Fabio Pozzo, La Stampa 17/7/2008, pagina 27, 17 luglio 2008
La Stampa, giovedì 17 luglio L’Eterno è sposato, ha un figlio e un cagnolino yorkshire. E’ nato a Gavorrano, Comune minerario a 38 chilometri da Grosseto e abita a Roma
La Stampa, giovedì 17 luglio L’Eterno è sposato, ha un figlio e un cagnolino yorkshire. E’ nato a Gavorrano, Comune minerario a 38 chilometri da Grosseto e abita a Roma. Una volta la settimana vola a Napoli, dove da 24 anni ha la sua Versailles, Palazzo Sirignano, che ha voluto aprire al popolo ogni terza domenica del mese. Ma la Corte di Franco Pecorini, 67 anni, l’amministratore delegato - riconfermato per altri tre anni - di Tirrenia, la sgangherata compagnia di navigazione, ultima propaggine delle partecipazioni statali (è controllata al 100% da Fintecnica) va ben oltre i confini campani: altrimenti, non sarebbe riuscito a restare così a lungo al timone, sopravvivendo al cambio di ben 18 governi. Pecorini gode di appoggi in tutto l’arco parlamentare, di entrature in Vaticano (Wojtyla lo ha elevato alla dignità di Gentiluomo di Sua Santità, come Gianni Letta: il «collare» è forse la più alta distinzione che un Pontefice possa concedere a un laico e il privilegio resta a vita). Si dice sia ben messo anche con il ministro dell’Economia (che controlla Fintecnica) Giulio Tremonti e poi può contare sulla «lobby della Tirrenia». Quella che per il governatore sardo Renato Soru si compone «del sindacato, delle società che hanno appalti dalla compagnia, dal catering alla mantenzione, fino a tanti altri affari che definirei privati». Entrato giovane alla Rai, poi passato alla Finmare e quindi promosso alla guida di Tirrenia nell’84, quando Romano Prodi è presidente dell’Iri e Bettino Craxi premier (Pecorini era accreditato socialista), cavaliere del Lavoro dal 2001, vicepresidente della Confcommercio dal 2004, l’Eterno ha anche qualche nemico. Ha baruffato con l’ex ministro dei Trasporti Gianuario Carta, che lo voleva commissariare e non è stata certo una liaison quella con il successore Gianni Prandini. Bianchi pare l’avesse sfiduciato, ma l’Eterno smentisce. Soru non lo ama e così anche Confitarma, l’associazione degli armatori. Il presidente Nicola Coccia ha espresso pubblicamente «rammarico» per la sua riconferma alla carica di Ad. Con il decano degli armatori, Aldo Grimaldi, sono stati alti e bassi, mentre con Vincenzo Onorato è avversità profonda. «Voglio comprare Tirrenia per tenere tutti voi e licenziarne soltanto uno: Pecorini» avrebbe detto ai dipendenti della società-carrozzone il Mascalzone Latino. L’Ultimo dei boardi - per durata, naturalmente - nonostante tutto ha mantenuto salda la (sua) rotta, continuando a gestire la Tirrenia come un padre-padrone. Ordinando, ad esempio, alla fine degli Anni Novanta quattro traghetti superveloci per centinania di milioni di euro, che si sono rivelati anti-economici e costa meno tenerli fermi (soltanto uno è ancora operativo, dato in noleggio). Oppure, organizzando grandi feste per commemorare Santa Barbara, patrona della Marina. Magari dirottando una nave di linea per qualche giorno - con mancati ricavi, secondo quanto denunciato dalla Filt-Cgil di Genova - per ospitarvi ospiti eccellenti. Ma, anche e soprattutto, timonando una flotta che macina 200 milioni di euro di perdite l’anno e che è indebitata con le banche per oltre il 120% del fatturato, contributi pubblici compresi. Già, gli aiuti di Stato. La compagnia svolge un servizio pubblico, collega il continente alle isole, anche quelle più piccole come Lampedusa, d’estate e d’inverno. E per questo, riceve i denari che mettono a posto i suoi bilanci. Che, diversamente, sarebbero in profondo «rosso» e pronti per il tribunale. stato calcolato che nel 2007 - utile netto di 14,1 milioni, indebitamento di 716 milioni - avrebbe perso circa 73 mila euro a dipendente (considerando in 2836 il numero medio retribuito): la perdita pro capite di Alitalia, nello stesso anno, era di «soli» 25 mila euro. Da qui, l’appellativo per Tirrenia di Alitalia dei mari. La convenzione con lo Stato scade a fine anno. Ma ci si è affrettati a chiedere una proroga sino al 2012. Facendo imbufalire gli armatori privati, che accusano la compagnia-carrozzone di concorrenza sleale e l’hanno denunciata a Bruxelles. L’Ue deve ancora pronunciarsi, i sentori sono quelli di una bocciatura. Ma l’Eterno ha un asso nella manica: la privatizzazione. Disposta dal Dpef e dal decreto Tremonti, sarebbe dovuta suonare come il de profundis per Pecorini. «Nuova stagione, nuovi uomini» dicevano i suoi nemici. E invece, il governo gli ha rinnovato la fiducia: sarà lui il «traghettatore» che dovrà portare sul mercato Tirrenia, per la quale si sono già fatti avanti pool di armatori privati (Aponte, Grimaldi, Onorato), che vogliono discutere i termini della privatizzazione e - secondo i sindacati - «sperano di papparsi le linee più reddittizie, sulle quali sono già presenti, lasciando alle Regioni i rami secchi». L’Eterno dice che «non vuol svedere» la compagnia, e ha un suo piano per portarla «competitiva» all’appuntamento col mercato. In sintesi: 80% delle linee fuori convenzione (restano sovvenzionate solo quelle minori) che comunque deve restare sino al 2012 per sostenere la privatizzazione, 15 nuove navi in 5 anni più ristrutturazioni per un investimento di 320 milioni di euro, nuove corse tra Italia, Grecia e Turchia. E soprattutto, un accordo col sindacato (sull’emergenza Alitalia dei mari è fissato uno sciopero per il 25 luglio: «Chiediamo un tavolo di confronto col governo» dice Marco Montarsolo di Filt-Cgil Genova) che non prevede esuberi. A Napoli dicono che, in cuor suo, Pecorini vorrebbe restare al timone finché la Tirrenia avrà vita. Potrebbe farcela. Fabio Pozzo