Corriere della Sera 19-20-21-22 luglio/2008, 22 luglio 2008
DOSSIER ILLECITI TELECOM - TAVAROLI
(da Corriere della Sera)
Corriere della Sera, sabato 19 luglio
MILANO - La Procura di Milano indaga per corruzione le società Telecom e Pirelli, non chi è stato sino a poco tempo l’ azionista di riferimento dell’ una ed è presidente dell’ altra, Marco Tronchetti Provera: la fotografia dell’ esito finale di 3 anni di inchiesta sul dossieraggio illegale praticato dalla Security aziendale di Giuliano Tavaroli arriva indirettamente dall’ esito dall’ interrogatorio che, in gran segreto, alla fine di giugno i pm sono riusciti a far passare inosservato a tutti, benché svolto quasi sotto il naso di tutti: nella palazzina della polizia giudiziaria in piazzetta Umanitaria accanto al Tribunale, nell’ orario lavorativo d’ un giorno feriale dell’ ultima settimana del mese. Doppio verbale E simultaneo: in una stanza interrogato Tronchetti, in un’ altra l’ ex top manager Carlo Buora. Entrati senza avvocato, sono usciti sempre senza difensore: segno che sono rimasti testimoni, persone informate sui fatti. Com’ è possibile, vista l’ ondata di arresti (almeno 5 rate) che dal 2005 hanno disvelato il gigantesco dossieraggio economico e politico con informazioni raccolte in maniera illecita dal loro manager della sicurezza sui più vari soggetti, da Carlo De Benedetti al vicedirettore del Corriere Massimo Mucchetti? La risposta, in mancanza del deposito finale degli sterminati atti dell’ inchiesta, è che gli inquirenti abbiano ritenuto di non disporre di elementi sufficienti per poter sostenere in un processo che Tronchetti e Buora fossero consapevoli dei metodi illegali (accesso abusivo a banche dati, violazione dei computer altrui, commercio di tabulati telefonici) con i quali la Security di Tavaroli acquisiva le informazioni che poi a volte e in parte metteva a disposizione dei vertici aziendali. Agenzia 007 NERO A volte, e in parte. Perché l’ inchiesta sembra ritenere che la divisione aziendale di Tavaroli funzionasse in realtà come una agenzia di servizi illeciti non di rado offerti a segmenti di organismi istituzionali (come i servizi segreti), che però in quei casi agivano fuori dalle finalità istituzionali, in conto proprio o dei propri committenti "privati". Anche su questo versante, così come Tavaroli è il manager di maggior livello nel gruppo Telecom-Pirelli raggiunto dall’ indagine, all’ interno dell’ ex Sismi l’ inchiesta non ha sinora ritenuto di avere elementi da contestare all’ ex direttore Niccolò Pollari, attestandosi al livello del già arrestato ex capo del controspionaggio Marco Mancini. Legge 231 Se le persone fisiche di Tronchetti e Buora non sono indagate, lo sono invece le società Telecom e Pirelli in base alla legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle società per reati commessi da proprie figure apicali nell’ interesse aziendale. I due colossi quotati in Borsa sono indagati (e tecnicamente toccherà a loro dimostrare che i modelli organizzativi interni di controllo non avrebbero comunque potuto parare l’ attività di Tavaroli) non per la miriade di violazione delle banche dati di forze di polizia e dello stesso gestore telefonico commesse dai poliziotti-carabinieri-finanzieri al soldo della Security aziendale (reato che non è compreso fra quelli per i quali scatta la legge 231); ma per l’ invece contemplato reato di corruzione, cioè appunto per le tangenti versate agli uomini delle forze dell’ ordine prestatisi a violare e consultare abusivamente le banche dati. 40 milioni di euro (TIT95NERO(/TIT95NEROPer paradosso, le medesime due società indagate, che qui rischiano una sanzione attorno al milione e mezzo di euro ma non contraccolpi nei contratti con lo Stato, sono invece "parti offese" rispetto all’ altro reato contestato a Tavaroli e a suoi investigatori privati di fiducia come Giampaolo Spinelli o Emanuele Cipriani, al quale fu sequestrato il Dvd con l’ archivio Zeta di