Antonio Monda, la Repubblica 20/7/2008, 20 luglio 2008
BELPORT
(Stati Uniti)
Da più di un anno Isabella Rossellini ha spostato la propria residenza a Belport, un villaggio di pescatori situato a metà strada tra Manhattan e gli Hamptons nella lunga isola della quale fanno parte i quartieri newyorkesi di Queens e Brooklyn, e che prende il nome tautologico di Long Island. Si tratta di un´isola che alterna località elegantissime ad altre popolari, ritrovi esclusivi per artisti e miliardari ad agglomerati urbani senza alcuna pretesa, nati intorno ai campi di patate che per tutto il secolo scorso hanno attirato contadini provenienti dalle migrazioni irlandese e nordeuropea. Anche nelle zone più eleganti, e immediatamente a ridosso delle spettacolari spiagge oceaniche, si vedono tuttora dei granai coloratissimi, che testimoniano la matrice agricola della popolazione originaria di Long Island. In uno di questi granai, riadattato dall´architetto italiano Pietro Cicognani, ha deciso di trasferirsi l´attrice in compagnia del figlio quindicenne Robertino.
«In realtà si è trattato di una sua decisione», racconta senza alcun rimpianto l´attrice. «In origine Belport era il luogo in cui noi passavamo il weekend, ma ogni volta che tornavamo a New York c´erano delle strazianti scene di pianto. Mio figlio adora la campagna e con il tempo ne ho capito anch´io la bellezza ed il fascino. Quando ho scoperto che nella zona c´era una scuola di buon livello ho deciso di trasferirmi, tenendo tuttavia il nostro appartamento nell´Upper West Side. Il progetto originario era quello di invertire lo schema convenzionale e passare il fine settimana in città ma poi la piacevolezza della vita a Belport ci ha portato a diradare sensibilmente le visite a Manhattan. probabile che si tratti dell´entusiasmo della novità, e quest´anno mi sono impegnata a frequentare maggiormente una città che rimane straordinaria come New York».
Questa scelta bucolica nasce probabilmente in reazione alla ripetitività della vita sociale newyorkese, ma esistono anche altri fattori ed in particolare un personaggio che più di ogni altro ha svolto al riguardo un ruolo fondamentale: Guy Maddin. il regista canadese con il quale Isabella Rossellini ha stretto negli ultimi anni un importante sodalizio artistico e per il quale ha interpretato La canzone più triste del mondo, che sarà distribuito in Italia dalla Fandango. «Non posso negarlo: Guy mi ha cambiato la vita. cominciato tutto per caso, in maniera molto avventurosa. Qualche anno fa mandò il copione del film al mio agente, insieme ad alcuni cortometraggi che aveva girato. Né io né il mio agente avevamo la più pallida idea di chi fosse, e le poche informazioni raccolte indicavano che era un regista d´avanguardia che viveva relegato nella zona di Winnipeg, in Canada. La sceneggiatura mi sembrava incredibilmente barocca e troppo piena di descrizioni, così decisi di vedere i cortometraggi: una folgorazione. Ce n´era uno in particolare, intitolato The heart of the world, che mi sembrava straordinario. C´erano riferimenti al cinema muto ed una infinità di invenzioni originalissime. Il tutto realizzato con mezzi decisamente poveri, utilizzati sempre in maniera estremamente creativa. Decisi di chiamare questo regista sconosciuto, e lui mi disse subito di andare a trovarlo, spiegandomi che bastava andare a Toronto e poi fare un´altra trasvolata di un´ora e mezza con un piccolo aereo. Non era affatto vero: il secondo tragitto era più di quattro ore, e atterrai nel mezzo della tundra canadese con 40 gradi sotto zero. Ovviamente l´arrivo per me rappresentò uno shock, ma trovai di fronte a me un uomo simpaticissimo, che credeva in maniera assolutamente coinvolgente nei propri progetti. Cominciò a parlarmi a lungo del progetto di film e del fatto che il personaggio avrebbe dovuto indossare costantemente delle pellicce, per indicare qualcosa di lussuoso ed insieme patetico. Accettai quasi immediatamente e solo in un secondo momento mi resi conti che il personaggio che avrei dovuto interpretare non aveva le gambe. Quando comunicai la mia decisione al mio agente e gli spiegai anche dei moncherini, lui mi disse letteralmente che si sarebbe "tagliato le vene". Era terrorizzato da una scelta così eterodossa, ma non mi lasciai dissuadere, ed ora ne sono molto orgogliosa: il film è diventato di una pellicola di culto».
«Ma l´incontro con Guy Madden non è stato soltanto un´esperienza artistica», prosegue Isabella Rossellini. «Devo in gran parte a quell´avventura canadese la riscoperta del piacere del vivere a contatto diretto con la natura e una riflessione continua sulle cose essenziali e quelli superflue. Si tratta di insegnamenti che ho avuto la fortuna di avere sin da piccola, ma forse per me la svolta è avvenuta grazie a quell´esperienza inaspettata e rivoluzionaria. Col tempo, ho scoperto che Guy ha molte cose in comune con mio padre: sono due cineasti che hanno molta più importanza per i registi che il pubblico, e, che, soprattutto, vivono il cinema con assoluta e ammirevole libertà».
