La Stampa 24 luglio 2008, ARRIGO LEVI, 24 luglio 2008
Intrighi d’Italia una poltrona in prima fila. La Stampa 24 luglio 2008 E’ un ritratto non indulgente ma autentico, dell’Italia e del mondo, quello che ci offre Aldo Rizzo nel suo ultimo libro, Muro e dopo muro - I retroscena della storia (Gaffi)
Intrighi d’Italia una poltrona in prima fila. La Stampa 24 luglio 2008 E’ un ritratto non indulgente ma autentico, dell’Italia e del mondo, quello che ci offre Aldo Rizzo nel suo ultimo libro, Muro e dopo muro - I retroscena della storia (Gaffi). L’autore è uno dei più accreditati giornalisti della mia generazione, presente, salvo brevi pause, sulle pagine della Stampa da più di trent’anni. Accade, quando si è raggiunta una certa età, che la tentazione di ripensare alla vita che si è vissuta, specie se è stata molto intensa, sia quasi irresistibile. A volte è l’occasione per qualche tarda vendetta, o per divagazioni nostalgiche. Non è il caso di Rizzo, noto per il suo equilibrio, la sua mancanza di pregiudizi, e il fatto che non abbia mai cambiato le sue idee politiche (nasce liberal-repubblicano e lo è sempre rimasto; oggi penso che, come altri, sia un po’ un senza casa), e neppure la sua visione del mondo da quando Spadolini lo chiamò giovanissimo, nel 1955, a fare l’editorialista del Resto del Carlino, giornale antico e prestigioso. Di cose italiane, e di problemi mondiali, Rizzo ha trattato nelle sue inchieste giornalistiche come nei suoi libri. Come giornalista, era nato autorevole, e lo è sempre rimasto: sia che parlasse di eurocomunismo (una sua inchiesta per La Stampa divenne uno dei primi libri sul tema), o del potere militare nel mondo, o di problemi strategici. Volgendo indietro lo sguardo, ha, giustamente, dedicato la prima metà del suo libro alla storia d’Italia e la seconda metà alla grande politica internazionale. Di alcuni momenti cruciali dell’una e dell’altra è stato testimone. Come tutti noi che abbiamo fatto questo mestiere, Rizzo è sempre rimasto in sospeso fra l’essere cronista, analista, interprete e storico degli avvenimenti cui ha assistito, diciamo così, da una poltrona di prima fila. Fra l’altro, gli capitò di intervistare, la mattina del 9 novembre 1989, Gianni De Michelis, allora ministro degli Esteri, e fare con lui un vasto giro d’orizzonte sul quadro di una «Europa flessibile», come la definiva De Michelis, e come s’intitolò l’intervista: che apparve sullo stesso numero della Stampa che annunciava l’apertura del Muro di Berlino, avvenuta poche ore dopo il loro colloquio! L’intelligenza dell’analisi suggerì di pubblicare l’intervista così com’era, anche se, come è ovvio, né De Michelis né Rizzo, e nemmeno i Grandi della terra, o i dirigenti del Pci, avevano previsto quello che stava per succedere. Un’altra volta gli capitò d’incontrare nel dicembre 1977, subito dopo essere stato nominato capo della redazione romana della Stampa, Amintore Fanfani, per un pranzo a casa sua, che doveva essere l’occasione per un primo incontro. Fanfani disse a Rizzo, e a me che avevo suggerito il colloquio e che ero con lui, che era giunto il momento di fare entrare al governo il Pci. Ci offrì così uno «scoop» formidabile, purtroppo non pubblicato (Aldo non me l’ha mai perdonato), perché io ebbi lo scrupolo di chiedere ad Amintore se voleva rivedere il testo prima della pubblicazione. Dopo pochi giorni (troppi deputati Dc avevano intanto condannato questo avventuroso suggerimento), ci pregò di non rendere pubbliche le sue parole. Non abbiamo mai saputo con certezza se Moro fosse o no d’accordo con Fanfani in quella sua idea: anche se Fanfani ci disse che era colpa di Moro e di un lungo colloquio con lui se era in ritardo per il pranzo. Moro, più prudente di Fanfani, finì poi per proporre l’ingresso del Pci nella maggioranza, ma non nel governo. Subito dopo (erano passati tre mesi) venne rapito e ucciso. I bersagli preferiti delle Br erano tutti coloro che, con giusta prudenza, stimolavano l’evoluzione democratica del Pci di Berlinguer: Moro, come prima di lui Casalegno. I ritratti, tracciati da Rizzo, di politici italiani della «prima repubblica», tutti autentici e in punta di penna, sono molti, e sono un pregio del libro, che, per quel che riguarda l’Italia, si conclude con l’asciutta, categorica affermazione che l’Italia, nei decenni della «prima Repubblica», fece «un grande e irreversibile balzo in avanti», crescendo «oltre ogni previsione», e insomma diventando decisamente migliore. Meritatamente, uno degli Otto Grandi, con buona pace dell’impiegato dell’ufficio stampa di Bush. E poi c’è tutta la seconda parte del libro, che ha per tema il mondo. E qui i protagonisti, rappresentati sulla base di una presenza cronistica diretta, di interviste e colloqui, sono altrettanto numerosi: dal grande stratega Herman Kahn a Nixon e all’«onesto Gerald Ford» (altro di bene di lui non si può dire); da Carter a Ronald Reagan a Gorbaciov. Aldo fu testimone di quel freddo weekend di ottobre dell’86 in cui i due si incontrarono per la seconda volta, a Reykjavik (il primo colloquio, che aveva rotto il ghiaccio fra loro, era avvenuto a Ginevra), conclusosi, come del resto il primo, con una lunghissima stretta di mano, più significativa dei risultati stessi dell’incontro. Fu soltanto dopo il successivo summit a Washington che Rizzo, Caretto e Novazio (una bella squadra della Stampa) poterono «dare e analizzare la notizia che l’accordo c’era», che c’era l’inizio «di un vero disarmo e non più di un semplice, seppure vitale, controllo degli armamenti». Dopo il Muro, stava per nascere un nuovo mondo, nel quale non ci sarebbe stato posto per l’Urss e per il movimento mondiale comunista. Mi fermo qui, e ai due verbi che sintetizzano il compito di un cronista che è anche un responsabile studioso: «dare e analizzare la notizia». Definizione sintetica e perfetta del nostro mestiere. Consiglio la lettura del libro di Aldo Rizzo ai giovani aspiranti giornalisti, che ancora studiano nelle tante scuole di giornalismo, che ai tempi miei e di Rizzo non esistevano, o che fanno i primi passi in una carriera di lavoro che, comunque vada, ha buone probabilità di risultare, alla fine, divertente. Riceveranno una limpida lezione di giornalismo. Impareranno tante cose che è bene non dimentichino. Le imparino bene, perché toccherà a loro scoprire che cosa ci sia, oltre il Muro, e dopo il Muro. Per loro fortuna, la storia non finisce mai. ARRIGO LEVI