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 2008  luglio 17 Giovedì calendario

Corriere della Sera, giovedì 17 luglio Paolo Giordano si rolla una sigaretta, tabacco Golden Virginia

Corriere della Sera, giovedì 17 luglio Paolo Giordano si rolla una sigaretta, tabacco Golden Virginia. Arrotola «a bandiera ». Dice che «è il sistema più evoluto di rollare», e la sigaretta viene perfetta, non bitorzoluta, storta. Perfetta, come tutte le cose che fa questo ragazzo che non ha ancora 26 anni. «Sono ancora nell’età di chi gli autografi li va a chiedere, e invece mi trovo davanti sempre più persone che mi chiedono di firmare le copie del mio libro ». Il primo autografo lui lo chiese a 14 anni, al concerto degli Skunk Anansie: «Aspettai a lungo dopo la fine, nel gruppo c’era ancora lei, la cantante Skin. Quando uscì le chiesi l’autografo». E ora, dodici anni dopo, è lui che viene cercato, che viene riconosciuto per strada. «Non credevo che una cosa così potesse succedere a uno scrittore. Meno che mai a me. Ogni tanto mi vien da ridere». Biondino, capelli corti, barba chiara non troppo lunga, occhi chiari, Paolo Giordano dimostra meno anni di quelli che ha. Che già sono pochi, e non solo per il Premio Strega vinto con il primo romanzo, La solitudine dei numeri primi, ma anche per la laurea con lode in Fisica teorica conseguita un anno e mezzo fa, con tanto di medaglia dell’Università di Torino. a metà del dottorato, a novembre deve presentare le domande per il post-dottorato all’estero. Due anni di studio e di vita preferibilmente in una grande città del Nord-Europa: «Berlino, Londra, Edinburgo, certo dipende dalla disponibilità dei posti, però vorrei avere intorno una città che offre molte cose». Ma la domanda la presenterà? «Sì, penso proprio di sì. Anche se ora questo fatto del romanzo, del premio, ha rimescolato un po’ tutto». La carriera del ricercatore di fisica teorica ha ritmi lenti, regolari: due anni in una sede all’estero, altri due in un altro paese, poi la possibilità di tornare in Italia con un contratto per l’Università. Niente a che vedere con il successo rapidissimo di un libro che uscito a fine inverno 2008 ha già superato quota 400 mila, che è già stato venduto in molti paesi, e da cui si farà un film (non si sa ancora il nome del regista, ma lui, Giordano, collaborerà alla sceneggiatura). DagoStrega. Come se non bastassero autografi e riconoscimenti per strada, ora comincia pure il gossip. Riprendendo notizie indiscrete di Novella 2000, martedì Dagospia titolava: «Paolo Giordano: "Strega" sì, fidanzata no». Alludendo al fatto che lui, il ragazzo prodigio, le vacanze di quest’anno le farà con la sorella Cecilia di tre anni maggiore di lui e due amici. Faccio vedere la stampata pettegola a Giordano. E chiedo: scusi, ma lei una fidanzata ce l’ha? Mi guarda strano, con l’aria di chi non capisce che c’entri. Poi, rollata a bandiera un’altra sigaretta, risponde. Educato e un po’ ingessato. «Dunque, una vera e propria fidanzata in questo momento non c’è. Anche se ora sono vincolato...». Strana parola, vincolato. «Voglio dire che sono in mezzo a qualcosa che è in fase di definizione. Però è qualcosa che conta. Se non viene in vacanza – Turchia, arrivo a Istanbul poi verso il Sud e da lì ritorno lungo la costa – è perché io all’inizio voglio costruire un’intimità, sono molto geloso degli ambiti di un rapporto. Solo quando sono sicuro, allora penso di iscrivere questa persona nel giro delle mie frequentazioni abituali». Anche la sorella Cecilia, aggiunge, fa questa vacanza senza il suo fidanzato. E prima di questo qualcosa in via di definizione? «C’è stata una fidanzata, una storia lunga e importante. Senza una convivenza, anche se da tre anni vivo da solo. finita un anno e mezzo fa, così come finiscono le storie. Ma abbiamo ottimi rapporti, frequentiamo le stesse persone». lei l’Eleonora della dedica del romanzo («A Eleonora, perché in silenzio te l’avevo promesso»)? «No, Eleonora era un’amica del liceo». E i ringraziamenti dell’ultima pagina? «Ci sono persone della Mondadori – Antonio Franchini, Joy Terekiev – ci sono molti della Scuola Holden, insegnanti – come Pietro Grossi, Emiliano Amato – e compagni di corso». In cima a tutti c’è il nome di Raffaella Lops senza di cui «questo libro non ci sarebbe stato». «Raffaella ha più anni di me, francesista, insegna, però si era iscritta anche lei ai corsi Holden: voleva conoscere di più il mondo editoriale. Lei ha letto i miei racconti, mi ha consigliato, mi ha fatto da editor. E da agente: lei ha mandato i racconti a "Nuovi Argomenti", poi mi ha spinto a scrivere il romanzo». Che, dopo un passaggio da un piccolo editore, è arrivato alla Mondadori. Il 4 ottobre dell’anno scorso Antonio Franchini telefona a Giordano, lo chiama a Milano. Giordano ha un titolo ( Dentro e fuori dall’acqua), Franchini invece vuole La solitudine dei numeri primi. La spunta Franchini, e il resto è storia. Torino o cara. Chiuso il capitolo pettegolo, parliamo di Torino. «Sono di San Mauro Torinese, un comune della prima cintura, sotto Superga. Fino a tre anni fa vivevo con i miei, poi mi sono preso un appartamentino per me. Ma sempre a San Mauro. Ho studiato al liceo scientifico Gino Segré, poi mi sono iscritto all’università, facoltà di Fisica». Cinque anni, media del 30. Aveva pensato di fare filosofia, «mi piaceva molto Kant, però mi è mancato un professore in grado di appassionarmi». Che è invece successo con la matematica. «Devo tutto alla professoressa Borello, un’insegnante carismatica che mi ha dato l’imprinting giusto». Intorno c’è la Torino anni ’90. «Ero troppo piccolo per vivere la "caduta" della città, il tramonto del sistema Fiat, la fine di una egemonia culturale legata all’Einaudi, all’intellighenzia di sinistra. Però ho vissuto la rinascita di Torino». La città dei Murazzi, di piazza Vittorio? «Sì, quella dei gruppi musicali tipo Subsonica o Marlene Kuntz. Della Scuola Holden». Dove poi si iscrive per due corsi esterni nel biennio 2006-2007. « una città che maneggio bene, che mi offre molte più cose di quante poi riesco a fare. Oggi sento ragazzi di altre parti d’Italia che quando parlano di Torino dicono: è una bella città. Prima, nessuno lo diceva mai». Esperienze politiche? «Nessuna. In famiglia si facevano discussioni politiche, ma emotivamente non ero interessato. Come i ragazzi della mia generazione». Ora, dice, si sta formando una coscienza politica. Alle ultime elezioni ha votato. Il giovane Holden. Perché va alla Holden? «Perché mi ero messo a scrivere». Quando? «Alla fine dell’università. Prima facevo musica. A sei anni cominciai a prendere lezioni di chitarra: classica prima, poi moderna e jazz. Ero molto preso dalla musica dell’indie-rock anni ’90. Seguivo Mtv, ascoltavo fra gli italiani i Marlene Kuntz, gli Afterhours, i Baustelle». Un’esperienza di formazione? «L’album Grace di Jeff Buckley». A tredici anni gli regalano una chitarra elettrica, una Ibanez Steve Vai. «Poi l’ho venduta, ma ancora conservo una Fender, una Yamaha e una Ovation acustica. A un certo punto, comunque, lascio la chitarra: con un amico, al computer, ci mettiamo a creare musica elettronica. Una sorta di sperimentazione teorica, pezzi che non uscivano dal nostro studio, cose al limite dell’ascoltabile». E perché smette? «Perché ero arrivato a un punto morto. Ci avevo dedicato moltissime energie, ma non vedevo sbocco. stato come chiudere con una ragazza quando ti accorgi che non sei più innamorato. Certo, ti restano le serate vuote, ti mancano le abitudini: ma lei non ti manca più». Così ecco la scrittura. «Scrivo dei racconti, rigorosamente inediti. Li leggevo solo io, era un rapporto troppo ombelicale. Così, pensai, c’è questa scuola di scrittura a Torino, perché non provare?» Baricco l’ha mai incontrato? «A scuola mai, io non frequentavo i master, lui si occupa di quelli. La prima volta che ci siamo visti è stato poche settimane fa, all’aeroporto: andavo a Roma per Massenzio, scambiammo poche frasi ». Lui ha detto in un’intervista che il suo libro non l’ha finito di leggere. «Spero che ora l’abbia finito». Di certo, aggiunge Giordano, deve alla Holden l’incontro con Raffaella Lops, ma la scuola è rimasta assolutamente «collaterale». Il libro è nato e cresciuto fuori. Letto visto ascoltato. Come lettore, Paolo Giordano ha una formazione americana. I suoi autori preferiti sono David Foster Wallace, Raymond Carver, Michael Cunningham. Attualmente, che cosa legge? «Javier Cercas, I soldati di Salamina ». Libri che detesta? « Il piccolo principe e Pinocchio: questi bambini con messaggio non li tollero». Cinema. «Amo American Beauty di Sam Mendes, La promessa dell’assassino di David Cronenberg, In questo mondo libero di Ken Loach e Il treno per Darjeeling di Wes Anderson. Detesto Solo un bacio, per favore di Emmanuel Mouret e questo genere di film vetero-francesi». Tra gli italiani Gomorra e Il divo, preferisce Gomorra, anche se non ha ancora letto il libro. Musica: odia James Blunt e proseliti («strappalacrime inglesi») e l’inutile riciclo degli arrangiamenti jazz anni ’60. Non tollera il revival, quindi non considera neppure il ritorno delle musiche degli Abba. Apprezza moltissimo Bjork. Fra gli italiani, due no secchi: Pino Daniele e Biagio Antonacci. Titoli di coda. «Nella sera dello Strega mi è dispiaciuto di non riuscire a ringraziare pubblicamente Raffaella Lops, che era lì con i miei genitori e mia sorella. Ero così confuso... Il ricordo che mi porterò dietro è il saluto di Ermanno Rea, dopo la proclamazione del premio: mi ha stretto la mano e mi ha detto: Bello guaglione!». Ranieri Polese