Fa una certa impressione sentir parlare di cinema italiano la figlia di Roberto Rossellini e di Ingrid Bergman. Uno dei paradossi della sua carriera è che nonostante sia diventata per un periodo l´icona e la musa di un regista del calibro di David Lynch, oltreché la moglie di un altro gigante quale Martin Scorsese, Isabella Rossellini ha lavorato pochissimo in Italia. «Se si eccettua il ruolo che ho interpretato per Paolo e Vittorio Taviani ne Il prato, e per il quale voglio ancora esprimere loro la mia gratitudine, e più recentemente quello ne Il cielo cade dei fratelli Frazzi con sceneggiatura di Suso Cecchi d´Amico, il mio rapporto col cinema italiano è quasi inesistente. Non nascondo che si tratta di qualcosa che mi ha dato del dispiacere e sulla quale ho cercato di interrogarmi. In passato c´era chi mi diceva che avrei dovuto trovarmi degli agenti italiani e per un periodo ci ho anche provato, ma non sono mai riuscita a farli andare d´accordo con chi mi rappresentava negli Stati Uniti. Non posso sottovalutare il fatto che mi sono abituata ad un´impostazione americana ed industriale, ma credo che la realtà più profonda sia altra: penso che per molto tempo ci sia stato nei miei confronti un pregiudizio negativo dovuto al fatto di avere dei genitori così importanti per il cinema, e di essere nello stesso tempo associata ad un mondo estremamente glamorous, soprattutto a causa della mia attività di modella. In poche parole non ero presa sul serio, e a questa situazione già complicata si aggiunse anche la controversia relativa a Velluto blu. un film che mi ha segnato molto e del quale vado fiera, ma c´è chi scrisse che avevo interpretato un ruolo vergognoso per la memoria di mia madre».
Il sodalizio artistico con Guy Maddin ha portato recentemente anche alla realizzazione di Papà compie cent´anni, ricordo ed omaggio a Roberto Rossellini e indirettamente alla serie Green Porno realizzata con Jody Shapiro, produttore di Guy Maddin. In quest´ultimo caso è entrata in gioco la grande star hollywoodiana che più di ogni altra ha aiutato il cinema indipendente di ricerca: Robert Redford. «Avevo sempre ammirato Redford sia nella sua attività di attore e regista che in quella di ideatore e motore inarrestabile del Sundance Institute. Redford ha intuito meglio di ogni altro che il cinema americano rischiava di proporre soltanto idee commercialmente proficue, riducendosi ad essere un´industria come un´altra. Sono la prima a comprendere che il cinema non può non avere un´anima industriale, ma nello stesso tempo deve essere in grado di proporre idee, immagini e sogni. Si deve principalmente al suo lavoro la nascita di un´intera generazioni di autori che si sono espressi con voci nuove ed assolutamente originali. Nel caso dei Green Porno ha finanziato personalmente con 70 mila dollari la prima seria, il cui budget complessivo era di 80 mila, scommettendo sulla possibilità di realizzare dei film brevi e semplici da vedere direttamente sulla nuova generazione di telefoni cellulari. Ovvio che sarebbe impossibile apprezzare una pellicola come Apocalypse Now su uno schermo così piccolo, ma questo non vuol dire che non si possa egualmente comunicare e anche realizzare qualcosa di artisticamente valido. Mi sono appassionata con Redford a questo tipo di sperimentazione, realizzando per la serie di Green Porno dei film a bassissimo costo, con costumi di carta, e utilizzando lo studio fotografico di Fabrizio Ferri a titolo del tutto amichevole. Ora siamo pronti alla seconda serie con un budget che fino a qualche settimana fa era per noi impensabile: 250 mila dollari per un gruppo di trenta brevi film che ognuno potrà vedere nell´ordine che riterrà».
Mentre Isabella Rossellini parla con entusiasmo di cifre estremamente basse per un budget cinematografico, è impossibile non pensare all´attività di attrice per registi come Peter Weir, Robert Zemeckis e Lawrence Kasdan e al lavoro da modella, a cui ha fatto seguire quello di manager. « un periodo della mia vita che mi ha dato moltissimo, ma in particolare per quanto riguarda il mio ruolo nell´industria della moda e dei cosmetici c´è stato un momento in cui ho capito con chiarezza che il mio interesse è nell´aspetto creativo di ogni attività. Oggi sono felice di vedere mia figlia Elettra sulle copertine di riviste importanti ed ho il massimo rispetto per quel mondo. Tuttavia mi sento molto più stimolata dall´avere un´idea, o almeno un´intuizione, che prima non esisteva. Ho dedicato questi ultimi anni proprio a questo tipo di attività, assumendomi più di un rischio. Sono aiutata certamente dal fatto che ho raggiunto una certa sicurezza economica e non mi nascondo che una donna della mia età riceve nel mio settore meno richieste di lavoro. Ma credo di poter dire con onestà che questo non toglie nulla alla mia passione. Per documentarmi sul nuovo progetto Green Porno ho deciso di iscrivermi alla New York University, a un corso che ha un´enfasi particolare sulla zoologia, e molti amici mi hanno detto che è difficilissimo. Ancora una volta non mi sono arresa, ma poi ho visto il programma e mi sono resa conto che dovrò studiare chimica e biologia. Devo dire che questa ho volta ho paura».