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 2008  luglio 21 Lunedì calendario

ROMA – Addio Notte bianca. Con la destra, Roma avrà la Notte futurista. Lo annuncia il nuovo assessore alla Cultura, Umberto Croppi

ROMA – Addio Notte bianca. Con la destra, Roma avrà la Notte futurista. Lo annuncia il nuovo assessore alla Cultura, Umberto Croppi. «E’ esaurita la vecchia formula, per cui si riversavano in centro a centinaia di migliaia, non certo per fare spese o visitare musei. Meglio tante notti. Una dedicata all’arte contemporanea, con le gallerie aperte. Una pensata per i bambini. E, il 20 febbraio 2009, centenario del Manifesto di Marinetti, la Notte futurista. Si inaugurerà la mostra, ma soprattutto si terranno eventi di tipo futurista. Giochi di luce nel cielo della capitale. Un dirigibile che passa sulla città spandendo musica. Animazione teatrale in galleria Colonna. Performance al mattatoio del Testaccio...». , Non è un caso che l’idea sia di Croppi, da sempre affezionato al «fascismo rosso», alla destra che confina con la sinistra, alle contaminazioni culturali. «Il momento è propizio. A Roma, in Italia. La sinistra vive il suo 8 settembre. E’ crollata, non ha più linea di comando, il gruppo consiliare in Campidoglio va per conto proprio. E la sconfitta romana non è di Rutelli; è di Veltroni. La destra deve aprirsi. Imparare a distinguere: il Macro è un oggetto sconosciuto, i romani non sanno che esiste un museo di arte contemporanea, e quindi il suo direttore Danilo Eccher sarà sostituito; l’Auditorium funziona, Gianni Borgna non è in scadenza, e quindi resta. C’è una crisi di consenso, di cui la destra deve approfittare. Parlando non solo ai suoi, ma rivolgendosi a loro. Sparigliando le carte; un po’ come fece Togliatti quando dopo la caduta del Duce si rivolse ai giovani fascisti. Rispetto a lui, non abbiamo il problema delle ideologie e delle tragedie esistenziali della guerra». Croppi le conosce bene, per averne una in casa. «Mio padre fu ufficiale della Rsi. Fascista di sinistra, anticlericale. Scampò alle vendette, ma si fece un paio d’anni in carcere. Era la persona più buona, colta, liberale che abbia mai conosciuto. E mi regalò il Capitale di Marx. Per questo non ho mai creduto alla retorica antifascista. Anzi, a 14 anni ero molto più a destra di papà. Lefevriano. Ma cambiai in fretta. Tifavo per i marines; cominciai a tifare per i vietcong. La prima tessera fu quella del Msi. Nel ’75, a 19 anni, fui il più giovane consigliere comunale d’Italia, a Palestrina, la città di mia madre. Divenni dirigente del Fronte della Gioventù: il capo era Buontempo, c’era anche Fini ma un po’ isolato, distante nel suo impermeabile bianco, infatti lo prendevamo in giro. Buontempo portava l’eskimo, io avevo i capelli lunghi e gli scarponi comprati a Porta Portese, sembravamo punkabbestia, non a caso Almirante ci chiamava castristi. Per lui provavo un misto di odio e amore: ne ammiravo il coraggio, ma avevo idee e gusti opposti. Nei cineforum di destra davano solo L’assedio dell’Alcazar. E poi La battaglia di Algeri, per rivedere la scena di Massu con gli occhiali scuri che entra nella casbah alla testa dei parà; e ogni volta scoppiava l’applauso. Io simpatizzavo per gli algerini, e amavo Bergman e Porci con le ali: i film e i libri dei miei coetanei. Leggevo Kerouac e Tolkien. Ho visto tutti i grandi concerti degli Anni ’70, da Santana ai Jethro Tull». «Mi pestarono in quaranta. Quaranta contro uno. Mi massacrarono. Due costole rotte, una lesione al nervo ottico. Mi ero candidato alle prime elezioni universitarie, nel Fronte anticomunista. A giurisprudenza prendemmo la maggioranza, ma per entrare in università bisognava passare tra due fila di autonomi: una forca caudina. Il peggio avveniva dentro, dove c’erano quelli del Manifesto e della Fgci. Tanti pestaggi, tutti individuali. Cominciò il terrore. Dopo Primavalle si erano rifugiati a Palestrina i Mattei, divenni loro amico. Vivevo con i miei genitori anziani, la sera ogni rumore diventava un allarme. Comprai una pistola, poco più di uno scacciacani. Poi pensai: ma sono diventato matto? E la buttai in una fogna». «La voce della fogna era il giornale di Marco Tarchi, che leggevo con passione. Nasceva la nuova destra. Alla scuola quadri del Msi – Istituto studi corporativi – incontrai Gabriella Alemanno, la sorella di Gianni, che era più piccolo di noi. Gasparri? Figura minore. Dialogavamo con intellettuali di sinistra: il primo fu Mughini, poi Cacciari, Marramao. Dopo l’arresto solidarizzai con Sofri, insieme con Beppe Niccolai, missino non rosso ma proprio comunista, "bombacciano", che aveva sempre vissuto come un peso l’uccisione di Serantini, l’anarchico morto dopo gli scontri per impedire un comizio di Niccolai a Pisa. La leggenda di Battiato fascista nacque per causa mia: una sera cercai di intervistarlo dietro il palco, non ci riuscii ma qualcuno ci vide insieme; e poi a Battiato ci univano gli autori prediletti, da Guénon a Gurdjieff. Nel ’90 il mio leader di riferimento, Pino Rauti, divenne segretario. Ma già l’anno dopo compresi che era tutto finito. E cercai la mia strada a sinistra». «Partecipai alla fondazione della Rete, con Fabio Granata, oggi parlamentare di An; ma le vecchie barriere erano troppo forti. Avevo condiviso le battaglie radicali degli Anni ’70, sostenni la candidatura di Rutelli a Roma: da primo dei non eletti del Msi in Regione subentrai come consigliere dei Verdi. Vidi il congresso fondativo dei Democratici: scene allucinanti, i delegati arrivavano in pullman, votavano e ripartivano, Rutelli arruolava ciellini contro le truppe di Di Pietro. Lasciai la politica. Ho diretto la casa editrice Vallecchi e collaborato con la fondazione di Alemanno. Oggi la speranza è il Pdl. Su Berlusconi ho cambiato idea: gli devo riconoscere una vitalità eccezionale. Il nuovo partito va fatto: perché rompe le cristallizzazioni, semplifica, riapre la politica». Aldo Cazzullo 21 luglio 2008