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 2008  luglio 18 Venerdì calendario

Il pentito deve essere, per definizione, credibile. La sua attendibilità, in genere, è direttamente proporzionale alla mole di riscontri che i magistrati, o gli investigatori, riescono a trovare alle sue dichiarazioni

Il pentito deve essere, per definizione, credibile. La sua attendibilità, in genere, è direttamente proporzionale alla mole di riscontri che i magistrati, o gli investigatori, riescono a trovare alle sue dichiarazioni. Nella Tangentopoli abruzzese il pentito, Vincenzo Angelini, è un imprenditore della sanità giunto alla disperazione per via di una emorragia di soldi dalle proprie aziende, superiore ai cento milioni di euro, da lui stesso motivata con la propensione alla bella vita e con la passione per l’arte («Ho comprato un Tiziano»), in qualche modo riconducibile anche al principale dei suoi accusati e cioè il governatore Ottaviano Del Turco, notoriamente affascinato dalla pittura. E’ proprio l’ex segretario della Cgil il bersaglio preferito di Angelini. E per i magistrati di Pescara è teste affidabile perché le sue dichiarazioni «possono ritenersi riscontrate da elementi esterni». Il riferimento va alla ricostruzione, anche «logica», alle molte coincidenze temporali, di un «sistema di corruzione» che costringeva l’imprenditore «a consegnare a più riprese denaro a funzionari e politici che manifestavano di essere nella possibilità di manovrare tutte le vicende che lo riguardavano». Questo «sistema» viene in qualche modo «documentato» attraverso una densa attività investigativa dello stesso Angelini, descritto - anche nell’ordinanza - come un collaboratore dei magistrati che tratta coi burocrati e politici corrotti registrando tutto «in file MP3». Sempre? Certo, «quasi» sempre. Per esempio registra il momento in cui uno degli odierni imputati gli spiega perché sarebbe il caso che si liberasse delle cliniche private: «... perché oggi siamo osservati perché sembra che qualsiasi cosa che stim a fa la stim a fa pe’ favori’ Angelini». Certo, questo è un riscontro all’esistenza di un «sistema» che nel tempo non è mutato, dal centrodestra al centrosinistra. Non si capisce, però, perché mai l’infiltrato Angelini sia perfetto nelle registrazioni, tranne quando si presenta ai vari «beneficiati» per pagare il «pizzo» richiestogli. Neppure in occasione dell’ormai famoso incontro in casa di Del Turco, quando Angelini dice di aver portato 200 mila euro in quattro blocchi da 50 mila, l’imprenditore ha pensato di registrare. Per essere credibile, però, si è fatto fotografare dal suo autista con la borsa in evidenza. All’uscita dalla casa del governatore, dice, la borsa era la stessa ma piena di mele: una precauzione chiesta da Del Turco per poter dimostrare che il contenitore fosse pieno, come in entrata. Non sfugge a nessuno come, invece di una foto d’emergenza, sarebbe stata molto più produttiva una registrazione fonica della consegna del denaro. E poi, è mai possibile che agli atti non esista una sola intercettazione che coinvolga direttamente il Governatore? Anzi, per l’esattezza, ce n’è una sola a difesa dell’indagato Del Turco che, dopo un interrogatorio del pm, dice ai suoi collaboratori: «Voglio dei tecnici per verificare se c’è stato qualche errore». E allora forse il pentito funziona meglio quando descrive il «sistema». Sul particolare un po’ meno. Ma anche le indagini sembrano risentire di questo limite. Prendiamo la storia delle case acquistate da Del Turco: ci sono i bonifici bancari, esistono i rogiti ma nulla si sa della provenienza del denaro. Che strada hanno fatto i sei milioni? Allora è spuntato un mega appartamento in pieno centro storico di Roma, valore superiore al milione e mezzo, la cui esistenza sarebbe dimostrata da una intercettazione telefonica del 10 giugno scorso fra Del Turco e una sua stretta collaboratrice del periodo in cui era presidente dell’Antimafia. Ma tutto potrebbe essere frutto di un equivoco, dal momento che i due parlavano di un recente trasloco in un appartamento di via Monserrato, regolarmente affittato da un architetto romano. Francesco La Licata