Il Sole 24 Ore 22 luglio 2008, Lionello Mancini, 22 luglio 2008
La mano della politica sul forziere dei segreti. Il Sole 24 Ore 22 luglio 2008 Cos’è accaduto tra il 2001 e il 2005 in Telecom Italia? E in che Paese è accaduto? Ha ragione chi, alla scoperta dei fatti sotto indagine, lanciò l’allarme-democrazia paventando una Spectre nostrana? O ha ragione Francesco Cossiga, che pochi giorni fa ha detto: "Da quando hanno arrestato Tavaroli, messo fuori gioco Marco Mancini e licenziato Pio Pompa, i nostri servizi di informazione e sicurezza non sanno più nulla"? A poco meno di due anni da quel 20 settembre 2006, quando una ventina di arresti misero la parola fine alle attività della sicurezza di Telecom Italia modello Tavaroli, la Procura di Milano ha compiuto un passo forse decisivo chiudendo le indagini
La mano della politica sul forziere dei segreti. Il Sole 24 Ore 22 luglio 2008 Cos’è accaduto tra il 2001 e il 2005 in Telecom Italia? E in che Paese è accaduto? Ha ragione chi, alla scoperta dei fatti sotto indagine, lanciò l’allarme-democrazia paventando una Spectre nostrana? O ha ragione Francesco Cossiga, che pochi giorni fa ha detto: "Da quando hanno arrestato Tavaroli, messo fuori gioco Marco Mancini e licenziato Pio Pompa, i nostri servizi di informazione e sicurezza non sanno più nulla"? A poco meno di due anni da quel 20 settembre 2006, quando una ventina di arresti misero la parola fine alle attività della sicurezza di Telecom Italia modello Tavaroli, la Procura di Milano ha compiuto un passo forse decisivo chiudendo le indagini. "Forse" decisivo perché gli ostacoli procedurali restano notevoli e ancora vaghe le chance dibattimentali, mentre le domande che aspettano una risposta restano tante. In attesa di scoprire dove e come finirà il percorso giudiziario, Giuliano Tavaroli tratteggia il "suo" scenario, tra verbali resi ai Pm e i ricordi lasciati riaffiorare dopo l’esperienza del carcere. Telecom Italia Cosa rappresentava Telecom Italia nel periodo al centro dell’inchiesta? Il big della telefonia, certo, ma anche qualcosa di più e di diverso. La svolta operativa impressa al servizio di sicurezza del gruppo la si può collocare intorno al 2001. Quello, spiega Tavaroli, è l’anno delle Twin towers seguito dalla guerra in Afghanistan e dalle avvisaglie di quella irakena; è l’anno del default argentino, del crollo della New economy. Ed è lo stesso 2001 in cui TI passa nelle mani di Marco Tronchetti Provera, mentre il voto riporta al potere il Centrodestra di Silvio Berlusconi e Gianni Letta con Bossi, Fini, Casini. Proprio in quegli anni, anche in Italia le comunicazioni si stanno digitalizzando, la telefonia cellulare si espande a ritmi esponenziali, le tracce elettroniche diventano strumento insostituibile di analisi, conoscenza, indagine, oltre che di intrusione e spionaggio. Tutte attività che, per ragioni tecniche, devono passare per Telecom Italia. In quel 2001 Tavaroli è già da un paio d’anni il capo della sicurezza in Pirelli e subito dopo l’acquisizione di TI - racconta - si rende conto che insieme a reti, immobili e business, Pirelli si è tirata in casa un pezzo del magma di cui ancora ribollono le viscere del Paese: "E più ci penso più me ne convinco: sette anni fa, quel quid non era per niente chiaro al vertice e ai manager. A me, invece, è apparso subito evidente cosa maneggia chi gestisce le tlc di un Paese: alleati da assecondare, nemici da cui guardarsi, la politica di difesa nazionale (cioè Roma), Istituzioni varie e livelli non proprio istituzionali che però pesano molto". Il network per tutto ciò, si giustifica Giuliano Tavaroli con i Pm e nei racconti agli amici di Torre d’Isola, che la sicurezza di Telecom Italia è ben presto diventata un tutt’uno con quella del Paese, tanto da ammettere ogni sorta di attività in difesa del gruppo e del suo management. In una frase: "Era per noi indispensabile acquisire e difendere informazioni pubbliche ma anche segreti, in un mondo che di segreti si nutre; tanto che, quando non ne