dossier illecitamente formati: l’ appropriazione indebita di circa 40 di milioni di euro di Telecom e Pirelli spesi da Tavaroli per retribuire appunto queste attività. No intercettazioni Nonostante un ricorrente equivoco ormai triennale, ancora all’ attuale stato dell’ inchiesta non risulta che la Procura abbia contestato a uomini Telecom-Pirelli alcun caso di intercettazione telefonica illegale, non avendo trovato riscontro ad alcuni spunti pur presenti negli atti: come la presenza di una quindicina di «sonde» molto simili a un possibile sistema di allerta rispetto a intercettazioni attivate dall’ autorità giudiziaria, o come le affermazioni di seconda mano riferite da alcuni indagati Rebus falò Resta quello della praticabilità della distruzione che una mal fatta legge (al vaglio della Consulta da 15 mesi) impone per i dossier illeciti sequestrati su 4.000 persone e 350 società di cui la legge: 70 faldoni da 400 pagine l’ uno. lferrarella@corriere.itI protagonisti *** Sopra, Giuliano Tavaroli, ex responsabile della sicurezza di Telecom e Pirelli. A destra, l’ ex agente Sismi Marco Mancini * * * Le tappe Maggio 2005 Perquisiti gli uffici di Tavaroli. Si indaga su dossier illegali Settembre 2006 Arrestati in 21, tra loro l’ investigatore privato Cipriani, sequestrato l’ «archivio Zeta» Marzo 2007 Ricorso del gip sulla legge per distruggere i dossier
Ferrarella Luigi
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Corriere della Sera, domenica 20 luglio
MILANO - Quasi 9mila accessi abusivi a informazioni (banche dati dei ministeri Interno, Giustizia e Finanze, tabulati telefonici, hackeraggio di pc) che hanno violato la privacy di un numero di cittadini pari a poco più della metà: è questa la dimensione dello spicchio di attività illegale di dossieraggio afferrato dai tre anni di inchiesta della Procura di Milano sulla Security di Telecom e Pirelli nell’ era di Giuliano Tavaroli. Sui soggetti più disparati. Esponenti di associazioni di consumatori, come Carlo Rienzi del Codacons. Controllori di Telecom, come i 5 funzionari del Garante per la Concorrenza «spiati» nelle mail proprio mentre l’ Antitrust giudicava Telecom, o come il sindaco di minoranza Rosalba Casiraghi. Dipendenti e sindacalisti, ma anche i concorrenti Fastweb, Vodafone, H3G. Top manager italiani come Enrico Bondi, Vittorio Colao (allora in Rcs) e l’ ad di Enel Fulvio Conti; e big esteri come Al Walid e il gruppo Sawiris (operazione Scimitarra). Banchieri come Cesare Geronzi e imprenditori come Marcellino Gavio. Giornalisti invisi come Massimo Mucchetti (Corriere) o gli articolisti di Libero Davide Giacalone e Fausto Carioti. E forse anche altri uomini dell’ editoria titolari di qualcuno dei cellulari di cui l’ applicativo Radar carpiva in Tim (senza lasciare traccia) i tabulati del traffico storico: per esempio uno in carico alla Mondadori, o l’ altro («sbirciato» per il 2003 e 2004) intestato «a Pirelli spa Rcs MediaGroup». Più personaggi dello sport (dall’ arbitro Pairetto al calciatore Vieri passando per Moggi) e persino della cronaca nera, come quel Ruggero Jucker assassino della fidanzata. Quando sarà attivata la procedura per l’ udienza di distruzione dei dossier (da 15 mesi però al vaglio della Consulta), per ospitare tutte le parti offese si rischierà di dover far udienza magari in un palazzetto dello sport, sempre si riesca intanto ad avvisarle. Non risultano invece «spiati» i magistrati Gherardo Colombo e Gerardo D’ Ambrosio, tempo fa scambiati da un quotidiano (titolo d’ apertura di prima pagina e due interne) con i quasi omonimi bersagli dei dossier Piccione e San Gennaro. Questa massa di informazioni, «utilizzata per integrare i dossier sulle persone attenzionate, studiandone i contatti e le frequentazioni», a volte era «trasmessa a personale dei servizi di sicurezza per finalità non istituzionali», a volte era finalizzata all’ interesse aziendale. Telecom e Pirelli sono indagate (per corruzione degli agenti che