Corriere della Sera 25 luglio 2008, Alessandro Beretta, OTTIERO OTTIERI, 25 luglio 2008
Una voce in difesa dell’arte poetica. Corriere della Sera 25 luglio 2008 Un’interessante lettera inedita di Ottiero Ottieri, datata «Milano, 28 aprile 1958», è emersa nei lavori per il catalogo della mostra Olivetti: una bella società (Allemandi & C
Una voce in difesa dell’arte poetica. Corriere della Sera 25 luglio 2008 Un’interessante lettera inedita di Ottiero Ottieri, datata «Milano, 28 aprile 1958», è emersa nei lavori per il catalogo della mostra Olivetti: una bella società (Allemandi & C., pp. 258, 38) curato da Manolo De Giorgi ed Enrico Morteo. Se nell’omonima esposizione, in corso fino a domenica presso la Società promotrice delle Belle Arti di Torino, 700 pezzi raccontano la storia culturale dell’azienda di Ivrea fondata cento anni fa, le pagine che la accompagnano percorrono un sogno industriale non privo di contrasti. Come quello, finora sconosciuto, riguardante la pubblicazione di Donnarumma all’assalto. Considerato uno dei capolavori del confronto tra letteratura e industria, il romanzo di Ottieri, apparso nel 1959 per Bompiani, racconta la storia di uno psicologo che seleziona il personale in uno stabilimento del Sud aperto da una grande azienda del Nord. Dietro ci sono lo stabilimento all’avanguardia di Pozzuoli della Olivetti, inaugurato nel 1955, e l’esperienza dello stesso Ottieri che vi lavorò dal marzo al novembre di quell’anno. L’autore avrebbe poi toccato in un’opera di fantasia il tema industriale con Tempi stretti, uscito nel 1957 per Einaudi, ma nel romanzo-reportage, a parte il bizzarro Donnarumma che chiede un’alta indennità di disoccupazione, erano molte le verità, tanto che lo scrittore inviò in anteprima il dattiloscritto al direttore dello stabilimento, Rigo Innocenti, per chiedergli consiglio. Innocenti – intellettuale con alle spalle quattro anni di prigionia in India durante la guerra – rivolse serrate critiche al romanzo e voleva bloccarne la pubblicazione: il libro, scriveva, «potrebbe essere facilmente oggetto, a mio parere, di speculazione da qualunque persona che in malafede volesse attaccare la politica della nostra azienda». Ottieri rispose con una dichiarazione di poetica (di cui qui pubblichiamo alcuni estratti) scoperta nell’archivio della figlia, Maria Pace Ottieri, da Alberto Saibene, che ha ricostruito nel catalogo i rapporti tra intellettuali e azienda. Un documento che conferma la grandezza di un autore di cui, per il 2009, si annuncia la pubblicazione di un Meridiano Mondadori. Se Donnarumma arrivò poi sugli scaffali, e nella storia della letteratura, fu grazie al placet, solo orale, di un grande industriale e intellettuale: l’«ingegner Adriano Olivetti». Alessandro Beretta Donnarumma, la censura mancata. Corriere della Sera 25 luglio 2008 Caro Innocenti, (...) mi permetta soltanto, non di polemizzare con le sue preoccupazioni, ma di dare una mia ragione, di spiegarmi. Le ripeto che attendevo più che altro obbiezioni parziali. Altrimenti sarei stato in sciocca malafede, scritto il libro, a pensare di pubblicarlo, a mandarlo a Lei per una sorta di autorizzazione, ecc.; e sarei stato molto sciocco a perderci tanto tempo (purtroppo scrivere un libro mi costa sempre una grande fatica). Ho fatto tutto questo per un motivo essenziale: la mia disposizione d’animo positiva rispetto al mondo di Pozzuoli, alla mia esperienza in esso; alla fabbrica e al paese. Una disposizione con radici profonde, di idee e autobiografiche, che lei in parte conosce, legata poi ad una particolare nostalgia e gratitudine. Ho intrapreso il libro con quella che pensavo la garanzia di tale mio atteggiamento morale, verso lo stabilimento e verso il