Libero 13 luglio 2008, Mattias Mainiero, 13 luglio 2008
I girotondi di Scognamiglio tra buoni partiti e palazzi. Libero 13 luglio 2008 Carlo Scognamiglio Pasini, Carletto o Carlino per gli amici, è un sessantaquattrenne professore dalla flemma olimpica
I girotondi di Scognamiglio tra buoni partiti e palazzi. Libero 13 luglio 2008 Carlo Scognamiglio Pasini, Carletto o Carlino per gli amici, è un sessantaquattrenne professore dalla flemma olimpica. Lo chiamano ”ghiacciolo”, forse perché, cascasse il mondo, lui rimane imperturbabile. «Diciamo che non ha un basso concetto di se stesso», spiegò una volta, con il suo solito umorismo, la moglie Cecilia. Probabilmente Carlino o Carletto che sia ritiene semplicemente che il mondo che casca si stia inchinando ai suoi piedi in segno di rispetto: perché dovrebbe preoccuparsi? Ci sono due cose, però, che non riesce a mandare giù. La prima è quella dei matrimoni importanti. La seconda è la storia del voltagabbana. Pochi giorni fa l’ho sentito per telefono. Ho fatto la carogna: presentazioni, complimenti, un po’ di amarcord e le due osservazioni che gli fanno drizzare il ciuffo. Chiedo scusa al professore, che comprenderà. Per essere compreso anche da voi: non mi andava di riempire una pagina di giornale riassumendo studi e laurea con lode, carriera alla Bocconi e alla Luiss, presidenza (anche del Senato) e vicepresidenze varie, ponderosi saggi e Lucio Colletti che una volta sbottò: « un dandy, non un uomo politico». Diamine, non lavoro alla Gazzetta Ufficiale. Per la verità, avrei potuto anche raccontarvi (come racconterò) di quella volta in cui a Palazzo Madama, discorso di investitura, Carlino o Carletto infilò una mano in tasca e la tenne per tutto il tempo. Non si è mai saputo se stesse facendo gli scongiuri o volesse dimostrare imperturbabilità anche da seconda carica dello Stato. O forse i dandy fanno così, non saprei. Ma il Senato e la mano in tasca sono una parentesi. Andiamo al resto. I due punti deboli I matrimoni. Il primo, dal quale sono nati Filippo e Thea, è quello con Delfina Rattazzi, figlia di Susanna Agnelli e del conte Urbano Rattazzi. in qualche modo la storia d’Italia: Suni, la Fiat, l’Avvocato e lì vicino i Caracciolo di Castagneto. Il secondo, complice Portofino e due ville quasi confinanti, è quello con Cecilia Pirelli, amatissima figlia di Leopoldo e prima moglie di Marco Tronchetti Provera. Resta la storia d’Italia. Un’unione discreta, quella con Cecilia, all’inizio con case separate, pochi ricevimenti per pochi. Poi la prima uscita allo scoperto, l’ufficialità. Dove, direte voi? Ma che diamine: Scognamiglio Pasini e Cecilia di Leopoldo Pirelli, mica due così. La prima volta fu al cocktail annuale nei giardini del Quirinale. Cecilia era tutta vestita di turchese. La seconda - racconta Lina Sotis, regina delle prime e seconde uscite - «con un elegantissimo invito a nome Pirelli quando Carlo Scognamiglio si presentò per il Partito Liberale alle Politiche del ”92». Sulla terza non so dirvi: Lina Sotis non mi ha dato una mano. Ha solo scritto che i due sono divisi e uniti dall’amore per la musica. Motivo? Lei è abbonata alla Filarmonica. Lui è un grande appassionato di musica operistica e conosce a memoria tutto il libretto del Rigoletto. Chissà perché la musica li divide, mica uno dei due va pazzo per Mario Merola o Nino D’Angelo. Lina Sotis non mi illumina neppure sulla passione di Carletto per il golf. Per fortuna, mi racconta tutto un suo amico (anonimo). Ma lo fa indirettamente, parlando della scorta che ogni volta doveva seguire il professore che a bordo dell’apposita macchinetta si spostava in lungo e il largo per il campo da golf. Buche, palle e mazze blindate e guardie del corpo, si presume, a piedi, per evitare il caos da traffico di macchinette. la difficile vita dei vip. E soprattutto