Carlo Bonini la Repubblica 17/7/2008, 17 luglio 2008
lLA REPUBBLICA 16/7/2008 SULMONA - «Oggi avrei dovuto partecipare alla conferenza delle Regioni a Roma, proprio sulla questione del debito della sanità, per difendere il mio Abruzzo dalle decisioni del Governo che vuole imporre il commissariamento e i ticket
lLA REPUBBLICA 16/7/2008 SULMONA - «Oggi avrei dovuto partecipare alla conferenza delle Regioni a Roma, proprio sulla questione del debito della sanità, per difendere il mio Abruzzo dalle decisioni del Governo che vuole imporre il commissariamento e i ticket. E invece sono qui. Peccato…». Parla da governatore Ottaviano Del Turco, parla da presidente della Regione Abruzzo anche dalla cella di isolamento del carcere di massima sicurezza di Sulmona, dove è rinchiuso da lunedì. Davanti al deputato del Pd, Pierluigi Mantini, segretario della commissione Giustizia della Camera, che ieri è andato a fargli visita (come il parlamentare Pdl Marcello Pera), ha usato toni quasi istituzionali. Come se non ci fossero state le sbarre a dividere quella conversazione, come se l´ex ministro non avesse avuto addosso solo un pigiama grigio a righe. Come se non fosse costretto (da due giorni) in una cella di tre metri quadrati, nella sezione "media sicurezza", dove abitualmente si trovano mafiosi e camorristi. «Fai bene Pierluigi a visitare le carcere abruzzesi per verificare la condizione dei detenuti - ha esordito Del Turco vedendo arrivare Mantini - l´ho fatto anch´io, ed ero venuto proprio qui. Questa è una comunità che non va dimenticata…». rimasto sorpreso l´onorevole venuto da Roma per incontrare il collega di partito. Forse non immaginava di trovare l´ex presidente della commissione Antimafia «così sereno e fiducioso. Quasi ironico». «Ero andato lì, anche per sincerarmi delle sue condizioni di salute, del suo stato psicologico» ha raccontato Mantini «del resto non è facile per nessuno passare da una condizione di sostanziale privilegio a quella di detenuto». Non è facile soprattutto qui, nel penitenziario noto in passato come il carcere dei suicidi. Ma per Del Turco la storia è diversa. «Aspetto solo i miei dieci libri», ha detto il governatore «quelli che ho scelto il giorno che sono venuti a casa i finanzieri per notificarmi l´ordine d´arresto. Ancora non me li hanno consegnati». Intanto l´inchiesta sulla tangenti alla giunta abruzzese, prosegue. E potrebbe allargarsi. I pubblici ministeri Giuseppe Di Florio e Giuseppe Bellelli, e il procuratore della Repubblica Nicola Trifuoggi, stanno infatti prendendo in esame non solo la posizione di chi è già finito agli arresti o è indagato, ma anche quella di altri personaggi che potrebbero risultati coinvolti nel giro di tangenti legate alla seconda tranche della cartolarizzazione dei debiti della sanità. L´ex assessore ai Trasporti e deputato del Pd Tommaso Ginoble, è comparso stamani davanti ai pm. «Mai avuto a che fare con la sanità», ha detto al magistrato. Sereno si è detto anche l´ex presidente della Regione e attuale consigliere di An, Giovanni Pace: «Mai preso un euro. Se qualcuno mi avesse dato 100 mila euro e io li avessi presi, sarei un cretino. Io sono immacolato come un giglio…». Ha negato ogni addebito anche Sabatino Aracu, parlamentare del Pdl, accusato dalla gola profonda dell´inchiesta Vincenzo Angelini, di aver preteso tangenti per milioni di euro. Sul fronte della politica regionale il centrodestra chiede di tornare subito alle urne. «Non possono esistere soluzioni intermedie», chiosa il senatore di Forza Italia, Andrea Pastore. Non esclude questa ipotesi anche il centrosinistra. «Piena fiducia nella magistratura» commenta il parlamentare del Pd, Giovanni Lolli. «Solidarietà umana a Del Turco. Ma al primo posto resta comunque il problema della governabilità della regione, che va garantita». (g. cap.) LA REPUBBLICA 16/7/2008 DAL NOSTRO INVIATO CHIETI - Sembra di entrare in un hotel cinque stelle. Centinaia di faretti sul soffitto, poltrone, cartelli che invitano a gustare il