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 2008  luglio 25 Venerdì calendario

Università: la manovra finanziaria. Corriere della Sera 25 luglio 2008 Sono forti le reazioni contro gli aspetti della manovra finanziaria che riguardano l’ambiente universitario: il blocco del turnover e la possibilità di trasformare le università in fondazioni di diritto privato

Università: la manovra finanziaria. Corriere della Sera 25 luglio 2008 Sono forti le reazioni contro gli aspetti della manovra finanziaria che riguardano l’ambiente universitario: il blocco del turnover e la possibilità di trasformare le università in fondazioni di diritto privato. Ritengo sia utile tentare di esplicitare le connessioni fra i due profili. In primo luogo, la norma non limita le assunzioni in servizio dei vincitori di concorso per ricercatore banditi in esito alla norma speciale di finanziamento. In secondo luogo, la previsione di pensionamenti di docenti per il prossimo quinquennio sembrerebbe essere superiore al quaranta per cento dell’intero corpo docente. In terzo luogo, le università sono obbligate a programmare la loro offerta didattica in ragione del numero di docenti di ruolo di cui dispongono, per rispettare i requisiti minimi di qualità. L’incrocio delle considerazioni che precedono lascia supporre che il legislatore sta ponendo l’università di fronte alle proprie responsabilità per tentare: a) di impedire che tutte le risorse vengano utilizzate per concorsi che non comportano effettivi incrementi di docenza, b) di impedire che si formi, come nel passato, un modello «a onda generazionale» dell’organico universitario, c) di governare i processi di reclutamento, assicurando il mantenimento di livelli numerici e generazionali utili per il conseguimento dei requisiti minimi. La vera difficoltà della manovra che si è appena tentato di esplicitare sta, innanzitutto, nella sua incapacità di offrire a coloro che ne subiranno gli effetti negativi vie di uscita onorevoli e compromessi accettabili; in secondo luogo nella sua ipocrisia. La manovra è ingiusta, perché cancella in un sol colpo le legittime aspettative di migliaia di docenti, giustamente in attesa di vedersi riconosciuti meriti e qualità, nonché le legittime aspettative del sistema (accademico e sociale) di verificare se i docenti in servizio stanno continuando a studiare e a produrre scientificamente. La manovra è ipocrita, perché utilizzando pretesti finanziari, persegue obiettivi di indirizzo politico ben più complessi e articolati, specie in materia di rapporto qualità/quantità della docenza. Se non si avesse l’ipocrisia di sostenere che un docente che supera una valutazione per una fascia più alta di quella di appartenenza va a coprire un nuovo ruolo, si potrebbe trovare la soluzione ai problemi di verifica e riconoscimento del merito, separandoli da quelli finanziari e immaginando un sistema con organico di livelli e di connessi poteri accademici definiti. Se il passaggio da un livello all’altro fosse costituito da un riconoscimento scientifico nazionale e da una accettazione accademica locale, l’operazione potrebbe comportare solo effetti limitati sui costi di docenza. Tutto si ridurrebbe a capire, da parte di tutti, che si sta provando a proporre un compromesso accettabile e neppure tanto difficile. La connessione tra la norma che blocca il ricambio e la norma che consente alle università di trasformarsi in fondazioni private è caratterizzata da una ancor maggiore ipocrisia, pericolosamente bilaterale: le autorità centrali dissimulano le scelte reali riproponendo una insostenibile finzione dell’antica autonomia universitaria; gli appartenenti al mondo universitario pretenderebbero vivere di finanza derivata senza essere costretti, prima o poi, a presentare conti e risultati, economici e sociali. Il significato della norma potrebbe essere quello di attribuire alle università la responsabilità di scegliere tra una regolazione leggera, condizionata dal peso finanziario delle decisioni e una regolazione rigida e centralizzata, costo della scelta di sopravvivere di finanza pubblica derivata. Invero, la responsabilizzazione non è solo a carico delle università, bensì coinvolge anche le società locali e le istituzioni di riferimento. Forse si potrebbe parlare di una sorta di federalismo universitario alle prime mosse. veramente difficile, quindi, discutere dei problemi dell’università se non ci si rende conto che le due norme possono produrre effetti molto più vasti della loro apparente portata. Giuseppe Vecchio Preside Facoltà Scienze Politiche Università di Catania