accedevano ai dati abusivi) per la legge 231, nell’ ipotesi che i loro modelli organizzativi non fossero adeguati o ben attuati per impedire i reati attribuiti a Tavaroli. Nel contempo le società si costituiranno parte civile contro gli indagati (sui 34 totali) di appropriazione indebita di quasi 40 milioni di euro aziendali, reato commesso «per occultare pratiche corruttive» attuate dallo staff della Security «con l’ abuso di relazioni d’ ufficio e prestazioni d’ opera» nelle due società. A Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora, non indagati, ha senz’ altro giovato il muro opposto ai pm, dopo l’ iniziale zig zag, da Tavaroli. Che in uno degli ultimi interrogatori, il 7 aprile 2007, ha affermato: «Ribadisco di non aver consegnato né a Buora né a Tronchetti singoli dossier. I nostri colloqui non duravano mai più di 5-10 minuti. Ho messo al corrente il Presidente delle vicende più rilevanti, senza metterlo al corrente delle modalità con cui ero venuto in possesso delle notizie». lferrarella@corriere.it
Ferrarella Luigi
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Corriere della Sera, lunedì 21 luglio
Siamo abituati agli atti d’ accusa che coinvolgono numerose persone e alle sentenze, soprattutto in Appello e in Cassazione, che riducono considerevolmente il numero e le responsabilità degli imputati. Nel procedimento che concerne dal 2005 Telecom, Pirelli e il responsabile dei loro servizi di sicurezza, Giuliano Tavaroli, sembra che stia accadendo esattamente l’ opposto. Durante lo «scandalo dei dossieraggi» (un gigantesco mercato di controlli telefonici e spionaggio informatico che coinvolse, come vittime e clienti, parecchie migliaia di persone) avemmo tutti l’ impressione che le indagini avrebbero inevitabilmente trascinato sul banco degli accusati il presidente e l’ amministratore delegato dell’ azienda, rappresentati come registi dell’ intera operazione. Ebbene, no. Dopo tre anni di indagini, la Procura della Repubblica di Milano starebbe per incriminare una trentina di persone, fra cui Tavaroli, e per rinviare a giudizio le società Telecom e Pirelli, ma avrebbe implicitamente scagionato Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora. Il «teorema», come direbbe Berlusconi, è stato smontato. Ma questo non è accaduto alla fine di un sofferto tragitto giudiziario, costellato di sentenze e di appelli. accaduto grazie a una Procura che, occorre riconoscerlo, non ha fatto nulla, nella fase calda dello scandalo, per alimentare sospetti e supposizioni. Forse è giunto il momento di chiedersi come e perché l’ Italia sia particolarmente vulnerabile a questo tipo di vicende. Quando esplodono, gli scandali italiani cadono su un terreno pronto ad accoglierli. Una parte importante della pubblica opinione è convinta che la sua classe dirigente (politici, imprenditori, finanzieri) sia avida, corrotta, profondamente immorale, instancabilmente indaffarata ad arricchire se stessa e a derubare i suoi connazionali. La battuta di Giulio Andreotti («a pensare male s’ indovina») è diventata un motto nazionale. In molti Paesi la possibilità che una truffa o un complotto siano stati orditi da personalità eminenti suscita generalmente sorpresa, sconcerto, incredulità. Da noi suscita una specie di trionfale compiacimento e ribadisce convinzioni diffuse. Le assoluzioni, quando arrivano, dimostrano soltanto che anche la giustizia, in ultima analisi, è al servizio dei potenti. Il sospetto che diventa una patologia nazionale crea un ingranaggio inarrestabile, un ciclo continuo, difficile da interrompere. Non è necessario costruire teoremi. Esistono già, depositati nel profondo della diffidenza e della sospettosità nazionali. Attenzione, non vorrei essere frainteso. In un Paese afflitto da corruzione, conflitto d’ interessi, spirito mafioso e criminalità organizzata, gli scandali, purtroppo, sono spesso reali. Ma se è sciocco negarne l’ esistenza, è altrettanto sciocco pensare che tutti