Paolo Colonnello, La Stampa 20/7/2008, 20 luglio 2008
Paolo Colonnello per La Stampa Con Tronchetti Provera non vi era mai un oggetto specifico da discutere ma i colloqui avvenivano su richiesta sua o mia
Paolo Colonnello per La Stampa Con Tronchetti Provera non vi era mai un oggetto specifico da discutere ma i colloqui avvenivano su richiesta sua o mia...e non duravano mai più di 5 o 10 minuti. Io ho messo al corrente il presidente delle vicende più rilevanti senza per altro fare alcun riferimento alle modalità con cui io ero venuto in possesso delle mie fonti...». Nell’inchiesta appena conclusa sullo spionaggio illegale di Telecom, la decisione della Procura d’indagare le società Pirelli e Telecom ma non i suoi vertici, l’ex presidente Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora, è sembrata voler lasciare con il cerino acceso in mano soltanto l’ex capo della Security, Giuliano Tavaroli. Eppure, è lo stesso Tavaroli che nei suoi ultimi verbali toglie ogni ambiguità sul ruolo del presidente e dell’amministratore delegato dell’azienda, permettendo così a Tronchetti e Buora di presentarsi nell’ultima settimana del giugno scorso davanti ai magistrati per essere interrogati, in contemporanea, come semplici testimoni. E di rimanerlo, al momento, anche adesso che l’indagine è conclusa e che sul registro degli indagati, per violazione della legge 231 in relazione al reato di corruzione, sono finite come persone giuridiche sia la Pirelli che la Telecom (che ieri hanno annunciato di volersi comunque costituire anche parte civile). Negli interrogatori resi nell’aprile dello scorso anno, quando ormai l’ex capo della Security è già fuori dal carcere, le domande vertono tutte su questo argomento: sapevano i due vertici dell’azienda di come venivano confezionati i dossier sui quali poi erano edotti a seconda delle necessità? «Ribadisco di non aver consegnato nè all’a.d. Buora nè al presidente Tronchetti i singoli dossier», risponde l’ex capo della Security. Tavaroli però fa alcune precisazioni. La prima riguarda il suo amico Emanuele Cipriani, l’investigatore privato fiorentino che per un certo periodo, con la società Polis d’Istinto, diventa in pratica il principale fornitore di «spionaggio» e dossier per Telecom, incamerando secondo l’accusa oltre una ventina di milioni di euro in un paio d’anni. «Cipriani - spiega Tavaroli il 7 aprile 2007 - omette soprattutto quando non parla della sua rete di amicizie istituzionali attribuendo tutta l’attività da lui compiuta alle persone di Mancini e mia...Vi invito a verificare i regali di Natale che spediva ogni anno per così comprendere la rete di amicizie ad altissimo livello che Cipriani aveva». Inoltre, sottolinea Tavaroli, Cipriani «non lavorava solo per Telecom». Non a caso, sono almeno una cinquantina i «clienti» di alto livello (dall’Eni a Prada) che ricorrevano ai servigi della Polis d’Istinto e che gli investigatori rintracciano nelle casseforti di Cipriani. Però su Tronchetti Provera e su Buora, Tavaroli è netto: conoscevano i contenuti ma non i contenitori. «Per meglio far comprendere la mia attività e l’oggetto dei miei colloqui con il presidente Tronchetti - prosegue Tavaroli - cito altra vicenda relativa ai cattivi rapporti che si erano prodotti nell’agosto 2001 tra Tronchetti e D’Alema. Io mi sono adoperato per risolvere il problema riuscendo, tramite il mio consulente Savina, ad avvicinare la giornalista Lucia Annunziata e tramite quest’ultima l’esponente politico Latorre, vicino a D’Alema, tramite il quale sono riuscito ad organizzare vari incontri tra Tronchetti e D’Alema, nel corso dei quali si sono ristabiliti dei buoni rapporti. Apparirà strano, ma quando Tronchetti voleva incontrare D’Alema si rivolgeva a me. Sono stato io a proporre l’acquisto da parte di Telecom dell’agenzia oggi chiamata Apcom di cui l’Annunziata era direttrice». Quindi, a domanda risponde di non aver «mai consegnato al presidente il dossier ”New Entry”», ovvero quello di cui aveva già parlato in un verbale il dirigente del Sismi Marco Mancini, attribuendolo a fondi esteri dei Ds. I rapporti di Tavaroli erano comunque ad alto livello. Ecco che, proprio nel periodo in cui Beppe Grillo sbeffeggia la Telecom e i suoi bilanci, si fa avanti il generale Niccolò Pollari, all’epoca capo del Sismi, portando al capo della Security un dossier sulla «presunta inconsistenza finanziaria di Telecom». Pollari, dice Tavaroli, vorrebbe delle «controdeduzioni» per contrastare queste voci. «Portai i documenti a Buora i quali li sottopose a Tronchetti». Preoccupatissimi i due manager fanno preparare il contro-dossier chiesto da Pollari. «Poi consegnai la controdeduzione al generale che successivamente ebbe modo d’incontrarsi con il presidente Tronchetti. Nel sospetto che le analisi consegnate dal Pollari provenissero da collaboratori del ministro Tremonti, per la nota avversione nei confronti del gruppo dello stesso Tremonti e della Lega, mi adoperai per organizzazre un incontro tra il Ministro e il Presidente». Ecco perchè, conclude Tavaroli, è stata trovata anche «la scheda Tremonti». Ed è questa la storia dell’inchiesta: accessi illegali a computer, traffici di dossier, di tabulati. Ma quasi mai si trovano tracce di ricatti. Per lo meno non palesi. Rimangono i dossier illegali a testimoniare una potenza oscura coltivata in seno a una società come Telecom. Una valanga quelli scoperti dai magistrati, almeno 5.000 quelli verificati e riferibili a nomi certi. Dossier - si va da Tanzi a Geronzi, da Jucker a Vieri, da Brancher all’arbitro De Santis ad omonimi di D’Ambrosio, Colombo, Berlusconi, Grillo - che dovranno essere distrutti previa convocazione delle parti. Tavaroli più degli altri coindagati dell’inchiesta, tenta di spiegare i motivi di ogni dossier compromettente, di ogni appunto in agenda. Come quello di un incontro a Roma, nel 2003, tra lui, Gianni Letta, anche all’epoca sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi avvenuto dopo che un consulente della Kroll (la società d’investigazione americana in guerra con Telecom per il controllo della telefonia brasiliana) aveva telefonato a Letta perchè «chiedeva l’autorizzazione al governo a pubblicare notizie compromettenti sul presidente». Oppure di quando chiese aiuto a Don Ciotti e all’associazione Libera per «sensibilizzare» i dipendenti Telecom al Sud ai problemi della legalità» dopo aver saputo, da «un pezzo d’intelligence che il presidente Tronchetti era entrato nel mirino di un clan napoletano, «quello dei Ricciardi». Secondo Tavaroli, Sasinini avrebbe anche intercettato la notizia di un dossier «da parte di Romiti su Montezemolo e il conseguente nostro intervento in occasione della nomina a Presidente della Confindustria per fare in modo che Romiti rinunciasse a questo proposito». In altro verbale del 19 aprile spiegando ruoli e responsabilità di un elenco di nomi che formavano il parco collaboratori della security Tavaroli spiega anche la presenza di strani e noti personaggi: «Luttwak: era un mio consulente presentatomi da Savina che avanzava soldi da Colanninno che lo retribuiva con una cifra pari a circa un milione di euro all’anno. Si propose come consulente sulla vicenda Brasile... Si rivelò utile per poco e quindi non continuammo a retribuirlo».