Libero 20 luglio 2008, Barbara Romano, 20 luglio 2008
«Sono un ministro di sinistra e ho insegnato a Silvio l’economia». Libero 20 luglio 2008 Impossibile disinnescare Renato Brunetta
«Sono un ministro di sinistra e ho insegnato a Silvio l’economia». Libero 20 luglio 2008 Impossibile disinnescare Renato Brunetta. Tu arrivi un po’ prima per spiare il territorio nemico e lui è già lì che ti aspetta in assetto da intervista. Penne, pennarelli, matite, telefono, iPhone, telefonino, libri, dispense e pamphlet, pronto a rovesciarti addosso la sua opera omnia. Il titolare della Funzione pubblica è l’unico prof al mondo col quarto d’ora accademico anticipato. E retro-degenerativo. Di quarto d’ora in quarto d’ora prima, la riunione quotidiana delle 10 con lo staff ministeriale adesso inizia alle 7,45. I suoi assistenti si aspettano da un giorno all’altro di essere convocati nel cuore della notte. Al nostro arrivo, li vediamo sciamare nel corridoio con facce stropicciate e occhiaie ascellari. Con loro ha appena messo a punto la sua ultima misura ad uso e tortura degli statali: visita fiscale e certificato medico anche per un giorno di malattia e riduzione dello stipendio. Ministro, ha finito di torturare i dipendenti pubblici? «Io non torturo nessuno. Quando da piccolo la mattina non volevo andare a scuola, mio padre mi faceva sentire così in colpa, da indurmi a pensare che se uno fa il proprio dovere si sente bene, se non lo fa, si sente male. Se non gli accade, è bene che il sistema faccia in modo che si senta male. Fare il proprio dovere fa bene alla pelle, al cuore, alla salute in generale. L’’Operazione trasparenza” produce felicità». Alla faccia della felicità! Tre milioni 650mila persone non dormono più da quando lei è ministro. «Quei tre milioni 650mila persone si vergognavano di quello che facevano e ora invece si vantano di essere impiegati pubblici. E aspettano questa mia operazione come una liberazione da una cappa di piombo». Molti, a dire la verità, pregano che Dio li liberi da Brunetta. Da quando è ministro, ogni giorno ne tira fuori una: prima la pubblicazione degli stipendi dei dirigenti della Funzione pubblica, poi le consulenze, ora la visita fiscale… «Ed è solo l’inizio. La prossima settimana pubblicheremo il nuovo elenco di consulenze del 2007. il senso del dovere che mi spinge ad andare avanti». Non la sindrome del primo della classe? «Io sono sempre stato il primo della classe, ma mai antipatico. Passavo sempre i compiti». A Tremonti li avrebbe passati, se fosse stato suo compagno di classe? «Lui non ne avrebbe avuto alcun bisogno». Dica la verità, non si è inventato l’’Operazione trasparenza” per fare il botto prima che Tremonti annunciasse la sua pre-manovra? «No. Io sono professore ordinario di Economia del lavoro, su queste cose ho scritto libri. Penso che, una volta tanto, ci sia la persona giusta al posto giusto». Ha bruciato le tappe alla Funzione pubblica. «Ma c’ho messo 58 anni a diventare ministro». Cos’ha provato il giorno del giuramento? «Grande felicità e incredulità. Mi pizzicavo continuamente per convincermi che fosse vero. Ancora adesso non ne sono certo. Ogni tanto mi pizzico. Quando mi chiamano ”ministro” non mi giro neanche». Vincenzo Visco rosica. Si è chiesto: «Perché quando io ho messo on line i redditi degli italiani il Garante della Privacy è intervenuto e con Brunetta no»? «Perché io, prima ho analizzato con il Garante le norme, e mi sono mosso solo quando lui mi ha detto sì. Su una piccola cosa ho avuto molta attenzione. Visco, su una grande cosa ne ha avuto pochissima». Non perché ha delle ”aderenze” presso il Garante? «No, Francesco Pizzetti non lo conoscevo neanche». Non la sfiora mai il dubbio di aver esagerato? «No, perché ho avuto un enorme consenso bipartisan. Non posso camminare per strada senza che mi dicano: ”Mi raccomando vada