Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  luglio 17 Giovedì calendario

A Miami il glamour non c’è più. La Repubblica 17 luglio 2008 Pochi luoghi o non-luoghi al mondo possono apparire «superati» come Miami, senza neanche più considerazioni periodiche o d´occasione sul déjà vu

A Miami il glamour non c’è più. La Repubblica 17 luglio 2008 Pochi luoghi o non-luoghi al mondo possono apparire «superati» come Miami, senza neanche più considerazioni periodiche o d´occasione sul déjà vu. Corsi e ricorsi di età dell´oro e decadenze squallide, ricchezze ostentate e teppismi pericolosi, gangsterismi alti e bassi, vie della droga, baccanali più o meno sofisticati e volgari, confronti non sempre brillanti con Palm Beach e Fort Lauderdale e altre lunghe file di palme eterne e condomini di lusso e ville o casette di architetture e tintarelle molto caratteristiche davanti a spiagge spesso definite «dorate» e «stellari», su un oceano dei più moderati. Luoghi comuni che tuttavia andranno visti almeno una volta per tutte, come le cascate del Niagara? Proviamo. Fra le case dei ricchi e famosi e delle «glamorous celebrities», coi turisti devoti che le fotografano, ecco gli immensi grand hotel ieri e oggi più top e hip e de luxe, tanto esaltati dalle guide di tendenza quali ”mammuth´ e ”behemot´ super-lussuosi e super-mostruosi, oltre che super-trendy e super-chichi. «Pura decadenza cubana Art Déco», sembra il più alto elogio. Sale e stanze e piscine e lobbies ultra-cool firmate e griffate da celeberrimi decoratori leggendari o contemporanei. Tutto ”iconico´ e cinematografico, riunendo il feeling di «le Bellezze al Bagno si esibirono qui», alla certezza del «questo è il posto must dove farsi vedere adesso». Pareti di luci soft, divani giganteschi, collages di foto balneari artistiche, tendaggi a pieghe bianche in ambienti alti come vecchie stazioni, battito di rock perenne come per aiutare le pulsazioni cardiache, stuoli di valletti abbronzati in divise da rivista. I ristoranti più ”in´sono un giapponese e un toscano, altrettanto tipici. Ma le clientele e le pastasciutte sono analoghe. Tavolate di omaccioni corpulenti con camicie sbracate sugli addomi gonfi. E qualche vecchia velina scarnificata dagli interventi estetici; qualche esperta seduttrice tipo Giuditta o Dalila. Ma le rugose e le prosperose possono parlare pochissimo. Gli omaccioni sono affaccendati a spartirsi mazzette molto grosse di bigliettoni da cento dollari, sulla tovaglia, tra i cibi, scherzando su come trasferirli qua o là. Conteggi, evidentemente su incassi di giornata. Scherzano ridanciani, a voce altissima. «E i siciliani?». «Stanno tutti al gabinetto, con le pistole». «Ce stanno più italiani qua che nel Vaticano». Parecchi obesi portano cappellacci neri da vecchi fans di Bob Dylan, mangiando fra i dollaroni. * * * Appena fuori, nel cuore della trendissima South Beach, tutto appare notevolmente economico. Chilometri di bistrò e pensioncine familiari coi tavolini fuori e i tanti rock «di vita» che si mixano. Nelle vie storiche e tipiche dello shopping pedonale, parecchie botteghine tipo «Matteo di Milano», «Taddeo di Firenze», «Gianni di Venezia», ma sorprendentemente nessun negozio o emporio delle marche italiane o francesi più presenti di solito nelle strade eleganti e negli aeroporti. Soprattutto famigliuole a passeggio, con i gelati. E vecchi o nuovi fans, disillusi nella caccia alle irraggiungibili star d´oggidì, ma piuttosto in cerca delle antiche residenze delle celebrità morte, che hanno fatto guadagnare tanti soldi anche ai tabloids, ai magazines, al web. Nella notte, posti signorili e fini talmente bui che si può andarci in camicie sporche e barbe malfatte e calzoni luridi. Poi occorre una lampadina perché il menu è ton-sur-ton. * * * Italiani e cubani, benché diversamente esuli, sembrano molto simili, e affaccendati nei medesimi