La Repubblica 22 luglio 2008, SIEGMUND GINZBERG, 22 luglio 2008
Adriano. Memorie di un sovrano guerriero. La Repubblica 22 luglio 2008 Un nuovo, giovanissimo, carismatico leader dell´Occidente ritira le truppe dall´Iraq e rinuncia a fare la guerra all´Iran
Adriano. Memorie di un sovrano guerriero. La Repubblica 22 luglio 2008 Un nuovo, giovanissimo, carismatico leader dell´Occidente ritira le truppe dall´Iraq e rinuncia a fare la guerra all´Iran. Non perché sia più pacifista del suo predecessore, ma perché la nuova strategia meglio risponde alle esigenze di consolidamento dell´impero. Non disperde le forze militari, le rafforza dove più servono. Se c´è da sedare minacce al suo nuovo ordine mondiale, lo fa spietatamente. Alla crisi economica risponde con uno stimolo fiscale, condonando le tasse dovute, e con massicci investimenti in edilizia e in opere pubbliche. Dedica estrema attenzione all´immagine e al pubblico. Incoraggia spudoratamente il culto della personalità, di cui ha fatto peraltro già buon uso per arrivare al potere. La forzatura nei riferimenti all´attualità è non solo suggerita, ma deliberatamente incoraggiata dai curatori della grande mostra su Adriano che si sta per aprire al British Museum di Londra («Hadrian, Empire and Conflict», dal 24 luglio al 26 ottobre). «Un po´ Obama, un po´ McCain», dice il curatore della mostra, Thorsten Opper, dell´imperatore che stabilizzò l´overstretching militare, i passi più lunghi della gamba compiuti dal suo predecessore Traiano, il quale, non contento di essersi impantanato in Mesopotamia, da lì puntava a fare guerra anche contro l´impero dei Parti, che occupavano l´odierno Iran. La ricchissima esposizione di pezzi provenienti da tutto il mondo, ed arricchita da reperti recenti o recentissimi, è dominata dalle colossali statue in cui l´imperatore viene raffigurato in veste di capo militare, di condottiero vittorioso che schiaccia i suoi nemici, o addirittura di Dio della guerra. Mentre viene fatta letteralmente a pezzi la statua più famosa di tutte, conservata proprio al British, che ne dava un´immagine "greca", di amante delle lettere: nella fretta, gli archeologi ottocenteschi avevano messo quella che è indubbiamente la testa barbuta di Adriano sulla statua sbagliata abbigliata alla greca. Gli imperatori non venivano rappresentati a casaccio, ma con criteri precisi: abbigliati con la corazza, in toga romana, o nudi, in quanto divinità. Quel greculo avrebbe dovuto suscitare sospetti quanto uno Stalin col cappello da cowboy, un Mao con copricapo Sioux o un Bush travestito da talebano. La documentazione archeologica porta a privilegiare il capo di eserciti, lo stratega accorto, l´abile e spregiudicato politico. Sarà anche stata motivata da ragioni di propaganda, dalla necessità di tacitare chi poteva tacciarlo di mollare le conquiste dell´Impero, e di scoraggiare chi potesse avere grilli di ribellione, ma si tratta comunque di un´immagine molto diversa da quella del personaggio introspettivo, sensibile, dolce e delicato, dell´imperatore filosofo e amante della vita contemplativa, del raffinato letterato dialogante con la propria animula vagula blandula, cui ci aveva abituato il romanzo di Marguerite Yourcenar. L´Adriano della Yourcenar non aveva mai convinto molto gli studiosi. Il grande antichista di Oxford Ronald Syme l´aveva demolito in una celebre conferenza sulla "Storia romanzata". Sulla stessa strada vanno gli studi più recenti. Unico punto fuori di discussione che fosse gay, ma per un imperatore romano questo non era un problema. Tutta una sezione dell´esposizione è dedicata al bellissimo amante di Adriano, l´efebo Antinoo, annegato nel Nilo in circostanze misteriose. Nessuno cancella l´Adriano del capolavoro letterario. Ma il British privilegia l´altra faccia. «Ogni generazione ha il suo Adriano. Tra una guerra mondiale e l´altra, poteva essere di conforto vederlo come un apostolo della pace, e questa è l´idea della Yourcenar. Noi abbiamo cercato di mostrarne anche le altre facce, comprese quelle più brutali», spiega il curatore Opper. Tra i 170 oggetti in mostra, provenienti da una trentina di musei e siti ancora in corso di scavo, sono molti quelli che vengono deliberatamente presentati in modo da evocare l´attualità. Ci sono le origini ispaniche di Adriano - la Spagna era la provincia che forniva una delle materie prime più importanti per l´economia romana, presentato come l´equivalente di quel che è il petrolio per l´economia di oggi: l´olio d´oliva, fondamentale per alimentare la popolazione e le legioni, per cuocere, per l´illuminazione e anche come sostituto di sapone e cosmetico. Uno dei quartieri più in di Roma, il Testaccio, poggia su una montagna di cocci di anfore per olio, alta una quarantina di metri e di un chilometro di diametro, i resti di oltre 24 milioni di