Il Sole 24 Ore 22 luglio 2008, Carlo Bastasin, 22 luglio 2008
La lezione di federalismo del Belgio. Il Sole 24 Ore 22 luglio 2008 Nel suo libro "La sofferenza del Belgio", Hugo Claus, il più noto scrittore belga di lingua olandese degli ultimi decenni, fa parlare il giovane protagonista alternando imprevedibilmente la prima e la terza persona
La lezione di federalismo del Belgio. Il Sole 24 Ore 22 luglio 2008 Nel suo libro "La sofferenza del Belgio", Hugo Claus, il più noto scrittore belga di lingua olandese degli ultimi decenni, fa parlare il giovane protagonista alternando imprevedibilmente la prima e la terza persona. Fiamminghi e Valloni vivono in questi mesi lo stesso sdoppiamento di personalità in un Belgio ormai privo di belgi: io sono fiammingo o vallone se il Belgio non è. E viceversa. Nel marzo scorso Claus, il profetico narratore della doppia identità, è ricorso all’eutanasia per togliersi la vita; ora la stessa sorte potrebbe toccare al suo Paese. Dopo oltre un anno di imbarazzi, "la sofferenza del Belgio" è esplosa la settimana scorsa con la nuova crisi del Governo di Yves Leterme. L’unità del Paese è in dubbio. Culture diverse tra Nord e Sud sembrano produrre effetti ancora più divisivi delle differenze di reddito. In tali condizioni il federalismo scivola verso la secessione. Un segnale che viene seguito in tutti i Paesi europei - Italia in prima fila - che guardano al federalismo come lo sviluppo istituzionale coerente con il moderno governo delle frammentazioni sociali, delle sovranità disperse non più legate ai confini nazionali e dei nuovi margini di libertà degli individui. Diciotto dei 37 Stati nazionali europei hanno una struttura federale. Altri Paesi unitari sono anch’essi alle prese con penose differenze regionali. Il terremoto del Belgio, un Paese benestante, unito da 177 anni e non frutto di rivoluzioni recenti, trasmette instabilità ai quattro angoli d’Europa, dalla Spagna alla Serbia, dalla Moldavia alla Gran Bretagna. Ma sono naturalmente le analogie con l’Italia a essere suggestive. In entrambi i Paesi un Settentrione ricco si sente rallentato dalle regioni meridionali; in Belgio il decentramento delle decisioni di spesa e di prelievo pubblici ha consentito un calo del debito pubblico dal 130 all’80% del Pil, ma come in Italia il livello è ancora tale da ostacolare sia maggiore solidarietà nei trasferimenti di reddito, sia minori tasse. Come l’Italia, il Belgio è un Paese in cui le divisioni culturali sono vistose: c’è una marcata scissione confessionale tra laici e cattolici che si riflette in sistemi diversi di istruzione e dei servizi sociali: le scuole del Sud sono ben distinte da quelle del Nord. La mediazione nella forte contrapposizione destra-sinistra paradossalmente è offerta da ulteriori divisioni, territoriali e linguistiche. Il risultato è la presenza di una decina di partiti che danno vita a un "consenso conflittuale" permanente, come in Italia messo continuamente sotto pressione dalle formazioni più estreme, a cominciare dal Vlaams. Anche in Belgio come in Italia l’autonomia regionale è nata negli anni 70. Da allora la retorica secessionista corre su un piano inclinato e da un decennio sempre più velocemente. Nonostante i successi nella gestione dell’economia, sia nella finanza pubblica sia nelle politiche del lavoro, la frattura culturale nel Paese si è allargata. Poiché i parlamentari fiamminghi sono eletti solo nelle Fiandre e quelli valloni nella sola parte francofona del Paese, la comunicazione politica si è nettamente separata. Le due regioni hanno lingue diverse, non solo lessicali, ma anche mediatiche: non esistono giornali o televisioni comuni, né partiti nazionali. Il primo ministro non è eletto direttamente e non c’è quindi un simbolo unitario della Nazione, un ruolo politico che non è attribuibile nemmeno al re Alberto secondo. Gli investitori non nascondono timori per le conseguenze dell’instabilità politica. Il 10% degli investimenti è di origine straniera e potrebbero trovarsi da un giorno all’altro in un Paese diverso da quello previsto. Non è chiaro nemmeno come Fiandre e Vallonia potrebbero dividersi l’onere del debito pubblico contratto congiuntamente. Ma gli analisti politici tendono a ridimensionare i problemi politici. Non