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 2008  luglio 18 Venerdì calendario

Da un po’ di giorni Tremonti moltiplica i gesti di autonomia, intellettuale e politica, dal Cavaliere

Da un po’ di giorni Tremonti moltiplica i gesti di autonomia, intellettuale e politica, dal Cavaliere. Va dicendo e facendo cose che altri ministri mai si potrebbero permettere. Lui, invece, può. Se c’è qualcuno assolutamente non «fungibile», in questo governo, Berlusconi alza la mano e dice: «Eccomi, sono io». Sbagliato, quel qualcuno è diventato ormai proprio Tremonti. Con la crisi economica mondiale che precipita verso il peggio, il suo ruolo ingigantisce. E’ diventato quasi un dictator dell’antica Roma coi barbari alle porte. Sulla manovra può mettere in scacco il Parlamento, è l’accusa rovente dell’ex amico Tabacci; può lasciare i colleghi ministri all’oscuro dei tagli; può mettere in riga governatori potenti come Formigoni. Insomma, fa il bello e il cattivo tempo. Non solo civetta con Massimo D’Alema sulle riforme costituzionali, ma addirittura pronuncia nell’aula di Montecitorio «eresie» come l’elogio dei magistrati «moralizzatori», e financo mostra fair-play verso Di Pietro, l’uomo che ai «berluscones» fa semplicemente orrore. Silvio abbozza, ci scherza su, ma insieme mastica amaro. Il premier arriva a confessare pubblicamente, come l’altra sera durante la cena coi massimi rappresentanti dell’imprenditoria, che «certe volte perfino con me Giulio ha l’atteggiamento di chi si ritiene un genio, e pensa che gli altri siano tutti dei pirla». Intollerabile. Però di Tremonti il Cavaliere ne ha uno soltanto. Nella scorsa legislatura aveva provato a rimpiazzarlo con Siniscalco, e se n’era pentito quasi immediatamente. Da allora ha capito che deve subirlo com’è. E rassegnarsi a «contrattare in continuazione» quasi supplicandolo, Giulio ti prego, Giulio sii buono... E poi Tremonti ha quella simbiosi forte con Bossi, ancora ieri è andato a trovarlo da «vecchio amico». Anche Berlusconi, per il Senatùr, è un vecchio amico; lui, Umberto e Giulio sono tre vecchi amici affiatati, per farla breve nessuno (tra premier e ministro dell’Economia) ha l’esclusiva del rapporto con la Lega. Un altro più spregiudicato, al posto di Tremonti, magari ci farebbe un pensiero: profitterebbe del coltello dalla parte del manico per provare a imporre una sua leadership nel centrodestra. Gordon Brown, da Cancelliere dello Scacchiere, organizzò la fronda anti-Blair dentro il Labour Party fino a sfiancarlo e a rubargli il posto da primo ministro. La fortuna del Cavaliere è che Tremonti non ama la parte del congiurato. Più di una volta ha piantato scenate tremende, ma sleale non lo è stato, finora. Semmai da professore, anzi da Gran Visionario (come l’hanno omaggiato sul quotidiano della famiglia Berlusconi), Tremonti si mostra più interessato a dettare le parole d’ordine, i modelli culturali, gli orizzonti mentali che orientano la politica. Qui la sua ambizione è palese, la fantasia creativa sfrenata. Ed è qui che sempre più rivendica il diritto di non castrarsi le idee. Lo stuzzica dunque presentare un libro di Guido Rossi, che il solo nominarlo a Berlusconi provoca l’orticaria? Lui se ne infischia e lo presenta, viva la libertà. Gli suscita ammirazione D’Alema con quel discorso alla Camera su Lodo e dintorni? A Tremonti è parso da statista, e lo dice in pieno Parlamento, sebbene «Baffino» fosse stato parecchio ironico con Berlusconi. Ancora: Di Pietro è pronto a votare certi aspetti della manovra economica? Bene, benissimo. Se l’ex pm «ha chiaro quel che succede nel mondo», forse più lui di tanti altri, è giusto riconoscerlo. E infine, perché spuntare le armi della magistratura proprio quando, se non si vogliono aumentare le tasse, bisogna tagliare ruberie e sprechi? Ecco dunque l’ultima e, agli occhi berlusconiani, più scandalosa tra le licenze che Tremonti si concede. Quella di esortare i magistrati a darci dentro contro i reati della pubblica amministrazione. «Spero», sono testuali parole, «che un contributo per un bilancio della Sanità sostenibile venga anche dalla magistratura, dalla sua azione moralizzatrice». Ugo Magri