traffici. Parecchi però saranno messicani, con le stesse pelli scure e i capelli nerissimi in gel e codini. Identici nella movida ai coatti romani, e magari senza ideologie come tanti immigrati da noi. Però lavorano parecchio nei locali e cantieri. Quasi tutti uomini. Dove saranno le belle mulatte? A fare le mignotte? («Non s´ebbe tempo»). Le guide più cool e trendy indicano vaste aree pericolose anche di giorno, in zone più o meno demolite e deserte con nomi tipo Little Havana, Little Haiti. Con l´intenzione civica di redimerle, ecco dei quartieri - fantasma appositamente costruiti fra superstrade e svincoli, segnalati per i fitti stuoli di drogati temibili. * * * La città di Miami e i suoi maggiorenti, e le popolose comunità contigue, cercano da tempo di recuperare il glamour degli anni Trenta, dopo le disastrose ondate di boat people (o ”malavita´, secondo Castro) dal vicinissimo dinosauro cubano; e le battaglie razziali e stradali fra bianchi e neri negli anni Settanta e Ottanta. Progetti ambiziosi e prestigiosi, nel tentativo di promuoversi nella categoria delle Grandi Città, però sempre in ritardo o in anticipo, secondo i testimoni e i risultati. L´annuale trasferta americana della grandiosa mostra - mercato di Basilea richiama qui per qualche giorno un gran numero di mercanti e collezionisti per incessanti e insonni ricevimenti di mondanità e affari, con abiti e sfoggi miliardari commentati per mesi. Ma poi non rimane che un trantran di gallerie locali con sottoprodotti del Novecento per arredare i condomini ”modernisti´. E i musei dei mecenati, in edifici magnifici e pieni d´uffici curatoriali, espongono soprattutto foto ”vintage´ di esterni e interni dei grandi alberghi poi demoliti. O collezioni d´oggettistica démodée come se ne può trovare in un giro completo di Porta Portese. * * * Preoccupante sembra piuttosto la voragine di spese per l´immenso complesso dell´opera e dell´auditorium, costruiti dall´architetto Cesar Pelli (rifacitore del Moma a New York) e inaugurato un paio d´anni fa. 2400 più 2200 posti, e nessun garage. Quindi, parcheggi anche lontani, in una zona di nota ladreria. E davanti, aree demolite e un club tipo minaccioso loft. Si chiama Carnival Center, perché il massimo sponsor è una linea di crociere Carnival, e le sale sono intitolate ad altri donatori. Quella per opera e balletto è piuttosto bella, meglio del Metropolitan di New York o del Comunale fiorentino: con tre gallerie discrete e quattro ordini di palchi, in riposanti colori giallo-crema. L´acustica è ingiudicabile, perché i cantanti sono microfonati. E la hall dei concerti, con le sue leggere balconate a semicerchio, è certo più elegante dell´Opéra Bastille o dell´Auditorium romano. Anch´essa priva di organo, mi pare: quindi off limits per Bach e Messiaen, nonché per varie composizioni di Händel, Franck, Bernstein. I programmi sono molto assortiti. Una tradizionale stagione della Florida Grand Opera (senza purtroppo la sua Florida Philarmonic, fallita nel frattempo) con I pescatori di perle, Così fan tutte, e La Bohème, lanciata come ispiratrice di Rent, successo a Broadway. Parecchi Broadway hits con le compagnie di giro, appunto. Il Miami City Ballet. The Cleveland Orchestra come ospite residenziale, con celebri solisti. Poi, un festival del Flamenco, di Bossa Nova, di Perù Negro. Recitals di cantanti popolari. Balletti e varietà di Moiseyev e dei Monty Phyton, Carmina Burana, Balanchine, Lang Lang, 1000 Homosexuals commissionato da ”Camposition´per un teatrino annesso, spettacoli per bambini, «and more!». Il guaio è che manchino il marketing e la pubblicità, forse. Di fatto, ci va poca gente, l´area rimane decrepita, molti non sanno che il Center esiste, o non hanno mai sentito nominare Itzhak Perlman o Radu Lupu, e i blog degli attivisti civici protestano che ben altri sono i problemi, in una comunità bisognosa. Alberto Arbasino