La Stampa 25 luglio 2008, PAOLO BARONI, 25 luglio 2008
Angelucci, la famiglia azienda che unisce Fini e D’Alema. La Stampa 25 luglio 2008 Certo il capostipite, il dominus indiscusso del gruppo, è Antonino, ma a Roma tutti li chiamano al plurale: gli Angelucci
Angelucci, la famiglia azienda che unisce Fini e D’Alema. La Stampa 25 luglio 2008 Certo il capostipite, il dominus indiscusso del gruppo, è Antonino, ma a Roma tutti li chiamano al plurale: gli Angelucci. Ovvero l’onorevole Tonino, eletto la scorsa primavera in Lombardia tra le fila del Pdl, ed i suoi tre figli: Giampaolo, classe 1972, il più attivo nel gruppo, ed i gemelli Alessandro e Andrea di due anni più grandi. Loro sono i «re» della sanità romana, titolo che da anni si contendono con altri big del settore, da Ciarrapico ai Garofalo. Oggi il gruppo, che fa capo ad una società domiciliata in Lussemburgo, la Tosinvest sa, vale 500 milioni di euro di fatturato di cui 200 arrivano dal settore della sanità, dalle cliniche alle residenze per anziani. La storia di questa famiglia-azienda inizia all’incirca una trentina di anni fa quando Angelucci senior dismette i panni di portantino dell’ospedale San Camillo per rilevare assieme ad altri soci una casa di cura a Velletri. Di lì in avanti è tutto un crescendo. Sul fronte degli affari come delle amicizie politiche. Che spaziano da An (il fratello di Fini, Massimo, è da oltre 20 anni ai vertici di Tosinvest Sanità) agli ex Ds, a cominciare da Massimo D’Alema. Una relazione questa che risale ai tempi dell’ingresso nel capitale dell’«Unità» in tandem con Alfio Marchini e dell’operazione che portò la Tosinvest a rilevare debiti e palazzi dell’allora Pds salvando Botteghe oscure dal crack. Al centro dell’impero c’è la cassaforte domiciliata nel Principato che mantiene la denominazione storica del gruppo, Tosinvest, sigla formata dalle prime due lettere (To e Si) dei nomi del fondatore Tonino e della sua prima moglie, Silvana Paolini. In Italia operano invece 5 sub-holding: una per le attività finanziarie, due società immobiliari, una nel settore editoria ed una per le attività sanitarie. Quest’ultimo, da sempre, è il core business del gruppo che in tutto conta su 25 strutture (13 nel Lazio, 11 in Puglia ed una in Abruzzo), 3000 posti letto, 2300 dipendenti (sui circa 4000 dell’intero gruppo) e 1000 medici. A guidarlo sono due manager esterni: Carlo Trivelli (presidente del Gruppo San Raffaele) e l’ad Antonio Vallone. «La nostra idea - spiegava tempo addietro Gianpaolo Angelucci - è gestire le sanità come un’impresa». Cercando di crescere di dimensioni per aumentare le sinergie ed i margini di guadagno e partecipando «a tutte le gare per l’affidamento ai privati della conduzione dei centri di cura». Quella per una serie di residenze per anziani in Puglia, però, ad oggi si è rivelata un boomerang: Angelucci jr. è stato infatti accusato di aver versato una tangente da 500 mila euro («un contributo elettorale, è tutto in regola» spiegarono i legali del gruppo il giorno dell’arresto) all’allora presidente della Regione Raffaele Fitto. In più la magistratura, che ha da poco chiuso le indagini, ha disposto il sequestro di beni della Tosinvest per 55 milioni di euro, poi ridotti a sei. Per crescere ed espandersi, decisivi sono stati gli investimenti finanziari. Una attività, questa, che è servita a cementare il rapporto con un banchiere del calibro di Cesare Geronzi, ma soprattutto a produrre ricche plusvalenze. Il primo passo è stato l’acquisto di Cofiri in tandem con Merloni, quindi l’ingresso nel capitale del Mediocredito centrale e poi, quando questo è stato assorbito da Capitalia, l’ingresso nel patto di sindacato della banca romana. Ed infine l’ingresso nel capitale di Unicredit in seguito alla fusione Unicredit/Capitalia. Al momento di liquidare la sua quota la Tosinvest si è così ritrovata con ben 430 milioni di euro di liquidità in più in cassa. I giornali sono un’altra grande passione di famiglia. «Per quanto mi riguarda - ha dichiarato nel 2003 Giampaolo a ”Prima Comunicazione” - personalmente cerco i giornali perché mi piacciono, mi interessano». Come dire: chi ci accusa di usare la stampa per entrare nelle grazie dei politici si sbaglia di grosso. Dopo una prima puntata nel capitale dell’Unità, da cui sono usciti nel 2000, sotto l’ombrello della Tosinvest oggi troviamo due testate: «Libero», il quotidiano diretto da Vittorio Feltri, che ogni giorno vende in media 130 mila copie, ed il più piccolo, ma non meno dinamico, «Riformista». Risale allo scorso anno il ritorno di fiamma per il quotidiano dei Ds, per il quale Tosinvest aveva messo sul piatto ben 17 milioni di euro. Sfumata questa operazione, per l’ostilità manifesta della redazione e le tante pressioni politiche, gli Angelucci hanno deciso di puntare tutte le loro carte sul «Riformista» senza escludere però l’apertura di nuovi dossier. Dopo l’estate, intanto, partirà il rilancio del giornale diretto da Antonio Polito, che aumenterà foliazione ed organici e per il quale è previsto un investimento di circa 10 milioni di euro. Il gruppo in questi anni è cresciuto in maniera vorticosa e per certi versi anche un poco disordinata. Per questo dall’inizio dell’anno gli Angelucci hanno deciso di razionalizzare la struttura societaria, procedendo ad una serie di fusioni e a ridenominare alcune delle società più importanti. L’obiettivo, spiegano nel quartier generale di via Marche, è quello di snellire l’intera struttura, renderla più flessibile e ottimizzare l’apporto dei vari rami. Oggi le attività italiane sono ripartite in 5 distinte società alcune delle quali hanno perso per strada il riferimento a Tosinvest (così come dalla cassaforte lussemburghese è scomparso il cognome di famiglia): l’ex Tosinvest Italia, proprietaria di cliniche, appartamenti e terreni a Roma, Viterbo, Cassino e Sulmona) è così diventata «Ti sas» e la Tosinvest Immobiliare si è trasformata in «Sviluppo e investimenti immobiliari». A queste si aggiungono la «Tosinvest Real Estate spa», nata nel 2007 per gestire strutture sanitarie, immobili di pregio e uffici, e «Tosinvest editoria». L’obiettivo, adesso, è quello di arrivare a quotare il gruppo in Borsa. Se ne era parlato del 2008, ma poi non se ne è fatto nulla. Questo però assicurano al quartier generale di via Marche resta «nell’ordine delle cose». PAOLO BARONI