Corriere della Sera 24 luglio 2008, Guido Olimpio, 24 luglio 2008
Criminali di guerra, caccia infinita. Corriere della Sera 24 luglio 2008 E’ come un gigantesco poster con i più ricercati sulla faccia della Terra
Criminali di guerra, caccia infinita. Corriere della Sera 24 luglio 2008 E’ come un gigantesco poster con i più ricercati sulla faccia della Terra. I most wanted per crimini di guerra. Una galleria – necessariamente incompleta – che mette lungo un muro ideale vecchi arnesi consumati dall’età, capi clan crudeli, uomini di governo cinici e abili nel confondere le carte. Alcuni si nascondono dietro identità di comodo. Altri vivono alla luce del sole grazie a generose complicità. Abitano nel cuore dell’Europa, in Africa e in Sud America inseguiti da mandati di cattura internazionali e dal desiderio, che spesso rimane una pura aspirazione, a chiudere i conti con la Giustizia. Li cercano davvero? E quanti governi collaborano? I due dei Balcani Nella lista dei ricercati del Tribunale dell’Aja ci sono due caselle vuote: quelle di Ratko Mladic e di Goran Hadzic. Il primo è il generale serbo considerato l’esecutore della pulizia etnica condotta a Srebrenica contro i musulmani. In questi anni è stato segnalato ovunque. Dalla Russia a Israele, dai Paesi baltici al posto che volete voi. E’ probabile che come il suo compagno di stragi Karadzic sia nascosto in Serbia. Non meno intricato il caso dell’ex leader dei serbi di Krajina (Croazia), Hadzic. Cinquant’anni, accusato di aver fatto trucidare 250 civili, sarebbe in Bielorussia. Li sacrificheranno in nome della ragion di Stato e degli interessi della nuova Serbia? I prossimi mesi lo diranno. Certo, la caduta di Karadzic li avrà indotti a essere ancora più guardinghi. I tre di Khartum Trecentomila persone liquidate e due milioni di disgraziati costretti ad abbandonare i loro villaggi. Bastano queste cifre a spiegare perché la Corte dell’Aja abbia deciso di incriminare il presidente sudanese Omar Al Bashir. E’ considerato il mandante delle persecuzioni nel Darfur. Un piano deliberato condotto con la complicità decisiva di due co-imputati. Ahmad Mohammed Harun, responsabile dell’Ufficio Darfur, ha ispirato le incursioni e Ali Kushayb le ha eseguite guidando i miliziani Janjaweed, i carnefici della popolazione. Una missione compiuta con grande soddisfazione del potere che lo ha inserito nell’apparato militare sudanese. Un onore pari al titolo conferitogli di «Aqida al Oqada», ovvero «il colonnello dei colonnelli». A Khartum, le pressioni internazionali sono state accolte con fastidio. Al Bashir, che ieri ha visitato El Fasher, nel Darfur del Nord, ha definito «menzogne» le accuse dell’Aja e ha ribadito che non accetterà mai di sottomettersi al giudizio. Cogliendo i timori di altri regimi, il Sudan ha subito chiesto una riunione della Lega araba per fare fronte comune contro quella che considera un’ingerenza. Quelli con il machete Sono gli Hutu responsabili dei cento giorni del terrore in Ruanda. Un’orgia di sangue costata la vita a oltre 800 mila essere umani, appartenenti all’etnia rivale Tutsi e all’ala moderata degli Hutu. Una settantina sono stati arrestati ma altri 13 restano in libertà e tra questi la «banda dei quattro», principale bersaglio del Tribunale internazionale creato nel 1995. Felicien Kabuga, ricco imprenditore, scappato prima in Svizzera quindi in Congo, vivrebbe in Kenya. E’ accusato di aver finanziato i miliziani autori delle stragi fornendo loro un supporto decisivo. La sua società avrebbe acquistato migliaia di machete poi