La Stampa 21 luglio 2008, Gianni Romeo, 21 luglio 2008
I fachiri dello sport all’ombra di Pietri. La Stampa 21 luglio 2008 C’è una data molto speciale da ricordare, da festeggiare, da meditare
I fachiri dello sport all’ombra di Pietri. La Stampa 21 luglio 2008 C’è una data molto speciale da ricordare, da festeggiare, da meditare. Giovedì prossimo, 24 luglio, saranno trascorsi cent’anni esatti dall’epica maratona disputata da Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra 1908, maratona che l’atleta modenese concluse barcollando, perdendo l’orientamento, angosciando i 100.000 spettatori di White City, poi tagliando il traguardo con il sostegno del direttore di corsa e del responsabile medico. Il verdetto fu duro, impietoso, inflessibile: squalifica! Tutto ciò, malgrado Dorando avesse dominato la gara e fosse entrato nello stadio con un vantaggio enorme, nove minuti sullo statunitense Hayes. «Questa sconfitta darà al piccolo italiano maggior celebrità di mille vittorie», scrisse all’epoca sul Daily Mail un giovane giornalista, Arthur Conan Doyle, l’uomo che più avanti s’inventò il personaggio Sherlock Holmes. Evidentemente dimostrò fin da allora il geniale intuito che affibbiò all’investigatore, perché il nome di Dorando dopo quella vicenda fece il giro del mondo. Ancor oggi la foto drammatica che riprende l’esausto corridore sul traguardo accompagnato dai suoi salvatori, o forse carnefici perché nessuno sa se senza aiuto ce l’avrebbe fatta, viene considerata l’immagine più celebre dello sport. Ma la data, 24 luglio 1908, vale una riflessione speciale anche perché identifica il momento in cui lo sport italiano diventa maggiorenne, scavalca i suoi confini ed esporta nel mondo le prime storie fatte di talento e muscoli mediterranei. L’Olimpiade moderna era nata dodici anni prima (Atene 1896), l’epopea del calcio era agli albori (nel 1908 vinse il suo primo scudetto la mitica Pro Vercelli), il Giro d’Italia avrebbe preso il via un anno dopo (Ganna), i motori non ruggivano ancora. Due anni prima dei Giochi di Londra era nato in provincia di Udine, a Sequals, il pugile Primo Carnera, che avrebbe in qualche modo raccolto da Dorando il testimone di eroe leggendario e sfortunato. Lo definirono «gigante dai piedi d’argilla», ma divenne famoso nel mondo. E contribuì a rompere quell’incantesimo che circondava nei tempi pionieristici lo sport, considerato un’isola felice popolata da superuomini forti e fortunati. No, lo sport lanciava messaggi anche di fatica e sofferenza, come dimostrarono molto più avanti la tragedia granata di Superga (1949) e la morte di Fausto Coppi (1960). Primo Carnera, l’audace Tazio Nuvolari, un pilota che incantò tre generazioni di sportivi, mettiamoci Silvio Piola che giocò 25 anni in serie A e segnò come una mitraglia, 395 gol: sono i figli nobili di Dorando Pietri. Il quale inaugurò più o meno ufficiosamente il professionismo nello sport, fino a quel tempo ovattato di ipocrisia. I guadagni che rimediò soprattutto negli Stati Uniti dove volevano applaudire il «fenomeno» furono a quel tempo altissimi. In una piazza di Carpi, la cittadina eletta dalla famiglia Pietri a dimora poco dopo la nascita di Dorando (a Correggio, pochi chilometri di distanza) giovedì verrà scoperto un monumento suggestivo e imponente, più di sette metri di altezza. Raffigura un bel Dorando in bronzo che corre, lassù in alto, mentre la base in marmo riprende le scene di quel giorno epico. L’opera è di Dino Morsani, sculture noto per altre creazioni legate allo sport. Le cerimonie di giovedì non sono l’atto conclusivo dell’annata dedicata a Dorando da un efficiente comitato organizzatore. In ottobre ci sarà ancora la maratona d’Italia. Ma se c’è un momento di questo percorso che oggi va ricordato è la splendida accoglienza riservata dalla regina Elisabetta alla delegazione carpigiana nel castello di Windsor. Lo scorso 30 maggio le mani di Elisabetta hanno accolto e accarezzato per un momento la coppa d’argento portata religiosamente fin lì dall’Italia, la coppa che sua nonna, la regina Alessandra, aveva fatto coniare appositamente, una sorta di riparazione simbolica all’ingiustizia, e aveva voluto consegnare di persona all’eroe sfortunato. L’accoglienza dei Windsor è testimonianza della sensibilità di una sovrana, ma anche del fascino non corroso dal tempo di un episodio sempre attuale. La squalifica di Pietri aveva diviso la folla e anche l’opinione pubblica. Quella premiazione avvenuta all’Olimpiade al di fuori di ogni protocollo commosse il mondo sportivo e Dorando se ne sentì appagato, fiero. Tornò in Italia da vincitore,come avrebbe dovuto essere. Un vincitore morale ma anche un folle, che aveva richiesto troppo al suo fisico? La storia e le testimonianze, come si può leggere nel libro di Augusto Frasca scritto per le celebrazioni, fanno luce meglio sulla vicenda. Dorando giunse a pochi metri dal traguardo completamente disidratato, prosciugato, secco. Secondo i dettami dell’epoca si sconsigliava ai corridori delle lunghe distanze di bere, l’acqua era considerata un appesantimento e un veleno. Questa teoria faticò a essere debellata. Ci raccontava il marciatore Abdon Pamich che riuscì a vincere per miracolo la medaglia d’oro a Tokyo ”64 sui 50 km, perché i tecnici gli avevano assolutamente proibito di ingerire liquidi. E sul percorso lasciò 4 chili di peso. La fine della storia? Il ricco Dorando sbagliò investimenti, ripiegò sull’acquisto di un garage a Sanremo, dove morì. La maratona della sua vita si concluse a 57 anni, nel ”42. Lo ricordavano due vie a lui dedicate a Londra e New York, ora guarda la sua Carpi da 7 metri d’altezza. Gianni Romeo