gli amministratori pubblici siano ladri e tutti gli imprenditori sospettabili delle peggiori nefandezze. Il Paese, nonostante tutto, è molto meglio di quanto pensino i suoi cittadini. Esiste naturalmente una responsabilità dei mezzi d’ informazione. La stampa, nel senso più largo della parola, è lo specchio che riflette i sentimenti, gli umori e le idiosincrasie della società. Ma quella italiana non si limita a registrare gli umori del Paese. In molti casi li amplifica e li rilancia. Le ragioni sono in parte antiche e in parte nuove. Là dove non esiste una netta distinzione tra stampa d’ informazione e stampa popolare, il giornale è spesso condannato a essere contemporaneamente l’ uno e l’ altro per cercare di raggiungere il maggior numero possibile di lettori. Questa ambivalenza tende a diventare ancora più evidente in una fase in cui i giornali sono insidiati da nuovi mezzi d’ informazione, moderni, aggressivi e destinati a conquistare una parte crescente della società. Esiste la concorrenza, beninteso, ma vi sono circostanze in cui costringe i concorrenti a rincorrersi verso il basso piuttosto che verso l’ alto. Temo che nella vicenda dei dossier illeciti l’ informazione abbia avuto, quasi senza eccezioni, le sue responsabilità. Per «servire» il lettore e non restare indietro rispetto alla concorrenza, ha finito per somministrargli ogni giorno una dose crescente di sospetti. E ha dimenticato che certe vicende, anche quando sono destinate a ridimensionarsi, possono avere conseguenze micidiali per la sorte dei protagonisti dello scandalo. Nel Sole 24Ore di ieri Franco Debenedetti ha intravisto una relazione tra lo scandalo dei dossier e le sorti di Telecom nei mesi successivi. Per Debenedetti in questa vicenda vi sarebbe anche lo zampino della politica. Può darsi. Ma vi è certamente una responsabilità della informazione di cui noi tutti dobbiamo essere consapevoli.
Romano Sergio
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Corriere della Sera, lunedì 21 luglio
MILANO - Uno stralcio d’ indagine su possibili corruzioni internazionali operate dalla Security di Telecom, ma senza che al momento risulti avviata alcuna rogatoria con il o dal Brasile, benché questo sia il Paese teatro in teoria del più plausibile giro di denaro, almeno stando a sentire chi (come gli indagati ex manager Ghioni e Jannone) ha evocato ai pm già molti mesi fa questo genere di scenario: è quanto si ricava a margine dell’ imminente conclusione del 90% dell’ indagine 2005/2008 sull’ attività illecita di dossieraggio praticata dalla Security di Telecom e Pirelli nell’ era Tavaroli a beneficio in parte dei due colossi (non a caso indagati ai sensi della legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle società), in parte a beneficio proprio (funzionale alla crescita di influenza sui vertici aziendali e di potere negoziale rispetto con i Servizi), e in parte a beneficio appunto di «personalità dei Servizi di sicurezza» (l’ ex Sismi) «per finalità non istituzionali». Nella definizione dell’ inchiesta non compaiono infatti alcuni nomi ed episodi pur trattati nelle passate ordinanze di arresto. E spuntano anche numerazioni differenti. E’ il segno che, in effetti, anche dopo la conclusione del grosso delle indagini, la Procura mantiene un filone aperto. Che da un lato sembra attendere la miglior comprensione delle modalità (illecite o lecite?) di confezione di alcuni dei dossier che nessuno tranne i magistrati conosce, e che (da alcuni accenni in interrogatori di Tavaroli e dello 007 Mancini) è probabile riguardassero politici o incrociassero interessi di 007 sia italiani sia esteri. E dall’ altro lato riguarda invece tutti quei residui accertamenti all’ estero per i quali sono ancora attese risposte. E’ il caso degli investigatori privati retribuiti da Telecom e Pirelli ufficialmente per supportare la logistica e la scorta delle visite di Tronchetti all’ estero, ma che le indagini hanno anche colto a operare