Il Sole 24 ore 15 luglio 2008, Roberto Bongiorni, 15 luglio 2008
La crisi umanitaria rischia di peggiorare. Il Sole 24 ore 15 luglio 2008 La Corte Penale internazionale ha fatto il suo dovere
La crisi umanitaria rischia di peggiorare. Il Sole 24 ore 15 luglio 2008 La Corte Penale internazionale ha fatto il suo dovere. La decisione di chiedere l’arresto del presidente Omar al-Bashir per genocidio e crimini contro l’umanità rischia tuttavia di rimanere lettera morta. Chi si assumerà il gravoso compito di arrestare il presidente-dittatore del Sudan? La giustizia internazionale spesso non coincide con la realpolitik. Anzi, a volte rischia di peggiorare gli sforzi della diplomazia. il caso del Sudan. Da anni le Nazioni Unite definiscono la crisi del Darfur come il «peggior disastro umanitario del mondo». Ma finora la Comunità internazionale si è dimostrata incapace di risolvere un conflitto che, dal 2003, ha provocato secondo l’Onu 300mila vittime e due milioni e mezzo di sfollati. La crisi si trascina da così tanto tempo perché è complessa. Molto più di quanto possa apparire. Il Darfur non è il piccolo Rwanda. una regione desertica, estesa quasi quanto la Francia, praticamente senza strade asfaltate. Non è neanche lo Zimbabwe, dove vi sono due blocchi contrapposti, il presidente Mugabe contro l’opposizione. Gli attori coinvolti sono molti. L’esercito di Khartoum non è un manipolo di soldati disorganizzati, con in mano qualche razzo e tanti khalasnikov. uno dei più potenti d’Africa. E in gioco non ci sono le piantagioni di cacao, come nella turbolenta Costa d’Avorio, ma grandi giacimenti di petrolio e miniere di uranio ancora da esplorare. Chi è pronto a difendere Khartoum non è poi qualche piccolo regime vicino, ma la superpotenza cinese. Il Sudan è caro a Pechino più di qualsiasi altro Paese africano. una sorta di suo protettorato. Le ostilità sono scoppiate nel 2003. Quando un gruppo di ribelli ha sferrato una serie di attacchi contro il Governo. Lamentavano la discriminazione contro le popolazioni stanziali del Darfur, di origine africana, animiste e dedite alla pastorizia. Sul fronte opposto il Governo e le popolazioni arabo-musulmane, prevalentemente nomadi. Pur definendole criminali, il Governo sostiene le milizie arabe dei Janjaweed. In principio i gruppi di ribelli erano il Justice for Equality Movement e il Sudan Liberation army. Oggi sono una dozzina. Spesso in conflitto tra loro. Le trattative di pace risultano spesso impraticabili proprio perché l’adesione non è mai unanime. L’internazionalizzazione della crisi complica le cose. Il Darfur è in stato di guerra con il Ciad del presidente-dittatore Idriss Deby. Più volte Deby si è ritrovato i ribelli alle porte della capitale N’Djamena. riuscito a salvare la pelle. Ma a un costo altissimo. « il Sudan ad armare i ribelli del Ciad e a ospitare le loro basi in Darfur», ha accusato. Bashir, a sua volta, deve far fronte ai ribelli sudanesi. Con un’azione senza precedenti, lo scorso 10 maggio sono riusciti a entrare a Khartoum. stato il Ciad, ha replicato Bashir, accusando N’Djamena di ospitare le basi dei ribelli. Come un manipolo di guerriglieri possa tener testa a un esercito così potente, dotato di jet militari, resta un mistero. Secondo fonti attendibili i ribelli non riceverebbero solo il sostegno del Ciad. Sconfiggere Khartoum è tuttavia molto difficile. Bashir può contare su un’alleanza inossidabile. La Cina importa oltre il 60% del greggio estratto in Sudan. Non solo. Più volte ha vanificato le risoluzioni di condanna del Consiglio di Sicurezza Onu con la minaccia del veto. Pechino è accusata di rifornire armi a Khartoum e di addestrare le sue truppe, in violazione alle sanzioni che impongono l’embargo sulle armi e vietano a qualsiasi Paese di schierarsi con i belligeranti. L’Unamid, il contingente Onu misto ai peacekeeper dell’Unione Africana, è spesso incapace di proteggere la popolazione. Doveva contare 26mila soldati. Ne ha meno di 10mila, quasi tutti africani, male addestrati e con armi obsolete. A malapena riescono a difendersi dagli attacchi di ribelli e forze governative. Lo scorso martedì ne sono stati uccisi sette. Ecco perché il Darfur continua a sanguinare. E perché la decisione di ieri rischia di gettare benzina sul fuoco. Non è escluso che Khartoum ora metta in atto ritorsioni contro l’Unamid, le Ong e le agenzie dell’Onu. La sopravvivenza di milioni di sudanesi dipende quasi esclusivamente dai loro aiuti. Roberto Bongiorni