoardo Boncinelli