avanti”. un refrain meraviglioso che mi fa venire ancora il brividino sulla schiena e mi dà forza». Sì ma, per ora, le sue sono parole. Non fa che dire: ”Licenziamo i fannulloni”. Ha licenziato il commissario pubblico che ha sbagliato la traccia su Montale nello scritto degli esami di maturità? «Non dipende da me, ma dalla collega dell’Istruzione, che però aveva preso questo impegno. Ma poi ci sono delle garanzie di legge rispetto alle inadempienze. Guai all’arbitrio. Io sono un socialista, il mio motto è ”da una parte sola, dalla parte dei lavoratori”. Contro i lavoratori, mai. Contro i fannulloni, sempre». Ma lei non ha mai cazzeggiato in vita sua? «Sìììì. Poco, però, perché poi c’ho il senso di colpa». Cazzeggio tipo di Brunetta. «In vacanza non fò nulla, però mi sento in colpa dopo due, tre ore». In ferie troverà un po’ di requie o escogiterà nuove torture per dipendenti pubblici? «Continuo a lavorare. Mi diverte ciò che faccio, sa?». Non avevamo dubbi. «Non so sciare, non so guidare, non so giocare a tennis... Mi piace leggere, studiare, inventare, cambiare il mondo: io sarei un piccolo rivoluzionario». Oltre a essere un collezionista di ossa statali, colleziona case. Come nasce la passione per il mattone? «Dalla mia infanzia. Vivevamo a Venezia in nove in 90 metri quadrati, e mia madre voleva una casa in affitto solo per noi, perché avevamo un cesso in coabitazione. Mio padre, che era venditore ambulante di gondole di plastica per turisti, comprò una Topolino a debito. Arrivò a casa con una faccia furbetta e mia madre diede in escandescenza, gettò piatti, forchette… Scoppiò una tragedia familiare con tutti i miei fratelli che piangevano, perché nella stessa calle, con i soldi della Topolino, si compravano due appartamenti. Io avrò avuto otto anni e questa cosa mi ha segnato nel profondo. Per me la casa è il bene fondamentale». Quante ne ha? «Una a Venezia, una a Roma e due in campagna». Che tipo era lei da bimbo? «Come adesso, non sono mica cresciuto molto», ridacchia. «Ero sveglio, intelligente, simpatico, un po’ marachelloso. Giocavo tantissimo a pallone sulle pietre. Poi arrivavano le spedizioni di raccatto: mia padre e mia madre scendevano nella calle a recuperare noi figli. E c’era un rito arduo. Eravamo talmente neri che venivamo messi in una vasca e papà aveva il compito di scrostarci con una spazzola le ginocchia, che erano così sbucciate e incrostate di polvere e sangue da formare una ”ginocchiera” che non veniva via con l’acqua. Le lascio immaginare le urla belluine». Non potevate tenervi le croste? «Era la condicio sine qua non per cenare». Lei è maestro abilitato. Che c’entra con l’economia del lavoro? «Venendo da una famiglia piccolo piccolo piccolo borghese, seguii le orme di mio fratello che aveva fatto le magistrali, così potevo usare i suoi libri. Sinché, in terza, una supplente che mi cambiò la vita, mi disse: ”Non si rende conto che è diverso? Lei ha una testa superiore”. Mi mise questa pulce nell’orecchio, tornai a casa e mia madre capì. Mi misi a studiare da privatista traducendo il greco di notte». E così, il figlio di ambulanti entrò al liceo dei ”siori”. «Al Foscarini di Venezia, dove entrai in terza liceo con disappunto del preside, che diceva: ”Il parvenù che viene dalle magistrali è diventato il più bravo della scuola”». Lei poi ha fatto una carriera accademica sfolgorante. Unico suo pari in FI è Tremonti. Quando è sbocciato ”l’amore” tra voi? «Ci conosciamo dagli anni Ottanta. Lui era professore ordinario a Venezia, io un giovane professore associato. Poi ci rivedemmo a Roma, dove lui era consigliere di Rino Formica al ministero delle Finanze nello stesso periodo in cui io ero consigliere di Gianni De Michelis al ministero del Lavoro». Eravate amici? «Amici amici, no: conoscenti. Ambedue socialisti, con la passione per l’accademia e per la