pranzo al ristorante. Villa Pini è la clinica al centro del ciclone, perché il suo proprietario, Vincenzo Angelini, secondo l´accusa prima ha pagato milioni di tangenti poi ha denunciato tutti i corrotti. Ti aspetti di trovare un gioiello: sei nella clinica più moderna della Regione, in un Abruzzo dove il debito accumulato per la sanità è enorme: un miliardo di euro. Con tutti questi soldi i malati della regione più indebitata d´Italia dovrebbero essere i più tutelati. Ma già nel grande atrio ci sono cartelli che annunciano una realtà del tutto diversa: la guerra fra sanità pubblica e privata, e soprattutto la fame di tangenti, stanno mettendo a rischio il diritto fondamentale del malato: quello di essere curato nel miglior modo possibile. Bocche cucite, al piano della Direzione. Solo un dirigente accetta di parlare, «ma non con il nome sul giornale». uno importante, perché dice sì o no alle richieste che arrivano da tutti i reparti. «Se vuole - dice - parliamo di ambulanze. Lo sa che sta succedendo? Fino alla primavera qui avevamo il reparto di terapia intensiva e la Regione ce lo ha fatto chiudere, assieme ad altri reparti fondamentali come le discipline specialistiche in chirurgia generale e la medicina generale. Qui si continua a operare e se c´è un problema dobbiamo portare il malato all´ospedale pubblico, il Santissima Annunziata. Noi abbiamo le ambulanze ma non le possiamo usare. Dobbiamo chiedere che arrivino quelle dell´ospedale, più di 8 chilometri da qui». Proviamo a fare il viaggio. Curve, tornanti, se c´è un camion non lo sorpassi nemmeno invocando tutti i Santi. In questi giorni c´è una deviazione, via Benedetto Croce è chiusa per lavori. E allora il viaggio è di 10 chilometri e 400 metri, quasi ventun chilometri andata e ritorno. Viene naturale pensare a cosa possa succedere a un malato appena uscito da una sala operatoria. «Succede spesso - dice Vincenzo Maccione, infermiere e sindacalista della Uil - che noi della clinica siamo costretti a portare un malato all´ospedale, perché magari ha urgente bisogno di un´operazione che non fa più parte del nostro protocollo, e all´ospedale ci dicano che non hanno posto. E questi viaggi in ambulanza per la terapia intensiva, da quel che ho sentito, hanno provocato anche problemi seri». Se una clinica - o un negozio - pagano tangenti, di solito non hanno problemi. «Qui invece - dice il dirigente di Villa Pini - c´è qualcuno che, come diciamo in Abruzzo, "non si abbotta mai", non è mai sazio. Mangia, mangia e poi ne vuole ancora e ci tratta pure male. Non ci fa chiudere solo perché la gallina che fa le uova d´oro si può maltrattare ma non ammazzare». I tagli sono arrivati a primavera. I posti letto sono stati ridotti da 250 a 176 e sono stati chiusi i reparti citati. «Abbiamo presentato un piano industriale, dicendo che, anche con i tagli effettuati, avremmo mantenuto al lavoro i nostri 800 dipendenti. Non ci hanno ancora risposto. E così da più di tre mesi i nostri lavoratori - nel gruppo ce ne sono altri 1.200 - sono senza stipendio. Vengono da me per raccontarmi che a qualcuno è stato pignorato l´appartamento, che altri non hanno nemmeno i soldi per la benzina per venire al lavoro. Dalla Regione vantiamo un credito di 160 milioni, e sappiamo che la cifra è contestata. Abbiamo detto: se chiediamo 100, dateci almeno 30 o 40, la cifra che non può essere contestata. Nemmeno quella. La vogliono tenere viva ma in agonia, la gallina d´oro». Nella clinica di lusso c´è una cassetta per le elemosine. Serve a finanziare «la lotta dei lavoratori», senza paga e costretti alle trasferte per andare a chiedere soldi ai dirigenti, non arrestati, delle Asl, a nome dell´imprenditore Angelini. Nell´atrio ci sono anche due monumenti, con busti di bronzo su blocchi di marmo nero. Sono per Maria Domenica e Guido Angelini, mamma e papà del titolare. «Senza la loro immane fatica/questa istituzione non sarebbe esistita». Ora immane fatica è arrivare a fine mese, sperando di poter aprire una busta paga. LA