della scorta golfista. «Professore, però non si può dire che lei non sia imparentato bene». Un ghiacciolo è un ghiacciolo, anche quando manda a quel paese: «Però, la stessa cosa vale per le mogli». Ineccepibile. Perché lui, cari lettori, non è solo Carletto o Carlino: è proprio Carlo Scognamiglio Pasini, cognome doppio e padre armatore a Genova, anche se Carletto, 27 novembre dell’anno 1944, nacque a Varese perché la famiglia era sfollata lì per motivi di guerra e non perché i figli degli armatori nascano sui laghi. E per favore, che nessuno dica che Scognamiglio è cognome napoletano. la solita storia dei due rami: quello di giù e quello di su. «Rami tirrenici, come i Grimaldi», sintetizza il professore, che da Varese traslocò a Milano e lì, probabilmente con i calzoncini ancora corti, divenne un bocconiano. Ci siamo capiti. Il voltagabbana. Eh no, questa è peggio delle mogli. Scuse doppie al professore, che capirà di nuovo (speriamo). Carlo Scognamiglio, esponente della prima ora del Polo delle Libertà contro il quale il Polo delle Libertà ne ha dette poi di tutti i colori, non ha mai cambiato idea. Verissimo: fu eletto senatore nel ”92 con il Pli (collegio Milano 1, 5.221 voti), fu riconfermato senatore nel ”94 con il Polo, divenne presidente del Senato con Berlusconi al governo, fu rieletto nel ”96 sempre con il Polo, poi passò con l’Udr di Cossiga, divenne ministro della Difesa con D’Alema, si candidò (senza fortuna) con la lista della Democrazia Europea di Sergio D’Antoni, si schierò (sempre senza fortuna) alle Europee con il Patto Segni-Scognamiglio e oggi è presidente del ricostituito Pli. «Presidente del consiglio nazionale del Partito Liberale Italiano», puntualizza Scognamiglio. Insomma, presidente. Nella prima repubblica avrebbero detto che s’è fatto tutto l’arco costituzionale, con viaggetti di andata e ritorno e pit-stop sulla più alta poltrona del Senato. Nella seconda, non dicono quasi più nulla. Forse perché in Parlamento Scognamiglio non siede dal 1996. O forse perché ne hanno già dette troppe. Uno fra i tanti, Maurizio Gasparri, che sa essere velenoso come pochi: «Abbiamo eletto un liberale talmente liberale da dimenticarsi anche chi lo ha eletto». Voltagabbana però no, quello a Carlo Scognamiglio non si può dire. Oppure sì. Ma dovete beccarvi questa ricostruzione storico-politica dell’Italia post Mani Pulite. Cambiamenti obbligati Studenti della Luiss (dove Scognamiglio è stato rettore), prendete appunti. Lettori di Libero, non arrabbiatevi. La ricostruzione storico-politica made Scognamiglio (con qualche nota del sottoscritto): lui era e rimane liberale. Persino la sua barba, da vecchio pensatore di un tempo, è simil-liberale. Solo che in Italia succedono cose strane, e gli uomini, senza cambiare, sono costretti a cambiare. Successe che il ciclone Mani Pulite investì i partiti e distrusse il Pli. Un omicidio politico, di cui nessuno ha mai risposto. E così Scognamiglio e altri storici liberali come Martino, Costa e Biondi confluirono nel Polo laddove rappresentavano, ovviamente, la corrente liberale. Coerente. Sempre da liberale, Scognamiglio divenne anche presidente del Senato e si ricandidò con il Polo. Di nuovo coerente. Le cose si ingarbugliano dopo, quando un coerente liberale si schiera con l’Udr di Cossiga, che è un ex dc. E si complicano ancora di più quando il liberale diventa un po’ rosso con D’Alema. Ma la scienza politica ha sempre una spiegazione: «Con l’uscita di Bertinotti si fece un governo di coalizione nazionale con due obiettivi: il primo era quello della Finanziaria e dunque dell’ingresso dell’Italia nella moneta unica, il secondo la questione Kosovo. E per questo io e Cossiga entrammo nel governo D’Alema, che era un governo di coalizione di centro-sinistra». Centro-sinistra: mi raccomando, col trattino. Se non ci