Silvia Guidi, L’Osservatore Romano 17/7/2008, 17 luglio 2008
L’Osservatore Romano, giovedì 17 luglio Quello che madre Dolores cerca sempre di far capire a giornalisti, fan, semplici curiosi che le scrivono per posta elettronica, figli e figlie spirituali, ex colleghi dello star system e amici vecchi e nuovi è che non è mai veramente cambiata
L’Osservatore Romano, giovedì 17 luglio Quello che madre Dolores cerca sempre di far capire a giornalisti, fan, semplici curiosi che le scrivono per posta elettronica, figli e figlie spirituali, ex colleghi dello star system e amici vecchi e nuovi è che non è mai veramente cambiata. Sfogliando l’album dei ricordi della sua vita, e le tante interviste rilasciate oltre cinquanta anni fa a tabloid e riviste di cinema, ci si accorge che è proprio così. Anche il nome è rimasto lo stesso: Dolores Hart, l’idolo dei teen-agers rockabilly, la protagonista di film di enorme successo come King Creole e Wild is the wind, con Anna Magnani e Anthony Quinn, la prima attrice che ha baciato Elvis sul grande schermo (in Loving you), la nuova Grace Kelly amata e odiata da milioni di fan ("Il flirt con Elvis è autentico o solo una trovata pubblicitaria per promuovere il film?", si chiedevano più o meno tutte le ragazzine d’America che affollavano i cinema dalla provincia profonda ai quartieri alti di New York nell’estate del 1957, ritagliando le sue foto per chiedere al parrucchiere di copiare il suo esatto tono di biondo), la brillante e sensibile interprete di commedie sofisticate a teatro è oggi madre Dolores, priora delle novizie nell’abbazia Regina Laudis a Bethlehem, Connecticut. La stessa donna, senza soluzione di continuità. "Se hai fiducia in Dio puoi affrontare qualsiasi cosa" scrivevano i cronisti dei tabloid in technicolor degli anni Cinquanta riportando le dichiarazioni di una giovanissima starlet dai luminosi occhi azzurri, stupiti della serena determinazione di una ragazzina cresciuta a Beverly Hills, contesa dalle majors e abituata a compensi a molti zeri, ma con una rocciosa determinazione a "fare la cosa giusta" come direbbe Spike Lee, o meglio, a tenere "il cuore al posto giusto" come consiglia la grande scrittrice cattolica americana Flannery O’ Connor, a centrare ambizioni, aspirazioni, affetti e desideri sull’Unico che è in grado di rispondere alle attese del cuore. "Se hai fiducia in Dio puoi affrontare qualsiasi cosa" ripeteva Dolores ai giornalisti che le chiedevano rivelazioni sul suo prossimo film, intendendo davvero "qualsiasi cosa": dai riflettori di Hollywood alle trappole dello star system e gli sgambetti tra colleghi, dall’euforia del successo - all’inizio degli anni Sessanta era tra le giovani promesse più quotate della scuderia Metro Goldwyn Mayer - al timore di deludere le aspettative di un pubblico esigente come quello di Broadway, dall’angoscia della telefonata dell’agente o del responsabile del cast che non arriva, al dolore di dover lasciare il set e i colleghi dopo mesi di lavoro, vita in comune e preoccupazioni condivise. "Se ti fidi davvero di Dio puoi affrontare qualsiasi cosa" ripeteva Dolores Hicks (il suo vero cognome) agli altri e a se stessa, anche le sfide private e le ferite invisibili all’esterno come il dolore per il divorzio dei genitori, divisi dall’alcol e dalla competizione nel lavoro - Bert ed Harriett Hicks erano entrambi attori -, i litigi continui in famiglia (Bert amava il gioco e la bella vita, "era un tipo alla Clark Gable", spiega la figlia), l’infanzia dalla nonna a Chicago, e, con il passare degli anni, la lotta con una vocazione tanto strana quanto affascinante, la fatica di dover lasciare l’amatissimo fidanzato, l’imprenditore californiano Don Johnson, perché Dio chiede la vita e la chiede tutta, secondo modalità totalmente impreviste, in modo misterioso ma inequivocabile, chiedendo una radicalità di scelta che fa paura a se stessi e agli altri, apparentemente assurda e incomprensibile anche per tanti credenti. stata la determinazione a prendere sul serio il suo desiderio di essere pienamente e totalmente felice a portare Dolores prima a voler essere una brava attrice, poi a non accontentarsi dei lustrini effimeri dei party postproduzione e di qualche titolo a sette colonne sui giornali, lasciando la gabbia dorata degli studios di Hollywood per il silenzio pieno di canti di un’abbazia benedettina in mezzo alle praterie del Connecticut, dove il lavoro è coltivare un appezzamento di 359 acri, mungere le mucche prima all’alba (la sveglia suona alle due di notte per il mattutino), curare la serra delle fragole e accogliere nel proprio cuore tutto lo smarrimento e la disperazione del mondo per offrirla a Dio con la pacata bellezza del canto gregoriano. "Prima ancora di aver compiuto vent’anni mi sono accorta che lavorare nel cinema mi dava molta meno gioia di quello che mi sarei aspettata" racconta Dolores, per far capire che il suo lavoro non è stato un ostacolo, ma una strada al compimento della sua vocazione, la circostanza che le ha permesso di essere leale di fronte al suo desiderio di verità e bellezza, fino a scegliere la clausura. L’addio agli studios, infatti, arriva dopo il 1961, l’anno in cui interpreta Chiara in Francesco d’Assisi di Michael Curtiz; immedesimarsi con il personaggio la conduce a bussare sempre più