REPUBBLICA 16/7/2008 CARLO BONINI GIUSEPPE CAPORALE PESCARA - Racconta il Grande Elemosiniere Vincenzo Angelini che furono diciannove le volte in cui si chinò «a baciare la pantofola» del Presidente Ottaviano Del Turco. Che per diciannove volte, pacchetti da 100 a 750 mila euro, passarono dalle sue mani allo scaffale di una libreria, al tavolo di una pasticceria, al ripostiglio di una cucina. Sei milioni di euro, si è detto. Ma in una Cabala dove ora anche i numeri acquistano una loro forza suggestiva, dove sono finiti questi denari? Detta altrimenti: quali i riscontri? E le fonti di prova? I bonifici per le case di famiglia Scrive il gip Michela Di Fine (pagina 317 dell´ordinanza): «Le indagini non hanno sin qui evidenziato situazioni atte a riscontrare incassi diretti di denaro contante in conseguenza delle dazioni effettuate da Angelini. Ma tale circostanza non è assolutamente idonea a inficiare l´ipotesi accusatoria. Apparendo evidente come la prova della destinazione delle somme di persone operanti nel settore istituzionale non è agevole, potendo esse contare su rapporti personali che certamente consentono la gestione del denaro anche per interposta persona». Dunque? Davvero c´è il nulla? In realtà qualcosa c´è, annota il gip. «Operazioni di acquisto immobiliari non del tutto trasparenti». «Il 17 marzo 2006, in coincidenza con la prima dazione di denaro da parte di Angelini, l´indagato Del Turco Ottaviano operava una sospetta operazione di giroconto dell´importo di 269 mila 498,89 euro presso la Banca Toscana di Collelongo in favore della convivente Davanzo Marie Christine. A fronte di tale operazione, la Davanzo acquistava cinque assegni circolari da euro 50 mila cadauno, verosimilmente utilizzati per l´acquisto, con rogito del 21 marzo 2006, di un immobile in Roma di ex proprietà dell´Inps sito in via Crescenzio al costo di 259 mila 800 euro». Ancora: «Del Turco Ottaviano effettuava sistematici bonifici a favore della Davanzo per un importo complessivo calcolato in euro 576 mila 498,89», mentre, «con rogito del 25 gennaio 2007, lo stesso Del Turco Ottaviano effettuava a nome del figlio Guido un acquisto immobiliare per l´importo complessivo di 453 mila euro». «Un´operazione alquanto strana – scrive il magistrato – perché nella circostanza Guido Del Turco risultava coaffittuario dell´appartamento acquistato a Roma dal padre unitamente a Pignatelli Maria Jasmine, legata sentimentalmente all´indagato Lamberto Quarta (capo della segreteria del Governatore ed ex segretario regionale dello Sdi ndr.)». Senza contare – conclude l´ordinanza sul punto – un´ulteriore «"misteriosa" e prestigiosa abitazione acquistata in Roma cui faceva riferimento non solo Angelini, ma anche il contenuto di qualche conversazione telefonica intercettata dello stesso Del Turco». L´acquisto di 3 case a Roma e bonifici per oltre mezzo milione di euro a favore della propria convivente, sono un indizio sufficiente? Il gip Di Fine, e con lei la Procura, ne sembrano convinti. Esattamente come della genuinità della confessione che, il 12 aprile, il Grande Elemosiniere comincia a verbalizzare. "Sono un pollo lento a capire" Vincenzo Angelini dice di se stesso: «Sono un pollo lento a capire, ma ad un certo punto mi sono rotto. Perché mi sono accorto che questa Giunta mi ha ucciso più di tutti in trent´anni. Loro erano i primi nemici». Loro, sono Ottaviano Del Turco, Lamberto Quarta, il suo uomo più fedele, Camillo Cesarone, il capogruppo del Pd in consiglio e Giancarlo Masciarelli, ex presidente della Fira, uomo di Forza Italia che lui chiama «il conte di Cavour», l´architetto del "Sistema" nato con la giunta di centro-destra e cooptato da quella di centro-sinistra. Di questa «associazione per delinquere» - scrive il gip – Angelini diventa la vacca da mungere. «Gli viene imposto di tutto». Anche «rapporti privilegiati con Deutsche Bank», con cui «è costretto a scontare i crediti vantati con la Regione» (risulta indagato «un funzionario» della stessa Deutsche «in