alcuni degli accessi abusivi a dati altrui. Più complicata, invece, appare la questione della battaglia spionistica-industriale con il finanziere Daniel Dantas infuriata in Brasile, con il gruppo di Tronchetti inizialmente spiato dai soci-rivali in Brasil Telecom attraverso l’ agenzia Kroll, ma poi aggressore della Kroll con l’ hackeraggio del suo archivio attuata dal Tiger Team di Ghioni. Qui, però, gli inquirenti, anche per non farsi trascinare nelle furibonde guerre industriali (e nei sotto-conflitti di reciproche cordate) che in tre anni hanno cercato di orientare con spinte e controspinte l’ inchiesta, sono sembrati procedere con particolare prudenza, evidentemente non convinti dell’ attendibilità intrinseca di quanto affermato da alcuni indagati circa la consapevolezza che i top manager dell’ azienda avrebbero avuto delle tangenti dispensate in Brasile ad autorità pubbliche da intermediari di Telecom (a cominciare dal controverso Najis Nahas). Il tutto complicato dal contesto brasiliano, di non facile agibilità nella ricerca dei riscontri. E difatti, allo stato, non risulta alcuna rogatoria carioca: né attiva (cioè assistenza giudiziaria chiesta dall’ Italia al Brasile) né passiva (dal Brasile all’ Italia). A dispetto delle notizie sudamericane che giorni fa attribuivano all’ inchiesta milanese l’ arresto, operato dalle autorità brasiliane, sia di Dantas (per fondi al partito del presidente Lula), sia di quel Nahas destinatario dai vertici di Telecom Italia di 25 milioni per «consulenze». lferrarella@corriere.it
Ferrarella Luigi
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Corriere della Sera, martedì 22 luglio
MILANO – Chiuse le indagini sui casi di spionaggio e dossieraggio illeciti compiuti dalla Security Pirelli-Telecom guidata da Giuliano Tavaroli: 34 gli indagati, scagionati Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora.
«Corruzione». Contestata a 26 indagati l’associazione per delinquere volta alla «corruzione» finalizzata alla «rivelazione di segreti d’ufficio».
Violato 9.000 volte il trattamento dei dati di 4.000 persone.
Rete antimagistrati. La piattaforma informativa illecita, per gli inquirenti, aveva anche sviluppato una «rete» contro eventuali iniziative giudiziarie.
MILANO – Sulla consapevolezza dei vertici aziendali di Telecom e Pirelli circa almeno una circostanza, e cioè l’illiceità del modo con il quale la Security di Giuliano Tavaroli era riuscita a carpire l’archivio informatico dell’agenzia investigativa Kroll ingaggiata dai brasiliani rivali del gruppo di Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora, una voce c’è stata nell’inchiesta conclusa ieri dalla Procura di Milano con l’incriminazione delle persone giuridiche delle due società ma non delle persone fisiche dei due imprenditori: un interrogatorio (coperto da omissis) alla fine del 2007 di Fabio Ghioni, l’esperto informatico capo del «Tiger Team» di hackers che avevano appunto soffiato alla Kroll il suo prezioso archivio.
Ma una sola chiamata in correità non è stata ritenuta sufficiente dai magistrati (nè allora, nè alla fine degli interrogatori simultanei il 27 giugno scorso di Tronchetti e Buora come testimoni) per iscrivere l’allora azionista di riferimento e l’amministratore delegato nel registro degli indagati. Soprattutto perché il miglior scudo a Tronchetti e Buora sono state paradossalmente le parole messe a verbale (e ancor più quelle non pronunciate) nei 15 interrogatori nei quali dal settembre 2006 al maggio 2007 Tavaroli ha prospettato ai magistrati la sua verità di manager sempre e solo attivatosi per l’interesse aziendale. Senza mai coinvolgere direttamente Tronchetti e Buora nell’ordinazione o nella consapevolezza degli illeciti, anzi nell’aprile 2007 dichiarando ai pm di averli spesso messi al corrente delle vicende più rilevanti ma non delle fonti e delle modalità con le quali egli aveva acquisito le notizie che metteva a disposizione dei due vertici aziendali.
