Guido Olimpio, Corriere della Sera 20/7/2008, 20 luglio 2008
SAN DIEGO
L’ultimo lo hanno catturato mercoledì a 320 chilometri dalle coste messicane, stato di Oaxaca. Forma affusolata, color verde scuro, lungo dieci metri, a bordo quattro uomini e sei tonnellate di cocaina. Uno dei molti semi- sommergibili dei Cartelli colombiani che sfidano la rete di sorveglianza delle marine centro-americane e della Us Navy. la nuova arma dei narcos. Per anni i marinai li hanno chiamati Big Foot, come dire lo Yeti, una «bestia » misteriosa e indefinita. Perché ne avevano sentito solo parlare nei rapporti di intelligence ma non li avevano mai visti e non erano neppure sicuri che esistessero per davvero. Il dubbio è sparito perché alla fine li hanno trovati, provando come le organizzazioni criminali colombiane e messicane se ne servano per trasportare tonnellate di cocaina verso il mercato statunitense. Se chiedete all’ammiraglio Joseph Nimmich, responsabile della Joint Interagency Task Force, quanti di questi strani mezzi stanno solcando il mare in questi mesi, vi risponde: «Ne abbiamo classificati 28, ma riteniamo che possano essere circa 60». Una piccola flotta al servizio di un impero nero come la pece.
Operazione Nemo
L’Operazione Nemo dei narcos è complessa. Inizia con la costruzione di un telaio in legno in piccoli cantieri – poco più di baracche – nascosti nella giungla nella Valle del Cauca (Colombia). Un’area protetta dalla natura selvaggia, dai guardaspalle dei trafficanti e dai guerriglieri delle Farc, i ribelli colombiani. Il settore è affidato ai Fronti 29 e 30, pesantemente coinvolti nel mercato degli stupefacenti.
I «tecnici» usano fibra di vetro o ferro per rivestire la struttura, creano le stive destinate a contenere la polvere. Per realizzare un minisub serve anche un anno, con un costo che oscilla tra i 500 mila e il milione di dollari. Può misurare dai 6 ai 17 metri, raggiunge una velocità di 8-15 nodi, è in grado di trasportare dai 4 alle 12 tonnellate di carico ad una distanza massima di 5 mila chilometri.
L’equipaggio
Una volta costruito, il mezzo è trasferito fino ad un corso d’acqua e da qui sulla costa. A questo punto entrano in azione gli «armatori» che lo trasformano a seconda delle esigenze. Il semi-sommergibile è dotato di due motori, di un piccolo generatore, di sistema Gps, di una radio e di rifornimenti (cibo, acqua) destinati ai disperati che lo guideranno. Superato un breve test di navigabilità, si passa alla selezione dell’equipaggio: 4 o 5 pescatori del posto, costretti a navigare in condizioni terribili visti gli spazi angusti e il calore che emana il motore.
Per raggiungere le loro mete senza essere scoperti, i «pirati» cercano di viaggiare solo di notte e questo comporta una permanenza in mare piuttosto lunga. Anche due settimane. In alternativa, come suggerisce l’esperto di sottomarini Raul Colon, hanno l’appoggio di una nave madre. La rotta preferita è quella del Pacifico perché le condizioni atmosferiche sono favorevoli e i controlli più difficili. Una volta al largo delle coste messicane o del Costa Rica i marinai trasbordano il carico su barche veloci, abbandonano il minisub e raggiungono la riva, quindi rientrano in Colombia con un volo di linea.
Il semi-sommergibile fende le onde con appena 70 centimetri di scafo sopra il livello dell’acqua, il resto sotto. Un vantaggio importante.
Una scia sul radar
Non immergendosi completamente può sfuggire alla caccia del sonar. I marinai, poi, lo dipingono di blu, verde scuro o grigio per mimetizzarlo. Alla schermata radar appare come una scia – definita evento ”, che non significa necessariamente la presenza di un «intruso ».
Un responsabile dell’antidroga europeo ci ha ha rivelato un dato interessante: gli «eventi» registrati negli ultimi sei mesi nel settore caraibico superano quelli degli ultimi sei anni. forse un’indicazione che i narcos hanno lanciato i loro squali anche su questa rotta. E anche più lontano. Un minisub è stato trovato nel 2006 sulle coste spagnole della Galizia. probabile che sia stato usato con l’appoggio di una barca vela e di un cargo per portare a terra un carico di droga.
Nello stesso anno, la Dea americana ha smantellato il clan Rayo Montano che aveva creato la sua Tortuga su tre isolotti comprati al largo di Panama. I trafficanti li usavano come base per mercantili che trainavano dei semi-sommergibili pieni di droga.
La tendenza – come confermano fonti della Task Force – è in crescita. Se nel 2007 la media era tra i 25 e i 40 «sottomarini», entro la fine dell’anno potrebbe raddoppiare.
I controlli
Aumentando le incursioni cresce ovviamente il rischio di finire in trappola. Dal 2005 ne sono stati catturati 18 e ciò ha permesso all’Us Navy di studiarli con attenzione. migliorata anche l’intelligence: i messicani sono riusciti a intercettare l’ultimo minisub grazie ad una soffiata degli americani.
Dalle acque del Pacifico l’emergenza ha raggiunto Capitol Hill, a Washington. Un gruppo di parlamentari ha presentato una proposta di legge per punire chiunque venga trovato a bordo di uno di questi mezzi. Fino ad oggi i marinai hanno usato una tattica semplice: se scoperti si buttano in mare – a volte indossano il respiratore – e affondano il sommergibile cancellando ogni prova. L’allarme delle autorità è legato ad una seconda preoccupazione. I sommergibili potrebbero essere usati da terroristi per infilarsi in uno dei tanti porti americani. E sono emersi, durante un’inchiesta nel 2006, contatti inquietanti. Un pirata catturato aveva militato nelle Tigri Tamil, uno dei pochi movimenti di guerriglia che possiede un’unità speciale dotata di mezzi per azioni di sabotaggio navale. Sempre i separatisti tamil avevano realizzato in Thailandia una officina dove potevano costruire semi- sommergibili. E poche settimane fa sono riusciti ad affondare una nave alla fonda con una carica esplosiva piazzata da uomini-rana.
Reti anti-terrorismo
Per questo nella baia di San Diego le portaerei ancorate al molo di Coronado sono protette da gigantesche boe che tengono reti e impediscono a qualsiasi battello di avvicinarsi troppo. Sembra una fantasia da film eppure i Big Foot fanno paura ai giganti del mare.
Guido Olimpio