Sud (o più di una garanzia: una adesione sentimentale). Direi che l’ho intrapreso a causa di questa garanzia. giusto quel che Lei dice al punto secondo della Sua lettera: che persone in malafede potrebbero speculare sulla nostra politica d’azienda, così come emerge dalle mie descrizioni. Questo lo ritenevo un rischio ineliminabile a qualsiasi narrazione problematica e, se non sono presuntuoso, drammatica, di una realtà: e avrebbero comportato una rinuncia, una autocensura a priori. Ma ritenevo che lo spirito di fondo della narrazione avrebbe respinto ogni attacco, che non fosse appunto di pura mala fede, e che può quindi venire ad ogni futile occasione. (…) Forse non sono riuscito. Ma lei capisce come sia doloroso vedere d’essere sfociati nell’opposto… (...) Per molto tempo, premuto da una materia che non riuscivo ad accantonare e che mi sembrava più importante di ogni altro argomento, sono stato in dubbio sul come esporla. Volevo sì dare un quadro esauriente della vita di stabilimento, ma e non lo conoscevo e soprattutto dovevo estrarne un filo solo, il più narrativamente continuo. Per quanto documento, riferibile a una situazione riconoscibilissima, «vera», ho dovuto puntare il libro invece che su una validità sociologica, su una efficacia artistica (riuscita o no). Affinché ne venisse fuori non soltanto l’angoscia privata dell’intervistatore e lo smarrimento degli intervistati, bensì – oltre a questo aspetto allora più costante e quindi più «narrabile» – il dramma obiettivo della selezione, dolorosa, colpa di nessuno, elemento necessario di ordine. Questo è il tema, il cuore del libro, o meglio il suo centro unificatore, perché ce ne doveva essere uno. L’altro punto della Sua lettera tocca il segreto professionale. Sarei stato un incosciente se non avessi previsto questo pericolo. Non amo tradire la mansione aziendale, considerarla uno strumento di esperienze da raccontare poi. Ma credevo di metter mano ad un materiale più collettivo che di casi personali. Più sociale che individuale. Ogni colloquio non doveva essere che una faccia anonima, direi intercambiabile, dell’unico problema: la disoccupazione e il desiderio di lavoro, e il nostro potere limitato, ma importante, di risolverlo. Ogni personaggio mi appariva un esempio denunciatore di tale problema, senza segreti perché la disoccupazione non è un segreto. In questo senso il libro è monotono, variazione sul tema, e i suoi personaggi stanno al di là della confessione privata, psicologica. (…) Lo spirito con cui ho scritto il libro è stato di partecipazione, di «corresponsabilità » totale alla materia di esso. Era uno spirito aziendale, nel senso migliore della parola. Ho cercato di descrivere meriti ed errori, con una risultante però delle forze progressiva, e specialmente situazioni dovute a necessità, lo sforzo della buona volontà contro un duro stato di fatto. Se mai temevo che emergesse un eccessivo spirito di fabbrica e di autopropaganda, e un eccesso di partecipazione affettiva alla questione meridionale. Ma le ripeto: questa lettera è una esposizione di intenti, non una polemica col Suo giudizio. Che accetto in quanto tale, in quanto Lei meglio di chiunque altro può fare un rapporto tra pagina e realtà. inutile che Le dica che ora la pubblicazione è sospesa sine die. Perché nasconderle che ciò mi costa un grave sacrificio? Se mai farò leggere il libro all’ingegner Adriano Olivetti quando egli ne avrà tempo e voglia; non con l’animo di ricorrere in appello, ma con il bisogno istintivo di cercare ancora un parere su qualcosa che mi sta tanto a cuore e da cui speravo un effetto tanto diverso. OTTIERO OTTIERI Adriano Olivetti (1901-1960), imprenditore e intellettuale, fondò la rivista «Comunità»