politica. questa la cosa che più mi piace di Tremonti». E quella che le piace meno? «Ha i miei stessi difetti». Cioè quali? «Pensa di essere il più bravo di tutti. il mio specchio. Ma lui ha fatto più strada dal punto di vista governativo». E questo le rode. «No, a me piace il successo degli altri». Cero, come no. Tremonti e Brunetta: i gemelli diversi di FI, sempre in competizione. «La manovra triennale l’abbiamo fatta insieme». Prima, però, avete fatto impazzire Gianfranco Fini. Non è vero che appena insediato alla presidenza della Camera, ha chiesto a FI il programma del PdL ed è subito scattata la gara tra lei e Tremonti, così si è ritrovato sul tavolino due versioni diverse? « andata esattamente così». Secondo lei, a Fini quale versione è piaciuta di più? «La mia, ovviamente». Passate tutti e due per essere ”l’economista preferito del Cavaliere”. «Tremonti non è un economista, è ordinario di Scienza delle finanze e Diritto finanziario. Io sono un economista». E com’è che si ritrova lui all’Economia? Non sarà che Berlusconi preferisce Tremonti? «La sua esperienza di governo inizia nel ”94, quindi penso lui sia la persona giusta al posto giusto. Fra lui e me in quel ruolo, meglio lui. Non c’è in Europa ministro del Tesoro migliore di Tremonti». Era lei, però, a dare lezioni di economia al Cavaliere. « successo nel ”95, lui era già stato presidente del Consiglio». Che allievo è Berlusconi? «Straordinario». Ovviamente. «C’erano anche Paolo Bonaiuti e Gianni Letta». Chi era il più scarso? «Loro stavano zitti. L’unico che prendeva appunti era Berlusconi». E poi lei lo interrogava? «No, era lui che chiedeva: ”Cos’è il Pil? Cos’è il deficit? Cos’è una manovra finanziaria?». Curioso che un ex premier non sapesse queste cose. «Aveva un’umiltà e una curiosità straordinarie e mi faceva domande sempre più pregnanti. Insieme trovavamo slogan per la campagna elettorale». l’ennesimo socialista convertito sulla via di Arcore. «Io non sono un convertito. Io sono un socialista di FI, sono un lib-lab di formazione lombardiana». Quindi si considera di sinistra? «Io sono un ministro di centrosinistra. Ho scritto un saggio in cui spiego che FI è il vero centrosinistra». FI il centrosinistra? «Certo: ha messo insieme socialisti, socialdemocratici, liberali, repubblicani e democristiani». Chi le presentò Berlusconi? «Paolo Del Debbio, che doveva fare il ministro del Welfare del primo governo Berlusconi e chiese a me, che allora ero consigliere del Cnel, di scrivere un pezzo di programma di governo». Come fu il primo approccio? «Mi trattò subito da professore e continua a chiamarmi così». Che rapporto aveva con Craxi? «Molto limitato. Craxi era una persona che incuteva timore. Io ho lavorato poco con Craxi, facevo il suo consigliere economico, ma ero più a stretto contatto con De Michelis e con Giuliano Amato». E con loro che rapporto aveva? «Con De Michelis, straordinario. Con Amato, buonissimo». E con il suo collega del Welfare, Maurizio Sacconi? «Fraterno». Non sarà più così fraterno ora che lei intende introdurre nel pubblico impiego la class-action contro cui Sacconi l’anno scorso si è tolto la scarpa in Senato picchiandola sullo scranno. «Aveva ragione, la class-action formulata dal governo Prodi era una ciofeca». Non teme possa replicare la scenata in Cdm? «Nooo. Sacconi è una delle persone più miti, straordinarie e competenti che conosca. Gli ho persino dato la mia cattedra nel ”99, quando fui eletto al Parlamento europeo. Lui allora era direttore dell’Oil, l’agenzia dell’Onu per il lavoro a Roma. E quando il mio preside di Torvergata mi chiese di consigliargli un sostituto, gli feci il nome di Sacconi, che divenne professore a contratto di Economia del lavoro». In un’intervista a Libero, un anno fa, lei ha ammesso: «Io sono vittima del mio vaffanculo facile». «Io sono bello, bravo, buono, simpatico: ho tutte le qualità del mondo, ma non sempre l’ambiente mi ama, perché sono molto reattivo. Anche troppo. Ma poi mi passa». Ha mai mandato aff... Berlusconi? «Sì, come no! così che mi sono giocato il posto di deputato nel ”96. Lui mi chiese di candidarmi, io pensavo mi proponesse Venezia, invece mi venne offerto un altro collegio. Piccato dissi no e me ne andai sbattendo la porta in via dell’Anima, che sta ancora vibrando dalla potenza dell’urto». A via dell’Umiltà, invece, si sente ancora l’eco della lite che ha avuto con Giorgio Stracquadanio. «Quando c’è tanto amore, succede. Stracquadanio è il mio consigliere, un uomo straordinario. Ma, come tutti i giornalisti, prende sette impegni e li stiracchia nel tempo. Io ho un difetto: sono un po’ ossessivo». Ma va? «Evidentemente la mia ossessività deve aver colpito la psiche di Giorgio, che mi ha lanciato contro il cellulare. Penso che ci sia ancora il buco nella parete». vero che le sue guardie del corpo hanno solidarizzato con Stracquadanio? «Ebbene sì. Erano stupite, ma capirono che era stato uno sfogo. Mi dispiace per il cellulare...». Era di Stracquadanio? «No no era mio. E non me l’ha neanche ricomprato». C’è rimasto male quando Furio Colombo l’ha definita «mini-ministro»? «Mi ha offeso perché avevo grande stima di lui e di Eugenio Scalfari. Sulla mia statura io stesso ci gioco, lascio che ci scherzino anche gli altri fin quando non diventa razzismo. Allora divento una belva». In effetti, anche lei non c’è andato leggero: gli ha quasi dato dello sporco ebreo. «Ho detto il contrario: io amo gli ebrei. Un po’ meno questa sinistra alla Furio Colombo. Ma mi piace pensare che la sinistra sia, piuttosto, un Fassino che mi telefona commosso per la vicenda. E io mi commuovo ascoltandolo. Lo spilungone e il tappo si commuovono al telefono evidentemente per una qualche consonanza di storia», gli occhi si fanno lucidi. Che rapporto ha con il corpo? «Non mi piaccio. Non mi guardo mai in televisione, odio le mio foto». Cura l’estetica? «Per niente. Taglio i capelli proprio quando devo, quando Berlusconi mi dice: ”Ma sai che sei spettinato?”. E a volte vorrei rispondergli per le rime, ma l’amore che ho per lui me lo impedisce». Le sue armi di seduzione per far colpo su una donna? «Sono armi lunghe, di penitenza. Da ragazzino, c’erano dei bamboccioni cretini ma bellocci, che puntualmente mi fregavano la compagna. L’intelligenza ha bisogno di tempo per esplicitarsi. Nell’adolescenza le fanciulle guardano solo l’aspetto fisico, il fascino del cervello con loro non funzionava. Col passare del tempo l’appeal dell’intelligenza prevale su quello del corpo, quindi le mie chances sono migliorate». Ricorda il suo primo amore? «Laura, una compagna del liceo». Il suo ultimo amore si è appalesato al suo fianco alla cerimonia al Quirinale. sua moglie? «Titti è la mia compagna». State insieme da molto tempo? «Da alcuni anni. Ma a questo punto mi appello alla privacy e non aggiungo altro». Proprio lei invoca la privacy? totalmente diverso. Se le chiedessi l’elenco dei suoi fidanzati o aspiranti tali lei non me lo direbbe». Perché no? E poi, se lei voleva davvero tenere nascosta la sua compagna, non la portava alla cerimonia ufficiale che più ufficiale non ce n’è. «Io ho diritto di portare la mia compagna nei momenti che considero fondamentali della mia vita». La sua reticenza ha scatenato i pettegoli: da chi dice che Titti è sua moglie a chi sostiene sia una copertura. « la mia fidanzata ufficiale». Intende sposarla? «Sì. C’è solo il problema del divorzio di lei, quindi dobbiamo aspettare tre anni. Se potessi, accorcerei i tempi. Anzi, l’avrei già sposata». Le piacerebbe avere figli? «Molto». Cosa farà una volta terminata la sua esperienza al governo? «Tornerò a innaffiare la mia kentia che mi aspetta all’università di Torvergata». Barbara Romano