Corriere della Sera 16 luglio 2008, PIERLUIGI PANZA, 16 luglio 2008
Se piove nella casa dell’archistar. Corriere della Sera 16 luglio 2008 Non è colpa della Triennale se oggi gli architetti sono questi! Semmai dei curatori dimentichi che, talvolta, piove
Se piove nella casa dell’archistar. Corriere della Sera 16 luglio 2008 Non è colpa della Triennale se oggi gli architetti sono questi! Semmai dei curatori dimentichi che, talvolta, piove. Già, abbiamo una notizia da dare agli architetti: talvolta, nel mondo, piove. Per questo c’erano i tetti o le giunture sigillate. Se ne sono accorti i berlinesi quando hanno visto che nella cupola di vetro del nuovo Reichstag di Norman Foster i giunti non erano sigillati a dovere. E gli hanno fatto causa. Poi è stato la volta del rettore del Mit a Boston ad accorgersi che nei nuovi dipartimenti progettati da Frank Gehry pioveva dentro. E gli ha fatto causa. Nelle scorse settimane è stata la volta del padiglione americano all’Expo di Siviglia dedicata all’acqua: appena è piovuto, il fiume Ebro è esondato e ha sciolto il padiglione Usa. La Triennale di Milano non voleva essere da meno rispetto a questo trend. E si è inserita con l’esposizione in corso «Casa per tutti» (catalogo Electa) a cura di Fulvio Irace (Politecnico e critico del Sole 24 Ore) affiancato da Carlos Sambricio (storico dell’architettura). Irace aveva così spiegato il senso dell’esposizione: «Dalla modernità abbiamo ereditato un’idea di casa fondata sulla divisione rigida tra classi sociali. Oggi viviamo in una società fluida, le classi sono state sostituite dai gruppi, il lavoro a tempo è il simbolo di una "stabile instabilità". Le nostre case temporanee sono pensate per studenti fuori sede, single, neoseparati che devono trovare una rapida soluzione, extracomunitari, rom... Quindi case di emergenza». I prototipi di queste nuove «case » d’emergenza e popolari sono esposti nel giardino della Triennale e, da catalogo e brossura, dovrebbero essere nove. Ce ne sono sette. Una delle più interessanti, quella progettata da Cino Zucchi, è rimasta solo sul catalogo: non si è riusciti a realizzarla. «Il mio prototipo’ racconta Zucchi – piaceva molto all’Eni, sponsor della mostra. Ma poi ci sono stati problemi, si è tardato a fare l’ordine. Poteva essere aggiunta all’inizio di luglio a mostra iniziata. Ma non se n’è fatto niente». La casa a tempo – ipotizziamo per separati o extracomunitari – proposta dal sopravvalutato architetto giapponese Kengo Kuma è una tenda bianca a igloo così mal montata che nemmeno un boyscout al primo campeggio potrebbe far peggio. Infatti ci è piovuto dentro, gli attrezzi disposti all’interno sono spariti e adesso vi cresce l’erba sui bordi. Peraltro la tenda è bianca proprio come il tendone che ha alle spalle e che l’ignaro visitatore può credere sia un altro prototipo di casa temporanea: invece è la struttura di plastica che copre i «Bagni misteriosi» di de Chirico in corso di restauro. Se si passano poi in rassegna le altre proposte, ad eccezione di quella effettivamente ben realizzata da Massimiliano e Doriana Fuksas, troviamo un paio di piccoli chalet svizzeri. Considerato che, a Celerina, Mario Botta ha proposto un grattacielo, c’è da prevedere che, in futuro, vedremo grattacieli in montagna e chalet in città. Delle altre «invenzioni» c’è poco da aggiungere: la prima, di Andreas Wenning, è una scala a pioli appoggiati a un albero su cui rifugiarsi in stile Barone rampante: è una citazione dei vecchi archetipi dell’architettura (già vista con «Treehouse » di Baum Raum nel 2002) alla quale si può rivolgere l’ironica battuta mossa da Voltaire a Rousseau: « lui l’uomo che vorrebbe farci tornare a vivere su quattro zampe»! Qualcosa di analogo si può dire anche per la capanna in paglia intrecciata, con il tetto imbarcato a causa dell’acqua, proposta da World Shelters. Resta il progetto di casa di Alejandro Aravena, con pareti in eternit (sic!). Le case, ci fa capire la mostra, sono come un abito: leggere, mobili, rapide, aggregabili, macro o micro come un perizoma, d’emergenza e per poveri cristi; ma dovrebbero essere pur sempre case! Scriveva Benjamin, «la casa è la patria»; non basta una tenda o un albero! E poi devono proteggere dalla pioggia. Lo immaginava già Vitruvio; architetti, storici e curatori dovrebbero saperlo: uno degli archetipi della disciplina sono due mani sopra la testa del primo uomo per ripararsi dalla pioggia. Rispetto alla X Triennale sulla «casa prefabbricata» (1954) è un passo indietro. Architetti, purtroppo, ogni tanto piove. PIERLUIGI PANZA