Corriere della Sera 22 luglio 2008, Valerio Cappelli, 22 luglio 2008
Siani. Un eroe per caso. Corriere della Sera 22 luglio 2008 Quando la camorra lo uccise, il 23 settembre 1985, Pasquale Nonno che all’epoca dirigeva «Il Mattino» di Napoli disse: «Non so perché l’hanno fatto, anche noi vogliamo scoprirlo »
Siani. Un eroe per caso. Corriere della Sera 22 luglio 2008 Quando la camorra lo uccise, il 23 settembre 1985, Pasquale Nonno che all’epoca dirigeva «Il Mattino» di Napoli disse: «Non so perché l’hanno fatto, anche noi vogliamo scoprirlo ». Giancarlo Siani da quattro giorni aveva compiuto 26 anni. E quattro giorni dopo sarebbe diventato giornalista professionista. Marco Risi sta girando a Napoli un film su di lui, sugli ultimi quattro mesi della sua vita. Si intitola Fortapasc. una frase che pronunciò il sindaco di Torre Annunziata dopo la strage di Sant’Angelo che costò otto vittime: «Non siamo a Forte Apache». «Si minimizzava - dice il regista che per quel ruolo ha preso Ennio Fantastichini - si tacitava, si smorzava ». Gomorra, il film di Garrone dal romanzo di Saviano, ha aperto la strada alle storie di camorra. Però il progetto di Risi (prodotto da Rai Cinema, Bibi Film Tv e Minerva Pictures) è antecedente, è nato cinque anni fa «ed è stato un po’ sofferto». In Gomorra c’è la manovalanza della camorra, questa è la storia di un ragazzo, «l’unico giornalista ucciso dalla camorra», dice Risi. Ma i due film hanno in comune lo sfondo e i tre attori: Gianfelice Imparato, che lì è l’esattore, qui è il pretore; Salvatore Striano, in Gomorra il capoclan di Secondigliano, in Fortapasc un motociclista; Salvatore Cantalupo, lì il sarto, qui il geometra del clan di Valentino Gionta. Tutto nasce da Gionta, «il venditore ambulante ittico che controllava la droga che passava da Torre Annunziata, in carcere col 41 bis». Il destino di Giancarlo Siani, interpretato da Libero De Rienzo, è legato a lui. Tutto, in quel periodo, ruotava intorno agli interessi per la ricostruzione del dopo terremoto. E Giancarlo vedeva, capiva, cercava di far bene il suo lavoro, scriveva tra «politici corrotti, magistrati pavidi, carabinieri impotenti, come un giglio nel fango». Però Risi giura che, dalla sceneggiatura da lui scritta con Andrea Purgatori e Jim Carrington, non esce un santo o un martire civile. Il protagonista del film ricorda che fu freddato dalla camorra «per un articolo in cui scrisse che, a far arrestare Gionta, furono i suoi compagni, Angelo e Lorenzo Nuvoletta. Siani scrisse che il prezzo dell’armistizio fra i clan era Gionta. I Nuvoletta, dovevano lavare l’infamia». La camorra è cambiata dagli anni ’80. «All’epoca c’era il codice d’onore che a noi è sempre sembrato grottesco, ridicolo», dice De Rienzo. E Risi: «Oggi la camorra è più spietata, si uccide per molto meno ». Giancarlo non voleva essere un eroe, era un ragazzo che amava il suo mestiere. Sembrava uno fuori posto, inadeguato, gli occhiali, la goffaggine, il tipo a cui cade la penna dal taschino della camicia. «Un ragazzo semplice che amava la vita», dice Risi. Usato da informatori senza scrupoli. Forse non si è reso conto del pericolo che stava correndo. Nella vita privata era uno che aveva due storie insieme, la cinese violoncellista e la ragazza ufficiale, restituita da Valentina Lodovini: «Io rimprovero Giancarlo che nell’amore non voleva crescere, lo sprono, vogliamo costruire un rapporto vero, vuoi diventare uomo? Sono una partenopea dal senso pratico, abituata a risolvere i problemi». Se Gomorra aveva intenti più «documentaristi », qui c’è la realtà sopra le righe, il melò della vita vera che contiene giù un’idea di finzione, c’è il kitsch degli anni ’80 che entra nella scena del giorno: l’arresto di Gionta durante la comunione del figlio, i carabinieri sparano in aria, gli invitati urlano, urla il cantante alla Merola, Gionta si strappa la camicia e urla anche lui, che l’unica arma è quella che tiene sotto i pantaloni, e tutto è al contempo folle e reale. Ci sono diverse scene d’azione. E qualche momento di ilarità in cui Marco ha ripensato a suo padre, Dino Risi, da poco scomparso. Come aiuto regista troviamo Andrea Miglio Risi, il figlio di Marco, che ha voluto mantenere anche il cognome della madre, l’attrice Eliana Miglio, per distinguersi: «Voleva guardare dall’altra parte della macchina da presa. Ma Andrea è orientato a far l’attore». Il film comincia il giorno in cui Giancarlo viene ucciso. La voce di Giancarlo racconta come se fosse vivo. Giancarlo, cresciuto al Vomero, veniva da una famiglia borghese. Il fratello Paolo, primario all’ospedale pediatrico, ha letto la sceneggiatura. Libero De Rienzo l’ha incontrato: «C’erano 40 gradi e sudavo come un cretino, non abbiamo parlato di Giancarlo. M’ha solo detto che era impressionato dalla somiglianza fisica». Il giorno delle pallottole Giancarlo era sulla sua Mehari, un fuoristrada spartano, un’auto giocatolo tutta di plastica col tetto aperto. I killer non hanno faticato. «Giancarlo portava una camicia bianca e andava nella sua auto così vulnerabile, tutto dimostrava la sua purezza», dice Marco Risi. Ha ritrovato la Mehari verdina originale di Giancarlo: «Stava in un agriturismo in Sicilia. Era lì, abbandonata. Con un altro colore. L’abbiamo riverniciata. Non pensavamo che partisse. Invece abbiamo girato la chiavetta e...». Il segnale che questo film si doveva fare. Valerio Cappelli