I 34 milioni
Per costoro le 371 pagine dell’«avviso di chiusura delle indagini » notificato ieri a 34 indagati e di «deposito degli atti» che in ben 169 faldoni la Procura metterà materialmente a disposizione dei difensori solo tra qualche giorno (per i problemi logistici di gestione di questa montagna di carte non scannerizzate su Dvd come invece accaduto in altre inchieste quali Antonveneta- Unipol) sono agrodolci laddove quantificano in circa 34,3 milioni di euro i fondi aziendali con i quali dal 1997 al dicembre 2004 la Security del gruppo ha finanziato gli illeciti praticati da una piattaforma informativa che poteva integrare quattro preziosi canali: «i mezzi e le persone di Pirelli, Telecom e Tim messi a disposizione da Tavaroli», l’agenzia di investigazione privata del detective fiorentino Emanuele Cipriani, il flusso informativo veicolato da investigatori privati provenienti dalle file dei servizi segreti come Giampaolo Spinelli (ex Cia) e Marco Bernardini (ex Sisde), e la pirateria informatica esercitata dal Tiger Team di Fabio Ghioni.
Aziende fuori controllo
Pagine agrodolci perché da un lato l’atto di conclusione delle indagini, oltre a lasciare Tronchetti e Buora non indagati, contesta a Tavaroli e ai suoi complici anche l’aggravante di aver commesso alcuni dei reati «per occultare pratiche corruttive » precedentemente attuate dallo staff della Security «con l’abuso di relazioni d’ufficio e prestazioni d’opera» nelle due società, dunque strumentalizzando le strutture e i soldi delle due aziende, indicate dai pm com «parti offese» rispetto al reato di «appropriazione indebita» dei 34 milioni aziendali contestato (in varia misura) a Tavaroli, Cipriani, Bernardini, Spinelli, Ghioni e anche al direttore della sicurezza di Pirelli Pierguido Iezzi. E’ la prospettazione sin dall’inizio avanzata da Telecom e Pirelli, che, tramite il loro avvocato Francesco Mucciarell, nell’inchiesta della Procura hanno via via depositato ai magistrati (come si ricava ora dall’indice degli atti) ben 58 note e contributi documentali.
Tuttavia, dall’altro lato, l’ordine di grandezza delle cifre fuoriuscite dalle casse societarie senza che alcun controllo interno avesse a che sollevare il minimo dubbio, e la dimensione dell’attività di dossieraggio svelata dalle indagini, nel contempo non testimoniano per la bontà della gestione imprenditoriale di Telecom e Pirelli, che come persone giuridiche vengono indagate per «corruzione» (ai sensi della legge 231 sulla responsabilità amministrativa dell’ente per i reati commessi da propri dipendenti nell’interesse dell’azienda) appunto «per non avere fino al maggio 2003 predisposto modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire » le corruzioni di pubblici ufficiali operate dalla loro Security;
e, dopo aver adottato i modelli interni di controllo, «per non averli efficacemente attuati e non aver adeguatamente vigilato sulla loro osservanza». E chi non ha predisposto o poi non ha vigilato, sono quegli stessi vertici che come persone fisiche non si sono invece visti addebitare dai pm condotte di rilevanza penale.
Privacy a meno 9.000
Quella che la Procura qualifica tecnicamente una «associazione a delinquere» (contestazione mossa a 26 indagati su 34), è peraltro accusata d’aver commesso un’impressionante (per quantità e qualità) varietà di reati. Prima di tutto la «corruzione » finalizzata alla «rivelazione di segreti d’ufficio»: le tangenti versate ai pubblici ufficiali che si prestavano a consultare abusivamente le banche dati dei Ministeri dell’Interno, della Giustizia e delle Finanze, con ciò violando circa 9mila volte il trattamento dei dati personali di almeno 4.000 persone e 350 società.
Radar e i pirati
Questi atti d’indagini clandestine e illecite costituivano la base dei dossieraggi che poi erano rimpolpati dal decisivo contributo proveniente da altre due potenti fonti di notizie. La prima: il mercimonio di tabulati telefonici, i registri delle chiamate di qualunque utenza, dai quali si può dedurre chi parla con chi, quando, quante volte: un applicativo informatico della Tim, il sistema Radar nato per contrastare le frodi contrattuali ma utilizzato poi per le impreviste potenzialità che un suo difetto aveva evidenziato, consentiva infatti di estrarli senza che rimanesse traccia di chi aveva interrogato il sistema. La seconda: l’intrusione illecita nei sistemi informatici di privati e di grandi aziende, dai quali gli hackers di Ghioni sapevano risucchiare archivi e posta elettronica.