usati per procurare orrende mutilazioni alle vittime del pogrom. Al suo fianco c’era Augustin Bizimana, che in qualità di ministro della Difesa è ritenuto la mente della campagna di sterminio. Si trova forse in Congo o nello Zimbabwe Protais Mprinaya, ex maggiore dell’esercito, numero due dell’intelligence ed elemento di contatto con i miliziani Interahamwe, incaricati di fare letteralmente terra bruciata e cancellare gli avversari. Medesime accuse per un altro ufficiale, Idelphonse Nizeyimana: «Ha incitato a uccidere, rapire, distruggere». Bosco Ntaganda ha partecipato alla guerra in Ruanda ed è poi passato nella Repubblica democratica del Congo dove è leader militare di un gruppo armato, il Congresso per la difesa del popolo. Il suo soprannome aiuta a comprendere chi sia: Terminator. I bambini soldato Molte guerriglie africane – dalla Sierra Leone all’Uganda – hanno arruolato nei loro ranghi centinaia di bambini trasformandoli in macchine di distruzione. Per questo il Tribunale internazionale ha deciso di procedere contro diversi capi clan che hanno usato questo metodo per ampliare i loro minieserciti e, al tempo stesso, creare un clima di terrore. Il liberiano Charles Taylor viene processato anche per questo. Altri protagonisti del conflitto in Sierra Leone sono morti prima che la giustizia li raggiungesse. Altri ancora sono fuggiaschi. E’ il caso di alcuni esponenti del temuto Esercito di resistenza del Signore (Lra), fazione che opera tra Uganda e Sudan dove ha compiuto violenze senza precedenti. Omicidi, torture, schiavismo sessuale, reclutamento di minori e rapimenti (oltre 60 mila) sono solo alcune delle imputazioni mosse contro cinque esponenti. Joseph Koni, il leader che si considera la voce di Dio e fa il medium, è l’uomo dietro le scorrerie dello Lra. Una colpa condivisa con un buon numero di «ufficiali»: Okhot Odhiambo (forse ucciso in aprile), Vincent Otti (eliminato quest’anno), Raska Lukwija (si dice caduto in battaglia nel 2006), Dominic Ongwen, latitante tra Sudan e Uganda. Gli eredi del Reich E’ «l’ultima possibilità» di prenderli. Così il Centro Simon Wiesenthal ha definito la caccia a una decina di criminali nazisti. A sentire gli investigatori dell’istituto potrebbe essere imminente la cattura del numero uno della lista. Aribert Heim. Ha «lavorato » nel lager di Mauthausen guadagnandosi l’appellativo di Dottor Morte, si nasconderebbe in Sud America. Lo segue il famoso John Demjanjuk. Ucraino, guardia in un campo di prigionia, è riuscito a diventare cittadino americano. Arrestato e poi liberato, combatte la sua ultima battaglia per evitare di essere di essere espulso verso Germania, Polonia o la stessa Ucraina. E’ dietro uno scudo di gabole legali che si sono trincerati l’ungherese Sandor Kepiro, autore di delitti in Serbia, il croato Milivoj Asnar e Algimantas Dailide («Troppo vecchi per essere giudicati» è la scusa), Soeren Kam («Non vi sono prove sufficienti» dice la Germania) il killer Heinrich Boere (non convalidata la condanna), Charles Zentai, coinvolto nella sparizione di un giornalista, Mikhail Gorshkow sotto inchiesta in Estonia, Harry Mannil, riccone che si muove tra Estonia, che lo ha scagionato, e il Venezuela. Nel dossier del Centro Wiesenthal manca il nome di Alois Brunner, davvero l’ultimo grande nome dei gerarchi ancora liberi. Lo inseguono due mandati di cattura perché ha deportato verso i campi di sterminio 140 mila persone. Se non è morto, potrebbe aver trovato asilo tra l’America Latina e la Spagna, beffando «L’ultima possibilità». Guido Olimpio