via di identificazione»). Per carità, l´uomo non è nuovo a dare. Perché ha già dato con il centro-destra. Per dire: «Giovanni Pace (ex presidente di An della giunta ndr.) mi chiese 200 mila euro che io diedi a Masciarelli. Mi ruppero i coglioni per tutto il 2005». E ancora: «L´onorevole Sabatino Aracu voleva 2 milioni di euro per un appartamento alla figlia o al figlio. E io gli dissi: "Vattene a fare in culo tu e chi ti ci ha messo"». Con l´arrivo del centro-sinistra, è diverso. Si può mandare affanculo chi non c´è più, non chi lo ha sostituito: «Cesarone mi disse che per loro era molto difficile potermi difendere, perché presentavo un sacco di problemi, braccato come ero da Procura, Finanza, Nas e quant´altro. Che anche il resto della politica voleva "rompermi le gambe" (…) Finché Cesarone mi disse che era inutile che andassi da Del Turco a parlare soltanto. Che Del Turco si era incazzato e che in cambio di protezione volevano somme di denaro». La musica della politica e le 19 volte In principio, fu nel marzo del 2006, a Collelongo. 200 mila euro. «Cesarone mi disse. Vai a trovare Ottaviano e fai un po´ tu: 100, 200. Lui prese i soldi senza fare domande e li mise nello scaffale della libreria». Quindi, il 3 maggio 2006. «100 mila. A Collelongo, o forse nella sede della Regione all´Aquila o a Pescara». Tre settimane dopo, il 31 maggio, «150 mila euro a Cesarone. A casa sua, o forse a "Villa Pini"». A metà ottobre, ancora nella libreria a Collelongo. «100 mila euro». Questa volta Angelini fa qualche domanda. E Del Turco, almeno così racconta, lo liquida: «Io non mi voglio sforzare a parlare di sanità, perché io amo la musica della politica. Per cui dimmi quale è il problema e poi magari parla con Quarta». Il 16 novembre 2006, «altri 100 mila a Collelongo», quindi due mesi di tregua. Il 16 gennaio 2007, «Chiama Cesarone e mi dice: "Ottaviano è incazzato perché non ti sei fatto più vivo. E la passeggiata mi costò altri 100 mila». Il 23 maggio, ancora Cesarone. Questa volta, dice Angelini, ha un tono tra il mellifluo e il minaccioso: «Decidi tu che fare, perché io ho a chi chiederli». Fanno «220 mila consegnati nella sede della giunta a Pescara». Otto giorni dopo, il 31 maggio, «altri 200 mila a Collelongo. Cesarone mi aveva detto: "Mo´ ci stanno le vacanze, Ottaviano c´ha la corrente". Insomma Un bacio di pantofole in piena regola». Non passa indenne neppure giugno. «100 mila a Cesarone, a Chieti, e 500 mila a Del Turco, non ricordo se a Collelongo o a Pescara». Il 4 luglio, «250 mila a Del Turco e, alla fine del mese, il 26, «750 mila a Cesarone, a casa sua a Francavilla». I pagamenti si interrompono solo ad agosto. «Il 10 settembre, 100 mila a Cesarone» e il 20 di quel mese, «con la solita procedura, 200 mila a Del Turco, presi dalla mia cassaforte». Il 9 ottobre, «100 mila a Francavilla, a casa di Cesarone» e il 24, «100 mila a Quarta, nella saletta della pasticceria Veronese a Chieti scalo». Il 2 novembre, i 200 mila di Collelongo (la consegna delle mele in cambio del contante) viene fotografata, ma non sarà l´ultima. «Il 9 novembre consegnai 300 mila a Cesarone e, il 27, 200 mila a Del Turco, a Collelongo». Questa volta, non più sulla libreria. «Eravamo in cucina e chiesi a Del Turco: "Dove li metto? E lui mi disse: "Fai un po´ tu. Mettili lì dentro". E così li infilai in un ripostiglio che c´ha sotto una specie di scala circolare». «C´erano altre persone?», chiede il pm? «No. Qualche volta è venuta la moglie, la titolare del ristorante di Roma "Il Bolognese", dove personalmente ho sempre mangiato pesante e anche pagato caro. Ma prima che mi costasse questo…». La repubblica 17/7/2008 GIUSEPPE CAPORALE SULMONA - Piange in carcere Ottaviano Del Turco. Piange quando a trovarlo va il compagno socialista Giancarlo Lehener, oggi deputato del Pdl. «Si è commosso perché mai avrebbe potuto immaginare che a visitarlo sarei andato proprio io, da sempre suo avversario nel Psi. Del resto all´epoca, ero un craxiano, lui invece della corrente