possiede, ne inventa". Come dire: la security Telecom modello Tavaroli si è solo adeguata a un determinato livello di scontro per non soccombere. Così per la furibonda diatriba brasiliana con la Kroll, così per i dossier su possibili alleati o nemici dell’azienda, così nei rapporti con la politica e nelle pratiche di prevenzione del terrorismo. Giustificazioni postume? Astute analisi che confondano le proprie inequivocabili impronte tra tante simili lasciate da comportamenti omologhi? Queste sono risposte da giudici, se mai arriveranno. Sta di fatto che, sulla base di questa analisi, Telecom (ovvero Tavaroli e i suoi referenti aziendali) comincia ad attivare propri link col mondo del "potere romano, quello che decide le nomine che contano, quello che sembra non chiedere e invece ordina con segnali che è bene cogliere al volo per non dare l’idea che stai sfidando qualcuno". Ed ecco come si spiegano figure poco intelligibili fuori da questo quadro come le Margherite Fancello o le Laura Porcu, utilizzate come agganci indispendabili per arrivare a persone di volta in volta indicate come i referenti del "potere vero" nel Paese: i notissimi Gianni Letta e Francesco Cossiga, ma anche i più defilati Luigi Bisignani, Pippo Corigliano (Opus dei), Nicola La Torre (Pds), Lucia Annunziata, o l’ubiquo Paolo Scaroni per citare alcuni pezzi di un network che Tavaroli sente a tratti ostile, ma che deve comunque imparare a gestire in chiave analitico-difensiva: "Un network in cui non valgono ideologie. Destra o sinistra, cattolico o massone, l’importante è l’obiettivo comune". Niente steccati, tutti uomini di mondo: conta solo la certosina ricerca di equilibri di potere, lo scambio sapiente di favori, i pesi da distribuire nell’economia, nella finanza, nell’amministrazione, nelle stesse Istituzioni dello Stato. E basta aver conosciuto Tavaroli e gli uomini della sua squadra per capire quanto si sentissero più abili, astuti, pronti e attrezzati di chiunque altro. Così le attività si moltiplicano, i dossier diventano migliaia, si smarrisce il senso del limite, si affrontano - a volte su richiesta - nello stesso modo i problemi dell’Inter o i sospetti sul cognato del Presidente, i profili di un possibile socio o il pericolo terrorismo. Ed ecco Guglielmo Sasinini che vede settimanalmente il capo del Sisde. Sul versante Sismi, problemi di rapporti non ce n’è. O meglio: con una parte del Sismi… I "fratelli" Giuliano Tavaroli viene dai ranghi dell’antiterrorismo dei Carabinieri, proprio come Marco Mancini, diventato negli anni un pezzo grosso del Sismi. Non sono mai stati ufficiali, dentro l’Arma hanno dovuto obbedire, a volte disistimando chi comandava e da quando sono loro ai vertici di strutture potenti non dissimulano gli antichi dissapori con i loro ex ufficiali. Ricevendone in cambio un certo rancore per i modi, ma soprattutto diffidenza per le loro possibili mire. Vere? inventate ad arte per creare nuova diffidenza? Tavaroli e Mancini sono più che amici, ciascuno può chiedere all’altro ogni favore, «anche se il nostro senso delle istituzioni ci ha sempre impedito di operare fuori dalle regole» ripete Tavaroli ogni volta che parla dell’amico. Sono loro due i veri protagonisti del «caso Telecom», perché – ne sono certi – è proprio questo ticket ad allarmare molti loro ex ufficiali oggi bistrattati, ma anche gli ambienti romani: due uomini ambiziosi, carismatici, decisi fino alla spregiudicatezza, tra loro legatissimi e, volendo, in grado di operare in modo integrato su Telecom e Sismi. «Ci hanno visti come un autentico pericolo: due persone non gestibili né ricattabili – dice ancora Tavaroli – e qualcuno ha fatto partire i primi siluri». Quel "qualcuno" arriva a mettere una pulce nell’orecchio al presidente del Consiglio, il quale verso la fine del 2002 chiede lumi a Nicolò Pollari, il capo del Sismi all’ombra del quale Mancini ha costruito la sua carriera. Berlusconi viene rassicurato da Pollari: «Marco è un ottimo elemento. Anzi: va promosso a capo della I