007 italiani ed esteri
Infine, tramite l’ex capo del controspionaggio del Sismi Marco Mancini, ma anche grazie all’ex dipendente Sisde Francesco Rossi e all’ex fonte Sisde e sindacalista Alitalia Antonio Vairello, nonché allo 007 francese e funzionario Europol Fulvio Guatteri, e ai contatti ex Cia di Spinelli, la Security di Telecom e Pirelli poteva attingere anche a «notizie e documenti attinenti la sicurezza dello Stato di cui è vietata la divulgazione», in parole povere a schede e notizie classificate per uso istituzionale negli archivi dei servizi segreti.
La rete antimagistrati
La piattaforma informativa integrata, sempre nella fotografia che ne restituiscono i 40 capi d’imputazione, avrebbe anche sviluppato un paio di anticorpi rispetto a chi l’avesse contrastata. Uno sarebbe stata la «Rete», cioè un terminale di «informatori e ufficiali di polizia giudiziaria «ispirato» per i pm dall’ex ufficiale dei carabinieri poi dirigente Telecom Angelo Jannone e dal consulente di Tronchetti, Guglielmo Sasinini: imperniata sui «collettori» di notizie su base regionale Amedeo Nonnis, artificiere dell’esercito, e Edoardo Dionisi, carabiniere, la «Rete» per l’accusa fu «creata sia per acquisire notizie utili sia per tutelare la Security e il management dell’azienda da iniziative giudiziarie».
L’altro anticorpo avrebbe invece sfruttato, all’interno dei sistemi aziendali di telecomunicazione, un sistema di una quindicina di sonde potenzialmente in grado di «suonare» l’allarme ove su alcuni particolari soggetti qualche magistrato avessero attivato intercettazioni telefoniche, nonché forse tecnicamente utilizzabile anche al contrario per poter svolgere intercettazioni illegali (di cui però l’inchiesta in tre anni non ha trovato alcun caso comprovato e di cui per questa ragione non ha stilato alcuna contestazione nei capi d’imputazione). Nell’indice degli atti, che da solo occupa 144 pagine, si ricava comunque che la Procura in questa indagine non ha ritenuto di ricorrere mai (salvo per pochi giorni nel 2006 per sorvegliare il comportamento processuale di Bernardini mentre rispondeva ai pm) allo strumento investigativo delle intercettazioni.
Vittime nel pc
Tra gli attacchi informatici più clamorosi, quelli condotti all’archivio della Kroll, completamente «aspirato» al pc portatile di un suo agente in una stanza di hotel; le intrusioni nel novembre 2004 nei computer dell’amministratore delegato di Rcs Vittorio Colao e del vicedirettore del Corriere della Sera,
Massimo Mucchetti (operazione Mucca Pazza); il furto della posta elettronica di Carla Cico (la manager di Brasil Telecom che con Daniel Dantas era ai ferri corti con i soci della Telecom italiana) e di una serie di persone ritenute vicine ai rivali brasiliani, come i giornalisti di Libero Fausto Carioti e Davide Giacalone, i consulenti Giannalberto e Pierluigi D’Ecclesia Farace, l’avvocato Francesco Giorgianni.
Controllori controllati
Tra gli illeciti spiccano poi quelli che hanno visto come vittime coloro che avevano compiti, nelle istituzioni o negli organi societari, di controllare la gestione di Telecom e Pirelli. A cominciare dal furto di posta elettronica di cinque funzionari dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato proprio mentre in quel dicembre 2004 l’Antitrust doveva decidere una causa intentata contro Telecom dai concorrenti Fastweb e Albacom. Non meno grave è il dossieraggio (operazione Clarabella) su Rosalba Casiraghi, la professionista che nel collegio sindacale di Telecom rappresentava i soci di minoranza; o l’intrusione nelle email di due componenti dei fondi pensione che contestavano gli accordi tra Telecom Italia e Daniel Dantasa. Senza contare le attività illecite messe in atto nei confronti di concorrenti come Vodafone, Vivo, Telmex, il gruppo Sawiris, Fastweb, H3G. E, ancor più scabrosi, gli accertamenti illeciti operati su migliaia di dipendenti di Telecom e Pirelli con le operazioni Filtro e Scanning, costate da sole ben 2 milioni e 700mila euro dal 2000 al 2004.