contraria», racconta il parlamentare. E aggiunge: «Abbiamo fatto una promessa. Appena Ottaviano uscirà andremo ad Hammamet, per posare un garofano sulla tomba di Bettino». iniziato così il terzo giorno di detenzione per il governatore dell´Abruzzo. Prima, un´ora d´aria in un piccolo cortile a pochi passi dalla sua cella di isolamento, poi la visita, attraverso le sbarre, dei deputati Lehener e Renato Farina, entrambi del Pdl. «L´ho trovato abbastanza scosso, disorientato. Abbiamo provato a distrarlo, a parlare di libri, dei racconti di Hemingway che stava leggendo». Ma inevitabilmente poi, il discorso è scivolato sull´inchiesta. «Mi è parso chiaro, che Ottaviano abbia intuito chi, in questo momento, lo appoggia, e chi no. Del resto, prima di finire in carcere, per tutti, era tra i fondatori del Pd, ora pare sia solo un socialista. Battute a parte, mi ha assicurato di non portare rancore nei confronti di nessuno». «Combatterà, si difenderà dalle accuse» - aggiunge Lehner - «mi ha detto, senza mai scendere nei dettagli dell´inchiesta, che saprà chiarire, saprà spiegare. Forse già domani (oggi per chi legge, ndr) quando incontrerà i magistrati. A meno che, il suo avvocato gli suggerisca di non rispondere». E le cose da chiarire, secondo la procura, sono molte. Secondo il gip Del Turco «promuoveva, costituiva, organizzava e dirigeva l´associazione per delinquere. Imponeva e realizzava un sistema di gestione illegale dei rapporti con le case di cura private, imperniato sulla mancanza di trasparenza, sulla violazione delle leggi e dei principi di imparzialità». Intanto, sul fronte dell´inchiesta, l´indagine prosegue, segnando risultati importanti. Ieri, gli inquirenti hanno localizzato la terza casa che secondo l´ordinanza del gip, sarebbe stata acquistata dal governatore, con denaro di provenienza sospetta. Si trova a Roma, in centro. Risulterebbe intestata ad una persona assai vicina al presidente. A Pescara invece, negli uffici della procura, ieri mattina è sfilata quasi tutta la giunta regionale. Gli indagati Mimmo Srour, assessore ai Lavori pubblici, Marco Verticelli, (Agricoltura), Franco Caramanico ex assessore all´Ambiente, Fernando Fabiani, assessore al Lavoro e Giovanni D´Amico, assessore al Bilancio, hanno respinto tutte le accuse. L´interrogatorio era incentrato sulla delibera 58 del gennaio 2008 con cui si autorizzava una transazione di 14 milioni di euro alla Deutsche Bank, per liquidare prestazioni sanitarie non dovute, effettuate dalla clinica di Vincenzo Angelini. Gli assessori hanno parlato di «assoluta buona fede». «C´era una ingiunzione di pagamento», hanno detto «pensavamo di fare il bene della Regione». Oggi sarà interrogato Del Turco. DAL NOSTRO INVIATO CARLO BONINI PESCARA - A stare a quel che si legge, il Sistema era uno e, nel tempo, sarebbe rimasto lo stesso. Le associazioni per delinquere, al contrario, «sono state due». Nera la prima, rossa la seconda. Perché in principio, in un tempo non troppo lontano, il biennio 2003-2005, il Grande Elemosiniere della sanità, Vincenzo Angelini, si genuflesse ai capi bastone del Centrodestra abruzzese, ungendo le ruote della macchina elettorale di Forza Italia e Alleanza Nazionale. Scrive il gip Michela Di Fine nella sua ordinanza: «Vito Domenici, ex assessore regionale alla Sanità (oggi consigliere Pdl, ndr), Giancarlo Masciarelli, ex presidente della finanziaria regionale (Fira), ottenevano, con l´avallo dell´allora presidente della Regione Giovanni Pace (An), il pieno controllo della sanità, grazie all´accentramento dei poteri in capo a Masciarelli ed agli uomini Fira, alla sistematica sottrazione di poteri, funzioni, competenze ed informazioni agli uffici ed ai funzionari della Regione, delle Asl e dell´avvocatura (…) Nell´ottobre 2003, Domenici e Masciarelli promuovevano e costituivano insieme a Pace, all´ex vicepresidente della Fira e genero di Pace, Vincenzo Trozzi, all´avvocato romano Pietro Anello, a Luigi Conga, ex direttore generale della Asl di Chieti, e all´avvocato