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 2008  luglio 13 Domenica calendario

Gli ”zotici” di Pechino si comprano Taiwan. La Stampa 13 luglio 2008 Il signor Wang si sente un privilegiato, sente di aver messo con le sue mani un mattone nel grande muro della storia, e non gli si può dare torto

Gli ”zotici” di Pechino si comprano Taiwan. La Stampa 13 luglio 2008 Il signor Wang si sente un privilegiato, sente di aver messo con le sue mani un mattone nel grande muro della storia, e non gli si può dare torto. stato scelto tra migliaia di persone che avevano fatto richiesta per essere inserite nel primo gruppo di 760 turisti cinesi andati a passare otto giorni a Taiwan, l’isola di fatto indipendente dalla Cina, un tempo considerata ribelle e che da qualche settimana sta vivendo una nuova luna di miele politica con Pechino. Wang mostra orgoglioso la preziosa scatola di te «del drago scuro», wulong, quello che costa più dell’oro e per cui Taiwan è famosa. «Senti che profumo? un’altra cosa, fantastico!», dice e racconta che i taiwanesi sono gentili, rispettosi. Ma poi esita e gli sembra di dire un’eresia, qualcosa che non andrebbe detto, che è proibito, quasi fosse un segreto politico di altri tempi. «Certo, Taipei, la capitale, è proprio messa male. Le strade sono strette, i palazzi hanno la vernice scrostata, ci sono tante auto vecchie in giro, fa caldo, è umido, e tanti posti sono senza aria condizionata...», confessa. In queste poche frasi c’è lo sbriciolamento di un mito che aveva sostenuto trent’anni di riforme economiche in Cina: bisognava raggiungere la ricchezza di Taiwan. In realtà per Wang, i suoi compagni di gita e per tutti i taiwanesi che li hanno incontrati si è trattato di un reciproco grande shock culturale, in una civiltà, quella cinese di oggi, dove il denaro ha un posto altissimo nella scala dei valori. I taiwanesi hanno potuto vedere con i loro occhi che i «compatrioti del continente», come vengono definiti i cinesi della Repubblica Popolare, sono ricchi, più di quanto immaginassero. E viceversa i continentali hanno sperimentato che Taiwan è più povera di quanto non avessero pensato, non ha, come Pechino e Shanghai, i vialoni larghissimi a dieci o anche dodici corsie, non è punteggiata da una selva di grattacieli nuovissimi e scintillanti. Ma ci sono anche differenze culturali, comportamentali. I turisti cinesi - pur istruiti con attenzione a Pechino prima di partire - hanno combinato qualche piccolo incidente. Un paio sono stati richiamati perché fumavano impunemente in una zona dove era vietato, come succede spesso in Cina. Sono stati rimbrottati perché scesi all’ingresso di un albergo a cinque stelle in pantofoline da camera. Cose minime, ma abbastanza per stizzire Yen Ming-hui, uomo di affari taiwanese che su Internet ricordava: «Ai turisti del continente piace sputare. C’è il rischio che diffondano malattie». Wang e i suoi non rispondono sullo stesso tono. Stringono le spalle, ci sono oltre 500 mila uomini d’affari taiwanesi nel continente, lui li conosce bene, ci ha avuto a che fare tante volte. E sostiene che con tutte le loro smancerie i taiwanesi sono spesso ipocriti. Sembrano i commenti reciproci che si possono scambiare, per esempio, milanesi e napoletani. Però c’è di più: ci sono sessant’anni di vita separata, quasi tre generazioni di persone passati attraverso esperienze completamente diverse. Nel continente, l’arrivo al potere dei contadini comunisti, i trent’anni di continue campagne politiche di Mao e gli altri trent’anni di lenta, faticosa accumulazione capitalista hanno reso i cinesi più diretti, più franchi. O forse sono anche più volgari, rispetto ai taiwanesi che non sono passati attraverso il lavacro comunista e invece hanno conservato gelosamente molto dell’antica, elaborata etichetta cinese. Inoltre, sono cambiati i rapporti di forza ideali. Fino a un decennio fa Taiwan era il modello di sviluppo da seguire nel continente, il traguardo da raggiungere. I taiwanesi andavano sul continente carichi di regali e buste rosse gonfie di soldi per tutti i parenti o compaesani del villaggio avito. Oggi sono i turisti continentali che portano «regali» ai taiwanesi. Solo per le piccole spese, per lo shopping, in otto giorni i continentali hanno speso a Taipei circa un milione di euro. Sono i soldi che dovrebbero comprare il consenso per il neo presidente di Taiwan Ma Ying-jiu, il quale ha scommesso sul riavvicinamento con la Cina, proprio per ridare fiato all’anemica economia dell’isola. Così un noto commentatore politico taiwanese Nanfang Shuo (pseudonimo per Wang Xing-jing) dice che i taiwanesi stanno passando da un estremo all’altro: prima disprezzavano il continente, ora lo adorano e lo vedono quasi come un modello perché salva la loro economia. Ci sono però altre differenze non trascurabili, oltre i soldi. Una ex funzionaria della città di Xiamen, Zhang Lizhen, cerca di essere conciliante: «Ogni posto ha il suo ritmo di sviluppo. Vecchio non significa brutto». E quindi spiega con orgoglio che a Xiamen parlano lo stesso dialetto di Taiwan e pregano tutti alla dea Mazu. Sono la stessa gente, vuol dire, forse però proprio questa sottolineatura prova che uno iato c’è. Ma, chissà, altre comitive di turisti dal continente, e altri anni di contatti, riavvicineranno le due parti, Cina continentale e Taiwan, e rimarranno solo le piccole ineludibili polemiche campanilistiche stile Milano-Napoli. FRANCESCO SISCI