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 2008  luglio 24 Giovedì calendario

Io, al buio, che inseguo il mio rosso. Corriere della Sera 24 luglio 2008 Una casa nella nebbia. «La vedo: colori tenui

Io, al buio, che inseguo il mio rosso. Corriere della Sera 24 luglio 2008 Una casa nella nebbia. «La vedo: colori tenui. Rosa, verde, giallo. Offuscamenti », dice Silvia. Che poi tende la mano verso il quadro di Monet, lo sfiora. E sorride: «Tutto è coperto da un velo, la vista si perde. Muore nei colori». Nelle sale di Palazzo Strozzi, immersa nelle suggestioni della mostra «Impressionismo, dipingere la luce », Silvia Parente guarda i capolavori. Sguardo introspettivo, ricostruzione interiore. Da 35 anni gli occhi di Silvia Parente, campionessa di slalom gigante alle Paralimpiadi di Torino 2006, non percepiscono la luce. Il buio è arrivato quando aveva tre anni e oggi lei ha solo reminescenze dei colori e delle forme del mondo reale. «Ma non vivo nella caverna di Platone – spiega ”, non vedo cose e uomini proiettati alle pareti come ombre. Ho i miei colori, mi piace il rosso, il mio preferito. Forse non è il vostro rosso, è una mia rappresentazione, io però lo amo moltissimo». La mostra Silvia la introietta, attivando un meccanismo psicologico complesso, aiutata da un’audioguida studiata appositamente per ciechi e ipovedenti e che affianca le tradizionali spiegazioni. Un esperimento unico a Palazzo Strozzi (il primo per una mostra in Italia) realizzato con la collaborazione di Antenna Audio. Una voce spiega il dipinto, la morfologia, i particolari che lo compongono. Basta un po’ di concentrazione per visualizzare l’opera a occhi chiusi. Con la voce narrante, la mente produce luci, le luci colori. Poi, come in un puzzle, arrivano le immagini e si compongono in una figura. Uguale all’originale? Simile, a volte in modo sorprendente. «Facile per voi vedenti. Avete sempre un riferimento costante al mondo reale – dice Silvia – io no, io vado per intuito e astrazione e per capire ho bisogno dello "sguardo tattile" ». Che alla mostra c’è. Ancora minimo, sperimentale, solo su cinque opere. Piccoli quadrati di tela da toccare affiancano i dipinti. Come «La spiaggia», che Gustave Courbet ha dipinto utilizzando la spatola. Con i polpastrelli Silvia accarezza il «visore tattile» e manipola anche una piccola spatola collocata accanto. «Riesco a percepire i movimenti della spatola – racconta – il colore che viene spalmato in avanti e indietro, le rugosità, le ondulazioni della materia, i corpuscoli». Informazioni che si sommano a quelle della spiegazione audio. «Io le elaboro nella mente e mi faccio un’idea – dice Silvia – vedo la spiaggia di Courbet. Il cielo minaccioso, il mare grigio, il bianco delle nuvole. Come un lenzuolo. Percepisco le applicazioni piatte di colore eseguite con la spatola. Mi manca l’ultima informazione ». Quale, Silvia? «Avere la possibilità di toccare il dipinto, completamente, intensamente, accarezzarlo per conoscerlo». I quadri non si possono toccare. Motivi di sicurezza, problemi di conservazione. Però James Bradburne, il direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, promette che nella sua galleria presto sarà possibile farlo. «Saranno toccabili le copie che affiancheranno l’originale per dare tutte le informazioni possibili a ciechi e ipovedenti – spiega ”. Quello di oggi è un piccolo laboratorio, un prototipo di ciò che nascerà qui a Firenze. Voglio mostre aperte a tutti ». A dir la verità un quadro interamente da toccare c’è. Non è d’autore e si trova in una sala didattica della mostra. Rappresenta un panorama marino. Accanto c’è una tavolozza. Che Silvia afferra. «Non avevo mai osservato con il tatto una tavolozza di un pittore, nonostante mio nonno dipingesse. Forse la tavolozza è considerata un tabù imbarazzante per noi ciechi. Invece è bellissima. Come è straordinario toccare i quadri, visualizzarli con le sensazioni tattili». Silvia muove le mani verso la barca, dipinta in basso sull’estremità destra del quadro. «Eccola, la sento, la vedo. rossa? Sì, il mio colore. Vorrei un giorno riuscire a vederlo davvero questo rosso che quasi mi perseguita. Sarà come lo immagino io?». Nel mondo dei quanti, misterioso e atipico, si dice che la luce abbia due anime e si muova nello spazio nella forma di corpuscoli e di onde. Materiale e immateriale allo stesso tempo. Silvia, nella mostra degli Impressionisti, sembra essere entrata in questo universo. Vede nella nebbia dell’indeterminato. Proprio come accade nel paesaggio di Monet, «Casa a Falaise». Marco Gasperetti