La Stampa 25 luglio 2008, FRANCESCO LA LICATA, 25 luglio 2008
Contrada scarcerato ”Ora rivoglio l’onore”. La Stampa 25 luglio 2008 Da ieri pomeriggio Bruno Contrada è agli arresti domiciliari per motivi di salute
Contrada scarcerato ”Ora rivoglio l’onore”. La Stampa 25 luglio 2008 Da ieri pomeriggio Bruno Contrada è agli arresti domiciliari per motivi di salute. Dopo più di venti richieste, il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha finalmente accolto l’ennesima istanza dei legali dell’ex funzionario del Sisde. I giudici hanno motivato la loro decisione riconoscendo che «il quadro clinico del detenuto si è aggravato». Bruno Contrada, però, non potrà scontare gli arresti domiciliari nella sua casa di Palermo. E’ stato scelto di concedergli i domiciliari per sei mesi e il divieto di risiedere a Palermo perché il condannato viene ritenuto dai giudici «socialmente pericoloso». Questa limitazione ha provocato le proteste del legale, Giuseppe Lipera, che ha immediatamente annunciato un ricorso: «Bruno Contrada - ha detto ai giornalisti - non è Totò Riina né Bernardo Provenzano e non gli si può impedire di tornare a casa, a Palermo, dalla moglie e dai figli». «Siamo felici - ha continuato Lipera - che abbia lasciato il carcere, assolutamente inadeguato per le sue generali condizioni di salute, ma Bruno Contrada deve poter tornare a casa sua, magari libero». La notizia è stata accolta con grande e comprensibile sollievo dai familiari. Le sorelle Anna e Ida hanno tenuto i contatti coi cronisti, perché Contrada non può incontrare né parlare con nessuno che non siano i «familiari conviventi», pena la sospensione del provvedimento e il ritorno in carcere. L’ex capo della squadra mobile di Palermo, accusato dalla Procura di Palermo di essere stato «a disposizione di Cosa nostra», abiterà - con la famiglia della sorella Anna - in una villetta di Varcaturo, sul litorale flegreo, nei pressi di Napoli. Proprio da lì è partita la conferma che il Tribunale di sorveglianza aveva concesso i domiciliari. Particolarmente emozionata la moglie, Adriana, insegnante in pensione. La signora Adriana non potrà vedere subito il marito perché non può sottoporsi allo stress del viaggio a causa di una patologia cardiaca. «Adesso - dice ai cronisti - bisognerà che venga restituita a mio marito la propria vita e l’onore. Sono emozionata, non posso aggiungere altro se non che riponiamo grande fiducia nello Stato che mio marito ha sempre onorato». Erano le cinque del pomeriggio, quando il cellulare dei carabinieri si è fermato davanti alla villetta della signora Anna. Commovente l’abbraccio di Bruno Contrada con le sorelle e i fratelli. L’ex dirigente del Sisde, barba incolta sulle guance scavate, indossava una polo verde e pantaloni beige, un colore che ha sempre preferito, anche quando a Palermo, negli Anni Settanta, comandava una squadra mobile che si apprestava ad intraprendere i primordi della lotta alla mafia. Ai giornalisti che l’attendevano, ha detto semplicemente: «Al momento opportuno, non è questo il momento per parlare». Poi è entrato in casa e si è adagiato sul divano, un po’ in affanno, mentre Anna raccontava ai cronisti di aver preparato «la provola affumicata che gli piace tanto e un brindisi con lo champagne». Ma Contrada non ha chiesto né cibo né acqua. Chi lo conosce sa che, questa di ieri, per lui è soltanto una tappa, importante, ma solo una tappa. Il traguardo finale è descritto nelle parole che ha confidato al fratello, Vittorio. Contrada dice di voler restituito il proprio onore, perché «è il solo patrimonio che mi sento di dover lasciare integro ai nipoti». La battaglia continua, insiste l’avvocato Lipera. Oggi terrà una conferenza stampa per spiegare perché il provvedimento del Tribunale è «contra legem». Ma l’incontro coi giornalisti servirà anche per controbattere l’attacco venuto da una durissima dichiarazione di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso in via D’Amelio. «Non posso accettare - ha detto - la scarcerazione di Bruno Contrada, il mio animo si rivolta; il constatare che agli assassini di mio fratello non è bastato ucciderlo ma che stanno completando l’opera, mi ripugna, mi sconvolge». FRANCESCO LA LICATA