spesso alla porta dell’abbazia di Bethlehem. "Ogni volta era più bello arrivare e facevo sempre più fatica ad andarmene. Ho capito che quella era casa mia". Anche l’amicizia con Elvis, all’inizio della sua carriera, l’ha aiutata a capire che il successo non è sinonimo di felicità. "Mi chiedono sempre di lui, ovviamente" spiega madre Dolores, ricordandolo come "un ragazzo gentile e timido, con le orecchie rosse per l’imbarazzo di dover ripetere la scena del bacio. Io non sapevo neanche chi fosse, non era ancora così famoso. Mi stava molto simpatico perché mi chiamava signorina Dolores; a Hollywood solo lui e Gary Cooper mi chiamavano così. Elvis era un ragazzo buono e sensibile, ma col passare degli anni era sempre più triste e solo, e terribilmente infelice". Madre Dolores, quando ha realizzato che la presenza di Cristo era l’unica vera risposta ai bisogni più profondi del cuore? Potrei dire che è la risposta, la presenza di Cristo, che mi ha fatto capire meglio la domanda. Posso solo sperare di aver capito qualcosa di questa domanda con la testimonianza della mia vita. E soprattutto sperare che, grazie all’"evidenza visibile" della mia vocazione di religiosa capirò la profondità della presenza del Signore nella sua Incarnazione. Un rapporto vivo e personale con Cristo è necessario per capire che la Sua presenza è l’unica cosa veramente reale e veramente preziosa della nostra vita. Quando ha deciso di uscire dal turbine di impegni, prove, riprese, interviste e tournée della sua carriera di attrice? In realtà non ho mai davvero abbandonato il "turbine" della mia carriera di attrice, è qualcosa che vive ancora con me. Tanti attori sono venuti spesso all’abbazia per trovare risposte alla loro confusione e alle loro ferite, e sono felice che il mio essere qui apra a loro una strada personale, sia per loro un accesso privilegiato verso un luogo dove posare l’ancora, un’occasione per riconciliarsi con Dio nel modo più profondo e autentico possibile. I miei amici portano all’abbazia il flusso costante delle angosce che riempiono i loro cuori. Sono rimasta vicina alla comunità degli attori attraverso la loro presenza e attraverso la mia dedizione a loro. Cosa ricorda con più affetto del suo lavoro a Broadway? The Pleasure of His Company è stata la prima e unica volta che ho lavorato a Broadway. stata un’esperienza meravigliosa che mi ha fatto conoscere alcuni dei più grandi artisti dell’epoca, come Cornelia Otis Skinner, Charlie Ruggles e Walter Able. Mi ha insegnato di più guardare Cyril Richard rubarmi la scena che seguire le direttive di un qualsiasi altro regista. Io pensavo di avere una speciale vis comica e uno speciale feeling col pubblico quando ero sul palcoscenico con lui; non mi ero accorta che gli spettatori morivano dal ridere perché Cyril, dietro di me, faceva delle buffe smorfie guardando il soffitto e tirandosi le orecchie. Un vecchio trucco da vaudeville? Certamente. Ma funzionava davanti al pubblico naïve di fine anni Cinquanta. L’abbazia Regina Laudis è famosa in Connecticut per la sua stagione teatrale. Come è nata l’idea di costruire un palcoscenico accanto al convento? Una cara amica, Patricia Neal, è venuta a trovarmi all’abbazia dopo la fine del suo matrimonio nel 1979, un dolore che l’ha provata molto. Abbiamo pensato che una delle cose più efficaci per farle riacquistare il senso della sua dignità e la consapevolezza del suo valore di persona era farla tornare su un palcoscenico. Ma prima dovevamo costruirne uno. Con l’aiuto di Patricia ci siamo riuscite. A metà degli anni Ottanta abbiamo inaugurato il "The Gary-The Olivia Theater", costruito in nome di Gary Cooper e sua figlia Olivia: è un teatro all’aperto da cinquecento posti, con spendide produzioni tutte le estati. Abbiamo rappresentato praticamente tutto Shakespeare e musical come MusicMan o Fiddler on the Roof l’anno scorso. Quest’estate metteremo in scena West Side Story. E continuerete a vendere i cd di canto gregoriano del coro Regina Laudis L’anno scorso abbiamo inciso il nostro nuovo compact, L’annuncio del Natale, con una selezione di pezzi cantati che inizia con l’Avvento e accompagna l’ascoltatore fino all’Epifania. una gioia speciale sentire la Genealogia di Cristo cantata dalla badessa come facciamo durante la messa di mezzanotte nella nostra chiesa Jesu Filii Mariae, e mi ha reso davvero felice accettare la proposta di leggere la traduzione inglese poi incisa sul cd, che si può ordinare tramite il nostro sito www.abbeyofreginalaudis.com. stato uno splendido regalo iniziare il lavoro un anno dopo il passaggio alla casa del Padre della nostra fondatrice. La badessa Benedict Duss nutriva un profondo amore per il canto, un amore che ha trasmesso a tutta la comunità fin dai suoi inizi, "imbevendo" di musica la nostra vita e chiamando esperti come Dom Joseph Gajard dell’Abbazia di Solesmes e Theodore Marier, celebre insegnante di canto e direttore di coro, per lavorare con le suore. Da subito la comunità ha iniziato a studiare canto e sviluppare un amore particolare per la bellezza del suo puro suono e la sua capacità di tradurre i misteri della Chiesa. La badessa ne era ben consapevole, e non ha lasciato niente di intentato perché la comunità fosse costantemente "colmata" e accompagnata della maestà della musica. Silvia Guidi