anfore, che avevano contenuto 1,7 miliardi di litri. L´80 per cento proveniva dalla Baetica, la regione nel sud-ovest della Spagna, dove la famiglia di Adriano aveva fatto fortuna commerciando in olio. «Gli uliveti rappresentavano per il futuro leader Adriano quel che la fortuna di Joseph Kennedy fu per il figlio John», la battuta dei curatori. Ci sono le tavolette di legno del forte di Vindolanda, di poco precedenti la costruzione del Vallo di Adriano, che sono l´archivio della guarnigione romana in Britannia, composta da soldati celtici, germanici, provenienti dal Nord Africa o dal Medio oriente. Le lettere incise offrono di tutto: ordini militari, lamentele sul freddo, sulle malattie, sull´ostilità degli indigeni chiamati spregiativamente brittunculi, inviti a feste, ricevute di pacchi contenenti calze e mutante. «L´equivalente degli e-mail e delle lettere spedite dai soldati Usa di stanza in Iraq», non esita a definirlo il direttore del British, Neil McGregor. Sul piano della politica estera e militare, la prima iniziativa di Adriano nel succedere a Traiano era stata ordinare l´immediata evacuazione della Mesopotamia, dell´Assiria e della Grande Armenia. Aveva subito sciolto e licenziato la formazione più temibile e feroce al suo servizio, la cavalleria araba di Quieto, non si sa se perché si erano guadagnati con le loro scorrerie l´odio delle popolazioni, o anche perché non si fidava di loro. Aveva avviato trattative diplomatiche e concluso trattati con tutti i vicini inquieti dell´impero, compresi alcuni "Stati canaglia". Arretrando le frontiere orientali dell´Impero sull´Eufrate e rinunciando alla conquista della Persia di Cosroe, aveva stabilizzato il confine più pericoloso. La costruzione di grandi muraglie difensive (la palizzata in Germania, il Vallo tra Britannia e Scozia, un muro che tenesse fuori i predoni del deserto in Nord Africa), gli aveva fornito potenti simboli della potenza dell´impero. Esattamente come la Grande muraglia per l´altro grande impero all´estremo opposto della terra: la Cina. Non serviva tanto da confine invalicabile, quanto da dimostrazione di forza, e come strumento per separare aree tribali contigue, evitare che etnie e tribù rivali compromettessero la stabilità dell´impero. Ad esempio, secondo le interpretazioni più recenti, il gran vallo che separava la Scozia dei feroci caledoni dalla Britannia, avrebbe avuto la funzione di evitare una frizione continua, se non una vera e propria "guerra civile" tipo quella che in Iraq si teme tra sciiti, sunniti e curdi, e al tempo stesso di pattugliare, dai forti lungo la muraglia, "basi" diremmo oggi, una parte e l´altra Ciò gli consentiva di erigere altri simboli come il Pantheon o la meravigliosa villa a Tivoli, senza temere che facessero la fine delle Torri gemelle a Manhattan. Il suo ventennio (117-138) fu uno dei più prosperi. Ciò forse spiega anche la ferocia con cui Adriano schiacciò le ribellioni che minavano l´armonia dell´Impero. Tra quelli che gli avevano dato più filo da torcere c´erano gli ebrei. Quando quelli della diaspora crearono gravi incidenti scontrandosi coi cristiani ad Alessandria, fece di tutto per mediare e riportare pace tra le due comunità. Anche la malaugurata idea di proibire, sotto pena di morte, la circoncisione rientrava in un tentativo di "assimilazione" degli ebrei per evitare il diffondersi di conflitti che turbavano l´impero. Con la trovata di ribattezzare Gerusalemme col proprio nome e far costruire sulle rovine del vecchio Tempio, là dove oggi c´è la spianata della Moschee, un tempio dedicata a Zeus, credeva forse di poter mettere fine alle diatribe. Ma finì malissimo: la rivolta di Simeone Bar Khoba, il "Figlio della Stella", gli costò la distruzione di un´intera legione e la decimazione di altre due. Gli ci vollero anni per domarla, e il massacro di ben 600.000 ebrei, al punto che la regione, rimasta senza giudei, cessò di essere chiamata Giudea. Se si tiene conto che l´Impero romano e dintorni avevano allora una popolazione di 70 milioni di abitanti, e l´Impero cinese 50 milioni, fu un massacro di proporzione Olocausto. Fa un certo senso ritrovare tra gli oggetti esposti, provenienti dagli scavi in Israele, anche le elaborate chiavi che i rivoltosi avevano portato con sé nelle grotte dove si rifugiavano, lo stesso simbolo della rivolta palestinese dei giorni nostri. Nella letteratura rabbinica il nome di Adriano è immancabilmente seguito dalla maledizione: «Marciscano le sue ossa». Questa faccia ci mette a disagio perché «non siamo più abituati a pensare che la brutalità possa essere il prezzo della stabilità, anche se il macello poi non porta affatto alla stabilità», osserva il direttore del British McGregor. «Abbiamo voluto mostrare anche la faccia nazista di Adriano», gli fa eco il curatore Opper. SIEGMUND GINZBERG