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 2008  luglio 13 Domenica calendario

Divina stonata. Corriere della Sera 13 luglio 2008 La sua specialità era l’aria della Regina della Notte

Divina stonata. Corriere della Sera 13 luglio 2008 La sua specialità era l’aria della Regina della Notte. Avvolta in veli neri tempestati di stelle, s’inerpicava intrepida su su per le insidiose note del Flauto magico, arrancava nei gorgheggi, si contorceva in sussultanti arabeschi... Finché, in un franando inesorabile di strilli agghiaccianti, miagolii di gatti in amore e gessetti strisciati sulla lavagna, Florence Foster Jenkins portava a termine la sua performance, sprezzante del pericolo, indifferente al dimenarsi delle ossa mozartiane nella tomba. Sorda ai boati, ai fischi, alle risate e alle pernacchie che, durante e dopo piovevano, dai palchi alla platea, su di lei. In quei volti paonazzi di sdegno o di ilarità, in quello sbracciarsi scomposto del pubblico, Florence vedeva solo entusiasmo, ardore, ammirazione per la sua arte. E difatti passò alla storia come l’«altra» divina della lirica, o anche, la più grande cagna della storia dell’opera. Un fenomeno da baraccone così estremo da diventare oggetto di culto nelle platee americane, che la seguirono nella sua trentennale carriera, iniziata nel 1912 (l’anno in cui affondò il Titanic) e conclusa il 25 ottobre 1944 con un trionfale concerto alla Carnegie Hall. Jenkins aveva 76 anni. Morì un mese dopo. A farne rivivere il mito, tuttora in auge tra i melomani oltranzisti del kitsch, e a renderne insieme ironico omaggio è ora Katia Ricciarelli, soprano dalla voce di indubbio fulgore, che la interpreterà in Gloriosa, pièce di Peter Quilter, dal 17 luglio in prima italiana al Festival di Borgio Verezzi, regia di Enrico Maria Lamanna; nel cast anche Fioretta Mari e Gianni Garko. «Un personaggio assurdo e affascinante, a suo modo una leggenda», assicura Katia, ben consapevole delle incognite di tale avventura. «Imitarla non è facile. Florence è al di là di qualsiasi stonatura. Anche se sto provando a forzare la mia voce in acrobazie contronatura temo che non riuscirò mai a raggiungerla ». Eppure, nonostante tutto, madame Jenkins ebbe successo. Come lo spiega? «Con la determinazione cieca e sorda che l’accompagnò tutta la vita. Florence era convinta della sua grandezza, non ha mai immaginato, neanche per un attimo, che la sua voce non fosse quel suono celestiale che lei, e lei sola, assaporava nella sua testa. Suo padre, che invece la sentiva così com’era, tentò di dissuaderla da quella insana passione, minacciandola di tagliarle i viveri se si fosse esibita in pubblico. Ma lui morì presto e Florence, erede di una cospicua fortuna, non ebbe dubbi su come investirla». Insomma, si pagò il suo hobby. «Finanziò di tasca sua concerti privati, prima in saloni d’alberghi, poi nei teatri. A darle manforte, il suo compagno, un attore inglese di scarso successo, e un pianista che, dopo lo spavento iniziale, si lasciò sedurre dalla singolare personalità di quella donna. Che del resto ebbe tra i suoi fans artisti veri, da Cole Porter a Enrico Caruso». «Cara signorina Jenkins – si complimentò quest’ultimo dopo averla ascoltata ”. Sono sicuro che in questa sala non si era mai udito nulla di simile». Lei naturalmente lo prese per un complimento e lo raccontò a tutti. Ma anche quando si usciva di metafora, e le critiche fioccavano pesanti, Florence non si dava pena: «La gente può dire che non so cantare, ma nessuno potrà mai dire che non ho cantato», replicava. Certo, tra tutte le platee quella lirica può essere la più feroce. Ricciarelli ne sa qualcosa. Nonostante siano passati tanti anni, non dimentica una terribile serata alla Scala: travolta da fischi e buu durante Luisa Mil-ler, Katia reagì in malo modo. «Una sola serata disgraziata in tutta una carriera felice, però basta a far tornare l’amaro in bocca. Anche noi cantanti siamo esseri umani, forse più fragili di altri. A volte basta un malessere, un dispiacere, per incrinare la voce più bella. E alla fine, anche se tutti applaudono e fischia uno solo, tu senti solo quello», confessa Katia contenta di aver trovato nel cinema una seconda carriera. Dopo il successo de La seconda notte di nozze, ha appena terminato il nuovo film di Pupi Avati, Nel tepore del ballo: «Un omaggio a quando al sabato si andava a danzare. Io adoravo il rock’n’roll e non mi perdevo nessuna di quelle feste casalinghe a base di dischi, pane, salame e fischi di vino». Tornando a Florence, stravagante e squinternata in tutto, lo era persino nei costumi, che – ricorda Ricciarelli – disegnava personalmente comparendo in scena ora vestita da angelo, con tanto di ali e paillettes, ora da danzatrice di flamenco, scialle e sottana a balze, un cesto di garofani da lanciare agli spettatori che, estasiati, a ogni tiro applaudivano e gridavano «olè». Toilettes iperboliche che Katia a sua volta indosserà nel corso dello spettacolo, centrato sull’ultima parte della vita del bizzarro soprano. «Che qui però non sarà vista solo dal punto di vista umoristico o cinico, ma anche con malinconica umanità. Perché alla fine Florence voleva solo cantare». E una volta cantò davvero. Uno choc dopo un incidente in taxi le fece scaturire (magia?) quella voce cristallina e intonata fino allora solo un sogno. Miracolo di breve durata che Katia restituirà a Florence, intonando alla fine, con la sua incantevole maestria, «Vissi d’arte» da Tosca. Giuseppina Manin