Osvaldo Guerrieri, La Stampa 20/7/2008, 20 luglio 2008
In tutta onestà, nessuno l’aspettava al varco arricciando l’estremità del baffo. Tuttavia c’era molta attesa per il debutto di Katia Ricciarelli nel teatro di prosa, non in una commedia del repertorio, bensì nella Gloriosa di Peter Quilter, ossia nella commedia su una cantante americana divenuta leggendaria nella prima metà del Novecento per un motivo tutto sbagliato: stonava
In tutta onestà, nessuno l’aspettava al varco arricciando l’estremità del baffo. Tuttavia c’era molta attesa per il debutto di Katia Ricciarelli nel teatro di prosa, non in una commedia del repertorio, bensì nella Gloriosa di Peter Quilter, ossia nella commedia su una cantante americana divenuta leggendaria nella prima metà del Novecento per un motivo tutto sbagliato: stonava. Chiedere alla Ricciarelli di stonare deliberatamente e ingloriosamente potrebbe passare per crudeltà. Diventa invece un delizioso (e difficile) stravolgimento di sé nel momento in cui Gloriosa si rivela non una parodia e neppure uno sfottò, ma una solida, divertente, umanissima commedia che l’inglese Quilter ha composto nel 2005 dopo il grande successo internazionale del musical ispirato al Fantasma di Canterville di Oscar Wilde. Gloriosa è Florence Foster Jenkins, un soprano che poteva azzeccare due note su mille. Eppure, nonostante la cagneria, riuscì a diventare mitica, amata dal pubblico più di quanto fosse detestata. Ricca dopo aver ereditato dal padre che l’aveva cacciata da casa perché non condivideva le sue velleità vocali, Florence spese la propria fortuna nell’organizzare e nell’interpretare concerti fra i più kitsch della storia musicale americana. Affittava le hall dei grandi alberghi, gli auditorium approdando addirittura alla Carnegie Hall, e lì offriva saggi della propria arte che, oltre agli applausi, scatenavano le reazioni più ferocemente plateali, tanto che lei una sera dichiarò: «La gente potrà dire che non so cantare, ma nessuno dirà mai che non ho cantato». Frase rivelatrice. Ci spiega che Florence forse aveva un po’ di senso autocritico ma, indifferente ai difetti, inseguiva un sogno nel quale la musica e l’affetto dei fan formassero un unico flusso capace di travolgere fragilità e solitudine. Su questi elementi si fonda la regia di Enrico Maria Lamanna nello spettacolo che ha debuttato con grande successo al festival di Borgio Verezzi. Certo ci sono le stonature: le originali, che ascoltiamo da vecchi dischi; ma soprattutto le nuove, quelle che la Ricciarelli impavida ci lancia trasformando Mozart e i gorgheggi della Regina della Notte nel lancinante miagolio di un gatto strangolato a morte. Ma c’è soprattutto uno strato di malinconia reso ancora più profondo dall’effervescenza dell’entourage di Florence. A cominciare dall’amica Dorothy, una strepitosa Fioretta Mari dedita alla causa musicale con il cieco entusiasmo di una suffragetta, devota a Florence non meno che al proprio cagnolino, il cui decesso genera un delizioso «coup de théâtre». C’è poi il pianista di Filippo Sandon, classica figura di ragazzo perbene conquistato dalla forza istrionica di colei che sapeva sfidare il cattivo gusto senza batter ciglio. C’è la fantesca messicana di Barbara Begala, manieristica anche nei baffi. C’è la purista della musica resa da Rita Montes con la doverosa antipatia. E c’è Gianni Garko nello smoking di St-Clair, l’attore smesso trasformatosi in fidanzato e servente di Florence. il «simpatico» della situazione e Garko se lo gioca magnificamente. vero che è l’unico inglese in una brigata yankee e incarna perciò un’anomalia anche nel battutismo, ma perché farlo parlare con quell’accento anglosassone? Perché farne - lui sì - una parodia? «Gloriosa», Festival di Borgio Verezzi **** Stampa Articolo