Elena Löwenthal, La Stampa 20/7/2008, 20 luglio 2008
Ombre braccate che si inseguono a vicenda. Spettri di carne e peluria lanuginosa e pelle color miele e bocca grande e lucente come quella di Annabel, che muore di tifo a Corfù quando non ha ancora tredici anni
Ombre braccate che si inseguono a vicenda. Spettri di carne e peluria lanuginosa e pelle color miele e bocca grande e lucente come quella di Annabel, che muore di tifo a Corfù quando non ha ancora tredici anni. Tuttavia, dice Humbert, Annabel ha fatto in tempo a innamorarsi di lui, che le era coetaneo, con mutua frenesia: contatti incompleti eppure morbosi, avide carezze e un rapporto quasi consumato. Annabel, spalle nude e profumo di talco, è l’archetipo dell’irraggiungibile ninfetta con il suo fascino elusivo, insidioso e straziante. Irraggiungibile? Non troppo. Tutto sta nell’avere il destino per complice. Ombre che si rincorrono: Annabel e Lo, Li Dolores, Dolly. Anzi, Lolita: il nome di un personaggio diventato simbolo. Lolita significa attrazione morbosa per quelle creature che non sono né carne né pesce, né bambine né donne. A distanza di più di cinquant’anni, il romanzo di Vladimir Nabokov è ancora scabroso. La nota finale che l’autore appose all’edizione del 1956 per raccontare le vicissitudini di questo libro tanto rifiutato quanto amato, ben spiega il complesso rapporto fra eros, pornografia, tabù. Lolita non ha una sola scena sopra la righe: l’attrazione fatale del professore per la dodicenne è più cerebrale che carnale. Più deviata che diretta. Forse proprio in questo sta lo scandalo. Nato a Parigi nel 1910, il professor Humbert trascorre il primo pezzo di vita in un mondo luccicante di mare - Costa Azzurra - dentro una macedonia di ascendenze: è svizzero ma anche francese e inglese. Gira per la vecchia Europa e si sposa, sinché non si fa vivo (anzi morto) un tempestivo zio d’America con una rendita in eredità, a patto che il giovanotto attraversi l’Oceano e si dedichi all’attività di famiglia: dovrà redigere i testi per la publicità di certi profumi. E il resto del tempo Humbert potrà dedicarlo agli interessi letterari, al libro che non scriverà mai, alle sue ninfette. «Crepa della mia vita», chiama quella passione perversa ed estenuante, sempre sveglia. Una passione, scrive Humbert nell’unico libro che mai scriverà - una specie di arringa, confessione, atto d’accusa davanti a un tribunale -, per la quale bisogna essere «artisti e pazzi, creature di infinita melanconia, con una bolla di veleno ardente nei fianchi». Humbert è in America. E’ appena uscito dall’ospedale dove, assai discretamente, lascia stemperare di tanto in tanto le sue crisi di follia. Rinsavito, cerca casa nel New England, possibilmente in una cittadina sonnolenta. Ma quando il destino si mette in testa di fare il paraninfo, anzi il paraninfette, non resta altro da fare che seguirlo. Il caso vuole che la dimora prescelta per averlo come ospite abbia preso fuoco. Sfumata, è il caso di dirlo, la promettente convalescenza con vista sul lago, Humbert viene indirizzato a un’altra casa di Ramsdale, Lawn Street 342. Anche i numeri giocano a carte con il destino: 342 sono gli alberghi e i motel che marcheranno la scorribanda di Humbert e Lolita per l’America. Al 342 di Lawn Street abita la signora Charlotte Haze: una vedova cotonata con la fronte lucida, le sopracciglia depilate (una soluzione molto diluita di Marlene Dietrich) circondata da soprammobili di dubbio gusto. Mentre lei gli mostra la casa e la stanza che gli è destinata, Humbert già sta pensando a come sfuggire a quel ruolo di pensionante: «Stabilirmi lì? Era fuori questione». Poi, è tutta colpa della loggia. Che trasporta Humbert lontano, perché il concetto di tempo ha, in questa faccenda, «un ruolo così magico». La loggia, che Charlotte Haze indica con un punto esclamativo, quasi si fosse dimenticata di mostrare al pensionante il pezzo forte della casa, fa gonfiare un’azzurra onda marina sotto il cuore di Humbert: «Su una stuoia immersa in una polla di sole, seminuda, sdraiata e poi in ginocchio e poi voltata sulle ginocchia, ecco la mia innamorata della Costa Azzurra che mi squadrava al di sopra degli occhiali». Lolita è una dodicenne piuttosto rozza, una mastica chewingum insolente e petulante. Per lei il mondo è tutto un dare e avere e i calcoli li sa fare eccome. Ha due cose che sublimano la sua banalità adolescenziale: adora recitare (lo fa benissimo). E di notte, nelle lunghe notti in fuga per l’America, dopo che Humbert l’ha blandita e toccata e baciata e posseduta e abusata, lei non dorme. Singhiozza. Questa dodicenne desta una passione malata, inguaribile. Humbert ha il dono di conoscere a menadito la propria perversione, che descrive al suo lettore con un rigore maniacale, ossessivo. Per lui Lolita resta per sempre - anche quando la ritrova quasi adulta, sposata e gravida - la sua Annabel: lo spettro della ninfetta archetipica, da allora intravista migliaia di volte in una gonnellina a pois, in un’ascella svelata per un istante, una macchia di rossetto sulla guancia, una coscia di bambina accavallata. Per avere Lolita, Humbert ne sposa la madre e il destino uccide quest’ultima mentre attraversa la strada in preda all’orrore: Charlotte ha appena scoperto il diario in cui suo marito denigra lei e descrive, concupisce, accarezza la giovane carne di sua figlia. E poi comincia l’avventura di Humbert finto padre e vero amante e Lolita finta figlia e vero oggetto del desiderio. Ma dal momento in cui la possiede - e scopre di non essere nemmeno il primo! - tutto sbiadisce, persino l’insana passione. Via via sempre di più, da una tappa all’altra del loro folle viaggio sulla vecchia carretta della vedova, buonanima. Eppure Humbert la possiede, eccome. La paga, la sua Lolita, per ogni carezza e bacio e sguardo. Lei singhiozza di notte ma quando vuole di più lo chiama «paparino». Questa però è, come s’è detto, una storia di ombre che si rincorrono. Una viaggia su un’auto rossa, è un pedofilo e pornografo ancor più incallito di Humbert. Clare Quilty porta via Lolita, a un certo punto. La ruba a Humbert ma in fondo è lui: è la propria ombra quando si guarda allo specchio. Humbert vi si riconosce e ne ha orrore, come di se stesso. Per questo alla fine ucciderà Clare, e così facendo potrà raccontare la propria storia. Stampa Articolo