escludono cioè una secessione morbida e di mutua convenienza. Il Belgio continuerebbe a esistere, ma solo come un guscio vuoto. Nelle ultime ore i partiti assumono come probabile il passaggio da un regime federale a uno confederale, cioè a un’unione di due diversi stati. Lo stesso Leterme ha definito il modello federale "ormai finito". La sconfitta in Belgio del modello federale sarebbe un monito inatteso per chi ritiene che – a cominciare dal futuro sviluppo dell’Unione europea – proprio il federalismo stia affermandosi, in nuove forme, come riferimento istituzionale. Il destino degli Stati federali è forse quello di scomporsi in Stati più piccoli? Crescerà la frammentazione delle identità regionali proprio quando si lamenta l’uniformità globale? Riuscirà l’Unione europea, il suo mercato unico e le sue regole, a tenere legate le nuove sovranità localiste, proprio quando si indebolisce la fiducia degli europei nei trasferimenti di potere a favore dell’Europa? Questi interrogativi colgono l’Italia alla vigilia della stagione politica che dovrebbe produrre la svolta del federalismo fiscale. Ma se la crisi di Bruxelles è dovuta all’incomunicabilità culturale di due parti del Paese, in Italia a un primo sguardo sembrano molto più forti le divergenze di reddito che distanziano il Nord dal Sud. Il reddito pro capite dei lombardi è doppio di quello dei calabresi, una differenziazione regionale che non ha riscontri in Belgio. La media delle regioni del Sud ha un reddito che si discosta da quello del Nord Italia molto più di quanto non avvenga con il reddito di tutti gli Stati esteri confinanti, Slovenia inclusa. Mentre il processo di convergenza del Nord con il resto d’Europa prosegue, seppur con scostamenti ciclici, quello con il Sud si è fermato alla prima metà degli anni 70 e negli ultimi cinque anni si è invertito. La distanza economica ha però assunto anche connotati sociali visto che il tasso di occupazione della forza lavoro è ormai strutturalmente diverso: se al Centro-Nord lavora il 65-70% dei cittadini tra i 18 e i 64 anni, al Sud la quota scende al 42-50%. Divergenze culturali si manifestano nei risultati scolastici: la conoscenza delle lingue straniere è molto diversa, mentre i risultati dei test "Pisa" sulle conoscenze matematiche indicano che gli studenti del Nord Est ottengono un punteggio del 25% superiore rispetto a quelli del Sud. Le differenze di istruzione si manifestano fin dai primi anni di vita, anche per la diversa disponibilità di assistenza all’infanzia, e si amplificano con il procedere degli studi. Il grido di guerra di Umberto Bossi contro gli insegnanti meridionali prefigura una separazione di contenuti, che ricorda quella belga. Anche nei media una separazione di fatto si sta realizzando se si guarda l’audience scissa tra Rai prevalente al Sud e Mediaset e Sky nettamente più seguiti al Nord. La sovrapposizione tra divergenza economica e sociale potrebbe riprodurre in Italia le tensioni che stanno disintegrando il Belgio? E la riforma del federalismo fiscale disinnescherebbe il rischio di frammentazione o lo accentuerebbe? Nessuno dispone della risposta: da un lato il divario territoriale tra Nord e Sud in Italia è talmente forte da rendere necessari flussi finanziari che il federalismo potrebbe invece prosciugare; dall’altro lato proprio gli ingenti trasferimenti finanziari al Sud hanno fatto sì che nelle regioni meno avanzate non si sviluppasse l’iniziativa privata, mentre il federalismo potrebbe introdurre una logica di responsabilità e razionalità nella gestione delle risorse pubbliche e a cascata di quelle private. Infine anche se le questioni finanziarie e fiscali fossero risolte, nulla garantirebbe che il divario sociale, il diverso senso di legalità, il grado di disuguaglianza interno alle regioni, l’apertura internazionale, tornassero a ridursi, anziché ad approfondirsi ulteriormente come è parso avvenire negli ultimi anni. In un certo senso la vicenda belga dimostra che è proprio la componente culturale e non quella finanziaria - e quindi la qualità della riforma federalista, il suo carattere al tempo stesso inclusivo e disciplinante, più che i suoi soli effetti sui bilanci pubblici e privati - a determinarne gli effetti decisivi sull’unita del Paese. Carlo Bastanin