Massimo Gaggi, Corriere della Sera 20/7/2008, 20 luglio 2008
Privati sette anni fa del loro simbolo, le Torri Gemelle, i newyorchesi aspettano con crescente insofferenza che almeno la ferita di «Ground Zero» venga rimarginata
Privati sette anni fa del loro simbolo, le Torri Gemelle, i newyorchesi aspettano con crescente insofferenza che almeno la ferita di «Ground Zero» venga rimarginata. Aspetteranno ancora a lungo, almeno altri sette anni. Dopo dispute infinite tra le varie amministrazioni pubbliche, le società assicurative e i costruttori privati dai quali dipende la rinascita della punta sud di Manhattan, l’anno scorso, finalmente, i progetti erano stati definiti. E i cantieri erano stati aperti, almeno per la costruzione del monumento che ricorda le 2750 vittime dell’11 settembre e della Freedom Tower, il più alto dei cinque grattacieli che dovrebbero sorgere in un’area che oggi è solo un’immensa voragine. Ma quando finalmente si è sbloccata la burocrazia, si sono aggravate le difficoltà economiche che coinvolgono banche e società finanziarie: proprio quelle che dovrebbero rivitalizzare l’area di «Ground Zero» riportando qui, a due passi da Wall Street, le loro sedi. Ma la Merrill Lynch, l’unica che aveva preso un impegno in questo senso, l’altro giorno ci ha ripensato: la banca d’affari vive una crisi assai profonda, secondo alcuni è in gioco la sua stessa sopravvivenza. In queste condizioni i suoi capi non se la sentono di imbarcarsi in un trasloco che costerebbe due miliardi di dollari. Dubbi ce ne sono anche per il gigante del credito JPMorgan Chase. La banca dice ancora che in futuro sposterà alcuni suoi uffici in questa zona di Manhattan, ma ormai, dopo il salvataggio della Bear Stearns, si trova proprietaria, oltre che della banca d’affari, del suo enorme, modernissimo grattacielo di uffici in Madison Avenue. Che, probabilmente, diventerà il nuovo quartier generale di JPMorgan. L’unico, vero interlocutore, in questo momento, è Goldman Sachs che, comunque, non andrà a «Ground Zero», ma sta costruendo un grattacielo nella vicina zona di Battery Park. Comunque utile per rivitalizzare una zona nella quale avevano cominciato ad aprire nuovi negozi e boutique esclusive. Di recente, però, le autorità, che per attirare la banca d’affari avevano concesso uno straordinario pacchetto di agevolazioni e incentivi fiscali, si sono accorte con imbarazzo che rischiano di dover pagare alla Goldman anche un indennizzo di centinaia di milioni di dollari. Il contratto stabilisce, infatti, che se i lavori nella zona non saranno completati entro il 2010-2011 lo Stato dovrà pagare una multa salata, visto che la banca non vuole ritrovarsi a operare nel bel mezzo di un cantiere. Ma proprio qualche settimana fa Christopher Ward – il nuovo sovrintendente della Port Authority, appena nominato dal governatore Paterson che è subentrato tre mesi fa a Eliot Spitzer – ha avvertito che i lavori di ricostruzione dell’area di «Ground Zero» stanno procedendo con anni di ritardo, mentre i costi stanno andando alle stelle. Ward non è ancora in grado di fissare nuovi obiettivi (fornirà elementi più precisi a settembre), ma ha già detto che il Memorial e il relativo museo non saranno pronti nel settembre del 2011, decimo anniversario della tragedia, come era stato più volte annunciato. Sono in ritardo anche le torri 2, 3 e 4, quelle che dovrebbero essere realizzate e gestite dal costruttore Larry Silverstein che, però, non ha ancora trovato un solo grosso cliente privato disposto ad occuparle. L’unico grattacielo per il quale sono partiti i lavori è proprio la Freedom Tower, progetto che è nelle mani di un’agenzia dello Stato di New York. Ma anche questo edificio-simbolo – che secondo i piani iniziali doveva sorgere entro il 2006 e il cui completamento è man mano slittato fino al 2011 – ora ha accumulato almeno un altro anno di ritardo. E, se nel frattempo non arriveranno la ripresa economica e una nuova «primavera » per la finanza di Wall Street, il rischio è di veder sorgere un’unica torre occupata solo da impiegati comunali e statali, circondata da una trincea. Sarebbe la sconfitta dei piani di rinascita e un’altra vittoria per i terroristi, scrive il New York Times che invita Silverstein a comportarsi da imprenditore coraggioso, assumendosi comunque il rischio dell’investimento. Ma, a giudicare da anni di trattative all’ultimo sangue con la Port Authority, la società pubblica proprietaria del suolo, il vecchio immobiliarista non è il tipo che getta il cuore oltre l’ostacolo. Massimo Gaggi