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 2008  luglio 17 Giovedì calendario

La Stampa, giovedì 17 luglio Probabilmente è stato solo un pretesto, magari una furbata: ma quel marito che a Gela ha denunciato la moglie per aver esposto il figlio di pochi mesi, nudo, davanti alla Madonna, chiedendo per buona misura anche il divorzio e lamentando il presunto «trauma psichico» subito dalla creatura, ha squarciato un velo

La Stampa, giovedì 17 luglio Probabilmente è stato solo un pretesto, magari una furbata: ma quel marito che a Gela ha denunciato la moglie per aver esposto il figlio di pochi mesi, nudo, davanti alla Madonna, chiedendo per buona misura anche il divorzio e lamentando il presunto «trauma psichico» subito dalla creatura, ha squarciato un velo. Ha messo in scena un contrasto tra modernità e cultura tradizionale che in genere si ama ritenere risolto, ormai, a favore della prima. C’è anche una componente di commedia, senza dubbio. Sarà pure un «divorzio all’italiana» rovesciato di segno, come osserva il professor Marino Niola, docente di antropologia dei simboli all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli: ma i riti antichi non sono morti. Anzi, danno segni di ritrovata salute. Esporre i neonati alla Vergine non è pratica così rara. E alcuni gesti, nella loro simbolicità, sono eterni. Nella provincia piemontese, ci ricorda il professor Enrico Comba, docente a Torino di antropologia culturale nella Facoltà di Scienza della formazione, c’è ancora una certa familiarità con i guaritori tradizionali, i «settimini», gli «aggiustaossi» cui ci si rivolge fidando su una loro particolare sensibilità originata dalla nascita precoce o dal fatto di essere il settimo figlio. Il segreto sta nel simbolismo del numero sette, che affonda le sue radici nella cultura dell’antica Babilonia, con le teorie sui sette pianeti e sui sette mondi. Una storia millenaria; e visto che a Babilonia è nata la parte più importante della Bibbia, non la si può mica liquidare con un’alzata di spalle. La religiosità contadina, intrisa di paganesimo, non è un reperto fossile, anche se la cultura contadina non c’è più. «Le giovani generazioni hanno in grandissima parte tagliato i legami con questo passato - spiega -. Ed è evidente che la nonna della signora di Gela, a suo tempo, avrebbe ricavato prestigio per la fede dimostrata nell’esporre il bambino, e il marito non ne avrebbe certo approfittato». Oggi le tradizioni possono essere motivo di scandalo. Un direttore delle poste forse eviterebbe di flagellarsi in piazza; ma come la mettiamo con l’informatico di Sydney, emigrato di seconda o terza generazione, che ogni sette anni prende l’aereo e raggiunge il paese d’origine, Guardia Sanframondi (provincia di Benevento), per battersi a sangue con un sughero ornato di borchie metalliche insieme a un migliaio di compaesani? «La sua è una reazione identitaria», dice il professor Niola. «E badi, la processione di Guardia Sanframondi non è affatto ”residuale”». Né lo sono le cerimonie dei «battuti» a Belvedere Langhe, studiate da Gian Luigi Bravo. Qui non ci si «batte» a sangue, ma si benedice un pane destinato a curare tutti i mali. La cosa interessante è che i più attivi nell’organizzare le processioni non sono tanto i paesani quanto i pendolari, e anche quelli che da tempo vivono in città. Sono riti del ritorno. «E questo vale sia per i fenomeni che troviamo in Italia sia per quelli di ogni altra parte del mondo», fa notare Enrico Comba, che ha dedicato studi soprattutto agli indiani d’America. «E’ una tendenza mondiale che va di pari passo con la globalizzazione. Probabilmente è destinata a rinvigorirsi ancora, in parallelo alla ripresa della dimensione religiosa. Anche se la ritualità tradizionale non va necessariamente d’accordo con le forme ecclesiastiche, tradizionali anch’esse, ma di segno diverso». Siamo infatti a una religiosità di segno pagano. Una religiosità spuria, che sta in quell’area «grigia» del «non è vero ma ci credo», come suggerisce il professor Niola. E’ un po’ sopra le righe, erompe qui è là, si traveste da folklore, diventa volentieri un’attrattiva turista ma al fondo resta un’azione simbolica selvaggia e ostinata. E’ quella delle serpi di Cocullo studiata da Alfonso di Nola: nel paese d’Abruzzo si celebra la festa per San Domenico, che protegge dalla rabbia, dal mal di denti e dal morso dei serpenti, portati in processione a centinaia, avvinti alle statue e alle braccia dei fedeli. E’ quella della «preghiera a labbra salate», segretissimo rito per ottenere dalla Madonna la morte di una persona, diffusa secondo Niola nel Napoletano. Si mette un pizzico di sale sulle labbra, poi si procede riservatamente con l’invocazione: nessuno ammetterà d’averlo fatto, ma pare che a Pomigliano d’Arco, nel santuario della Madonna sorto sulle rovine di un tempio di Cibele, la dea madre mediterranea, si pratichi eccome. E’ quella ancora del collare ferreo di San Vicinio, custodito a Sarsina, patria romagnola di Plauto. Ci vanno gli indemoniati a infilare il capo, per essere liberati da diavoli e malefizi. In questo caso culto popolare e religione ufficiale vanno a braccetto. Pare infatti che lo usino anche i grandi esorcisti del Vaticano. Non si può dar loro torto. E’ come per un violinista, osserva Niola, suonare finalmente uno Stradivari. Mario Baudino