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 2008  luglio 24 Giovedì calendario

ARBIA

ARBIA Silvana Senise (Potenza) 19 novembre 1952. Magistrato. «[…] toscana cresciuta in Veneto, già magistrato di Corte d’appello a Milano e oggi alla Corte penale internazionale dell’Aja [...] In Ruanda, anzi ad Arusha in Tanzania dov’è la sede del Tribunale penale internazionale per i crimini commessi in Ruanda, Silvana Arbia ha trascorso nove anni nella Procura generale, come chief of prosecutions. [...] è all’Aja con un mandato di cinque anni, eletta a capo della Registry, uno dei quattro organi in cui si articola la Corte penale internazionale (nel linguaggio giudiziario italiano sarebbe la ”cancelleria”, ma non esiste un vero corrispettivo perché all’Aja la carica è molto più importante). Fra gli altri compiti affidati al magistrato italiano, con l’organizzazione generale dei servizi giudiziari, c’è [...] la protezione di vittime e testimoni: ”Bisogna far comprendere i loro diritti e magari si tratta di persone che non sanno leggere e scrivere: allora agiamo attraverso intermediari, che le aiutino a riempire i formulari. Certe volte va poi garantito il diritto all’anonimato o bisogna operare la relocation, il trasferimento del teste in un altro territorio [...] Noi dipendiamo dalla collaborazione dei singoli Stati. La Corte dovrebbe intervenire solo quando la giustizia nazionale non può o non vuole farlo, per il cosiddetto principio della complementarietà. Ma in pratica, se uno Stato non collabora, possiamo fare ben poco. Non possiamo arrestare nessuno. Nello stesso tempo, non è previsto il processo in contumacia. In altre parole: se Karadzic non fosse stato arrestato, non ci sarebbe mai stato alcun processo sui crimini che gli vengono imputati, e nessuna speranza di giustizia per le vittime. Ma che cosa fare allora di tanti atti di accusa già ottenuti, delle testimonianze raccolte? [...] Un giorno, a giudicare gli imputati di crimini internazionali, dovrebbero essere i giudici dei vari Paesi. Che però devono essere preparati a farlo. E per questo il cammino è ancora lungo, è una questione anche di cultura: prima di tutto, bisogna informare [...]”» (Luigi Offeddu, ”Corriere della Sera” 24/7/2008).