Antonio Boschetti, un´associazione per delinquere finalizzata a deviare e condizionare illegalmente l´attività amministrativa e negoziale della Regione». «Così la destra mi ha inc...». Interrogato il 6 maggio scorso dal procuratore Trifuoggi e dal sostituto Di Florio, Vincenzo Angelini non ci gira intorno. Chiedono i magistrati: «L´ex presidente Pace le ha avanzato richieste di denaro?». «Ah sì, altro che. Per essere esatti, io da quella gente sono stato inc...». «Allora ci dica». «Pace mi chiede 200 mila euro, che io do a Masciarelli, pardon al genero di Pace, Vincenzo Trozzi della Fira, che poi provvedeva a darli a quel poveretto del tesoriere di Alleanza Nazionale». «Perché poveretto? morto?». «No, poveretto perché io gliene ho dati solo 100 mila. E questo tesoriere è andato rompendomi i coglioni per tutto il 2005 e parte del 2006. Mi rompeva le scatole una volta al mese e diceva: "Sai, nei nostri conti di An siamo scoperti di 100 mila e non so come fare"». «Soldi regolari?». «No. In nero. Perché così me li hanno chiesti». Ce n´è, a quanto dice il Grande Elemosiniere, anche per Forza Italia. Per Domenici, che ne è il coordinatore a Pescara. Chiedono i pm: «A Domenici ha dato qualcosa?». «A Domenici ho dato 500 mila euro. Durante la campagna elettorale del 2005. Glieli ho consegnati al casello autostradale di Avezzano. Lui voleva 1 milione». «Ed era un finanziamento regolare?». «No. Ho fatto anche un finanziamento ufficiale, ma quello è un altro discorso». «Fu sempre Masciarelli a chiederle i soldi per Domenici?». «Sì. Continuavano a ossessionarmi. Un giorno chiamo Masciarelli e gli dico: "Avete rotto il cazzo. Che cosa volete da me?". E lui: "Lo so, ma sai, ci devi dare una mano". Allora io faccio: "Scusate tanto, ma perché? Io sono già a posto con la cartolarizzazione (dei crediti sanitari, ndr). E Masciarelli: "Lo so, ma se poi questi vincono le elezioni tu sei un uomo morto». Io risposi: «Va a dire a quello stronzo (Domenici, ndr) che gliene do la metà». Aracu e la corrente di Cicchitto Non è il solo Domenici a bussare a denari per Forza Italia. Nella primavera del 2005, con Angelini si fa vivo il deputato azzurro Sabatino Aracu, ex della diaspora socialista. Chiedono i pm nell´interrogatorio del 6 maggio: «Anche Aracu ha fatto richieste?». «Si. A cui non ho dato corso. Dopo la cartolarizzazione, ci vedemmo a Pescara, in piazza Salotto, e chiese 2 milioni di euro per l´acquisto della casa della figlia o del figlio e io gli dissi vattene a fanculo te e chi ti ci ha messo». «Mi scusi, ma come si fa a chiedere in regalo 2 milioni di euro?». «Aracu è una delle persone più spudorate che io conosca». «L´ha minacciata? Le ha promesso qualcosa?». «Il suo discorso è stato: "Noi ti abbiamo dato quello che hai chiesto per la prima cartolarizzazione, ma adesso ci devi tu". E io: "Che cazzo mi avete dato? Un paio di palle! Se io avanzavo 110 milioni, voi me ne avete dati 76. Che cavolo racconti?". E lui: "Guarda che per te abbiamo fatto. Devi stare attento"». «Aracu che funzioni aveva?». «Lui era il capo di Forza Italia in Abruzzo per delega fondamentalmente della corrente di Cicchitto. Tanto per essere chiari, Cicchitto era stato il suo grande protettore. Anche quando voi gli avete scoperchiato qualche pentolina che non riguardava me e che in quella circostanza lo ha blindato, come voi sapete…». Interrogati come indagati, Giovanni Pace e Sabatino Aracu hanno negato ogni singola circostanza riferita da Angelini. Ed è verosimile che altrettanto faranno Domenici e Masciarelli. Anche se il centrodestra sembra messo a rumore. E in qualche apprensione. Alimentata anche dalle allusioni di Carlo Taormina, che dal centrodestra è stato scaricato e che di Masciarelli è stato avvocato nell´inchiesta Fira (per la quale venne arrestato nell´ottobre 2006). Dice oggi Taormina: «Le parole di Angelini sono oro colato. In questa vicenda è coinvolto l´intero arco costituzionale e sarei in grado di provarlo, se fossi svincolato dal segreto professionale».