divisione». E così avviene. Quello stesso network che diffida, ricambiato, del nuovo vertice Telecom, circonda di blandizie e assedia i potenti neopossessori delle chiavi della conoscenza digitale: «Per conto dell’azienda mi sono posto al centro di un sistema di relazioni non ufficiali, paraistituzionali, basate sulla gestione di informazioni pubbliche e riservate. Sì, perché quel network esiste, ma sbaglia chi pensa che ne siamo stati il centro propulsore con le nostre attività: noi ci siamo dovuti adeguare per sopravvivere». Il compito che, secondo l’ex responsabile della sicurezza, gli venne chiesto di svolgere non era per lui troppo difficile: «Avevo già allestito una struttura in grado di effettuare analisi mirate per capire quali forze agiscono in un certo teatro, a ipotizzare come si potessero muovere, a fornire strumenti per distinguere i nemici dagli amici». Secondo il suo creatore, solo in questo consisteva «il famigerato "sistema Tavaroli", l’unico che conosco. Poi, se vogliamo, c’era un "sistema Cipriani", come si è visto, ma questa è una storia diversa». Segnali di pericolo Arrivano, ricorda ancora l’indagato numero uno per il dossieraggio Telecom, messaggi diretti come gli attacchi alla società, al presidente, a sua moglie o anche indiretti, ma inequivocabili. Come l’esempio dettato a verbale per convincere anche i Pm (senza molto successo) del perché di certe azioni: «Verso fine 2004, Nunzio Rizzi, un belga al vertice della Kroll si presenta a Gianni Letta e gli dice: siamo in possesso di notizie lesive della reputazione di Tronchetti Provera. Possiamo farle pubblicare?». Letta, invece di sbatterlo fuori chiama il Presidente e gli riferisce la conversazione. Tronchetti mi incarica della questione, e riesco a bloccare tutto». Ma il solo fatto di aver ricevuto Rizzi a Palazzo Chigi è un segnale chiaro: «Hanno mandato a dire al Presidente che non si fidavano di lui, che la sua reputazione poteva essere sporcata se gli ambienti politici non facevano barriera. E quindi era meglio andare d’accordo…». Ma lo stesso Letta, riporta ancora Tavaroli dalle parole di Marco Mancini, rassicura l’alto grado del Sismi nel pieno delle sue burrasche giudiziarie: «Se vinciamo le prossime elezioni riavrai il tuo posto». Il potenziale controllo, se non l’accesso, al forziere delle tracce elettroniche del Paese: questa la posta che la Security Telecom ha ritenuto di dover difendere dalle mire di tanti. Ma era compito suo? E per farlo ha usato mezzi leciti? Tavaroli e i suoi hanno estremizzato canoni pressoché ovvi in altri Paesi ma sconosciuti o non ammessi in Italia? Anche queste sono risposte da giudice. Una cosa è certa: negli anni clou dell’era Tavaroli/Telecom, la situazione si era fatta assai critica e al limite dell’allarme democratico, considerati legami con Mancini/Sismi. Una dimostrazione netta, incontestabile, viene dall’inchiesta sul rapimento di Abu Omar. Quando tra il 2004 e il 2005 le indagini stringono su Cia e Sismi (Marco Mancini sarà arrestato il 5 luglio 2006), gli inquirenti devono porsi il problema di come intercettare i telefoni dei Servizi, senza allertare chi, dentro Telecom, potrebbe vanificare l’investigazione. La soluzione verrà da un altro uomo Telecom, l’ex poliziotto Adamo Bove (morto suicida il 21 luglio 2006), compagno di corso e grande amico del dirigente Digos Bruno Megale. Bove suggerisce a Megale il complicato gioco di sponda, in modo che al Cnag (il centro per le intercettazioni, in quel periodo inglobato nella Security di Tavaroli) arrivasse solo una criptica indicazione di codici (il codice Imsi) da cuinon era possibile risalire agli intestatari dei telefoni sotto controllo. E il sistema suggerito da Bove ha funzionato. Se, però, una Procura della Repubblica ritiene di dover aggirare le "sentinelle" di alto livello operanti dentro il gestore e gli stessi Pm non ritengono di potersi rivolgere ai superiori di Tavaroli, significa che qualcosa di molto grave stava accadendo in quell’azienda e nel Paese. Lionello Mancini