fosse stato quel trattino, lui non sarebbe entrato. Tant’è vero che quando finì il primo governo D’Alema e il trattino passò a miglior vita, con il centro che si accostò ancor di più alla sinistra, Scognamiglio, a differenza di Mastella, se ne andò. Benedetti trattini, e noi che pensavamo che servissero solo per indicare il segno meno o qualche inciso nel discorso. Per esempio: sono un liberale che ogni tanto diventa meno liberale. Oppure: sono e rimango liberale, con un inciso nella mia vita di liberale. Macché. Grazie ad un trattino, lui non è un voltagabbana. E noi gli crediamo. Però non sappiamo perché i maligni abbiano scritto che è sceso in campo a favore di Claudio Burlando, genovese ex Ds oggi Pd. Pensava che si trattasse di Claudio trattino Burlando? Dimenticavamo, la storia della mano in tasca. Carina. il 16 aprile del 1994. A contendersi la poltrona di Palazzo Madama sono Carlo Scognamiglio Pasini e Giovanni Spadolini. Carletto e Giovannone. Il liberale sostenuto dal Polo e il repubblicano sostenuto dalla sinistra (o forse dal centrosinistra, fate voi se con o senza trattino). Alla terza votazione c’è parità perfetta: 159 a 159. Alla quarta, c’è un piccolo patatrac senatoriale con doppio applauso. Presiede Francesco De Martino, senatori presenti 325, votanti 325. Parità, almeno così pare. Spadolini, candidato più anziano, proprio in virtù della maggiore età, è sulla poltrona che è già stata sua. Primo applauso e abbracci, strette di mano. Il solito rito. Ma un giovane senatore di centrodestra chiamato a svolgere le funzioni di segretario non è d’accordo. Sventola una scheda e fa il segno di vittoria. De Martino proclama eletto Scognamiglio. Nuovi applausi e abbracci, strette di mano. Era capitato questo: una scheda inizialmente dichiarata nulla era stata convalidata. Sopra c’era scritto: «ScognaMIGLIO». Che era, così si stabilì, proprio Scognamiglio nonché Pasini nonché Carletto. Nulla a che vedere, insomma, con un burlone che aveva reso nulla la scheda o con un inesistente senatore di nome Scogna e cognome Miglio (per inciso: Miglio era all’epoca senatore della Lega Nord, nonché ideologo e consigliere di Bossi). E Carlo lo Smilzo salì sulla poltrona più alta del Senato. Giovannone uscì dall’aula accompagnato dai commessi. Poco dopo morirà. La leggenda dice che fu per via di quella sconfitta. La medicina parla di un brutto male. «Colpa mia - disse Carlo Bo da Milano -. Colpa mia che stavo troppo male per andare a votare». Francesco De Martino invitò tutti alla calma: «Non è mica la presa della Bastiglia». La mano sempre in tasca Non lo era. Ma il Senato era stato espugnato, Carlo Scognamiglio Pasini era stato eletto e il Polo governava. Durante il discorso di investitura, il presidente parlò a braccio. Un solo braccio. L’altro aveva la mano nella tasca dei pantaloni. Posso garantirlo: mano immobile. Se aveva deciso per gli scongiuri, il presidente aveva anche deciso per le corna. Esclusi differenti sistemi anti-jella. Altri tempi, ora il Polo diventato PdL governa e ha il Senato. E Scognamiglio non c’è. Qualcuno, in Forza Italia, non deve aver capito bene il discorso del voltagabbana che non volta perché rimane liberale. Glielo spiegheremo meglio, grazie ad un altro forzista della prima ora. Guarda caso: anche il prossimo personaggio della nostra galleria di fiamme azzurre bruciate era ed è liberale. Come Scognamiglio. Ma non è mai stato con D’Alema. E oggi non è neppure nel governo Berlusconi. E dire che la tessera numero 2 di Forza Italia (ricordate il giallo dei numeri?) è proprio la sua. Non di Urbani. Sua al cento per cento, con tanto di documentazione ufficiale. Che, per ora, non sveliamo. Una sola anticipazione: sarà un ritratto divertente, insolito. Parlerà anche di bontà, che in politica è merce rara. Dovete leggerlo. Mattias Mainiero