La lista
Ma l’elenco delle persone sulle quali risultano svolti accertamenti abusivi di vario genere, tutti comunque in violazione del trattamento dei loro dati personali (Anagrafe tributaria, banche dati di polizia, Casellario giudiziario, tabulati telefonici Tim, dossieraggio tramite detective privati) riassume un lungo elenco di nomi già venuti alla ribalta man mano che il gip Giuseppe Gennari scriveva le otto ordinanze di custodia cautelare chieste ed eseguite dai pm Fabio Napoleone, Nicola Piacente e Stefano Civardi. Nell’elenco, che occupa oltre 200 pagine, figurano anche banchieri come Cesare Geronzi, imprenditori come Marcellino Gavio, manager come Enrico Bondi o l’ad di Enel Fulvio Conti, finanzieri esteri come Al Walid, esponenti di associazioni di consumatori come Carlo Rienzi del Codacons, il calciatore Bobo Vieri, Luciano Moggi, qualche ignaro utilizzatore di cellulari di cui sono stati studiati a lungo i tabulati (uno in carico alla Mondadori, o l’altro intestato «a Pirelli spa Rcs MediaGroup»), politici come Lorenzo Cesa o Aldo Brancher, e in un caso anche un nome alla ribalta della cronaca nera come Ruggero Jucker (che risulta «radiografato» insieme al padre dopo il suo arresto per l’uccisione della fidanzata a Milano).
Afef e il fratello
Dopo tanti scorci di verbale, spesso difficili da ricollegare in una visione unitaria, tra i capi d’imputazione compare anche quello che contesta allo 007 francese Fulvio Guatteri di essersi «procacciato dati segreti e riservatissimi destinati a Tavaroli e Cipriani», tra cui quelli su «Slaeddine Jnifen, affine al Presidente Tronchetti Provera» in quanto fratello di sua moglie Afef Jnifen.
Distruzione
Ulteriori 83 faldoni contengono l’esito del dossieraggio illecito della Security di Telecom-Pirelli, e cioè appunto il materiale informativo illecitamente raccolto sulle quasi 5mila persone che nelle prossime settimane i magistrati dovranno trovare il modo di avvisare (anche all’estero) affinché possano partecipare all’udienza di distruzione dei dossier: i pm l’hanno chiesta al gip come impone la pasticciata legge varata nel 2006 dal governo Prodi, sebbene essi da oltre 15 mesi attendano che la Corte Costituzionale si esprima sull’incostituzionalità o meno delle norme lamentata sia dalla Procura, sia dalla difesa di Tavaroli, sia dai primi cinque dipendenti «spiati» dall’azienda che si erano costituiti parti civili in un procedimento-pilota
Stralcio
E’ confermato che, se il grosso dell’inchiesta è concluso con il deposito degli atti di ieri, resta però ancora aperto un filone sulle possibili corruzioni internazionali a cui alcuni degli indagati hanno accennato, o per negarle o per larvatamente accreditarne l’esistenza scaricandone però la responsabilità su qualcun altro. La certezza dello stralcio arriva dalla numerazione dell’avviso di conclusione notificato ieri agli avvocati: reca il numero 25194 di quest’anno, diverso dall’iniziale fascicolo 30382 (che evidentemente resta come contenitore tecnico di possibili sviluppi) aperto nel 2003 per una indagine su truffe al Comune di Milano da parte di una società di vigilanza privata. Proprio l’inchiesta nella quale fu intercettata una telefonata, su una circostanza riguardante indirettamente Tavaroli, da cui è partita poi tutta l’inchiesta sulla Security di Telecom e Pirelli.
Brasile senza rogatorie
E resta però confermato anche che sulla controversa vicenda dello scontro in Brasile fra la Telecom italiana e il fondo Opportunity del finanziere Daniel Dantas, con contorno di reciproci spionaggi e possibili tangenti sudamericane, la Procura di Milano non ha avviato allo stato alcuna rogatoria con il Brasile, così come non c’è traccia agli atti di richieste di assistenza dal Brasile all’Italia (solo una lettera di un magistrato carioca).
In compenso dagli atti si apprende che un gran numero di rogatorie sono invece state avviate con altri obiettivi (la ricerca dei soldi usciti dalle casse di Telecom e Pirelli) in Svizzera, in Gran Br